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Il c.d. federalismo demaniale: la devoluzione del patrimonio statale vista come misura di “semplificazione”

di - 19 Novembre 2010
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7. Prime conclusioni
È solo dall’effettiva e puntuale attuazione che si darà alle disposizioni legislative esaminate che potrà darsi un giudizio avvertito sulla reale portata della riforma. Sin da ora si segnala l’assoluta carenza nel disegno legislativo di concreti strumenti che possano assicurare – pur in un contesto “federale”- la concreta valorizzazione del demanio e del patrimonio pubblico, al di là delle pompose enunciazioni contenute nei primi articoli del decreto.
Il timore che si avverte dal complesso delle disposizioni passate in rassegna è che gli enti locali vedano questa riforma più che come una storica occasione per l’assunzione di dirette responsabilità nella gestione dei beni pubblici ubicati nei rispettivi territori[8], come una occasione insperata di far cassa in un momento di eccezionale scarsità di risorse trasferite e di accresciute esigenze di assistenza sociale in ragione della non sopita crisi congiunturale. Una nuova tragedia dell’interesse comune per i beni pubblici[9].
Il timore, in sostanza, è che la possibilità di dismissione dei beni del demanio statale trasferiti rappresenti una non rinunciabile occasione di spesa per gli enti territoriali e ciò non tanto (o meglio non solo) per la spesso comprovata inadeguatezza delle Istituzioni locali nell’opera di valorizzazione dei beni che già sono nella loro diretta titolarità, ma per assai concrete esigenze di bilancio. Parafrasando le parole dantesche del Conte della Gherardesca: «Poscia più che l’onor poté il digiuno»[10].

Abstract
Nel dare attuazione alla legge n. 42/2009, il Governo della Repubblica procede ad incastonare un ulteriore tassello del mosaico “federalista” disegnato dall’art. 119 Cost. Dopo l’avvio del c.d. federalismo fiscale, si è passati all’attribuzione agli enti territoriali diversi dallo Stato del patrimonio demaniale statale. L’obiettivo perseguito dal legislatore è evidente, assicurare una maggiore ed autonoma disponibilità di risorse alle Istituzioni del federalismo al fine di garantire ad esse i mezzi necessari per l’esercizio delle funzioni politico amministrative che il nuovo disegno costituzionale dell’art. 118 Cost. assegna – in un’ottica di sussidiarietà – agli enti più vicini ai cittadini.
Le disposizioni in esame danno l’avvio ad una vera e propria “devoluzione” del patrimonio dello Stato, ad una dissoluzione del demanio statale in favore dei diversi demani o patrimoni degli enti territoriali che compongono la Repubblica. Il trasferimento avviene a mezzo della intermediazione degli organi amministrativi statali che procederanno nel rispetto dei criteri fissati dal legislatore delegato ed in ogni caso nel rispetto del principio di sussidiarietà.
È solo dall’effettiva e puntuale attuazione che si darà alle disposizioni legislative che potrà darsi un giudizio avvertito sulla reale portata della riforma. Sin da ora si segnala l’assoluta carenza nel disegno legislativo di concreti strumenti che possano assicurare – pur in un contesto “federale” – la concreta valorizzazione del demanio e del patrimonio pubblico, al di là delle pompose enunciazioni di cui agli artt. 1 e 2, paiono preponderanti finalità di dismissione e privatizzazione di parti cospicue di quel patrimonio.

Note

8. > Si ricorda il bel lavoro di E. Reviglio, Valorizzare il patrimonio locale: ecco il vero federalismo demaniale, in Amm. civ., n. 4/5, 2008, 57.

9.  Il riferimento è allo studio di G. Napolitano, I beni pubblici e “le tragedie dell’interesse comune”, in Annuario Aipda 2006, Atti del Convegno (Venezia, ottobre 2006), Milano, 2007, 125.

10.  Dante Alighieri, La divina Commedia, Canto XXXIII, 73.

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