Le riforme in materia di spettacolo ed attività culturali tra ristrettezze finanziarie ed esigenze di modernizzazione: il caso delle fondazioni lirico-sinfoniche

Di recente il Governo ha riformato il settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, con il decreto legge 30 aprile 2010 n 64, convertito, con modificazioni, nella legge 29 giugno 2010 n. 100.
La legge n. 100 del 2010 contiene una serie di disposizioni significative sul riassetto delle fondazioni lirico-sinfoniche, sui contributi allo spettacolo dal vivo, sull’età pensionabile dei danzatori, sul registro pubblico speciale per le opere cinematografiche ed audiovisive, sul nuovo Istituto mutualistico artisti, interpreti ed esecutori, nonché disposizioni in materia di lavoratori extracomunitari nel settore dello spettacolo e sui cosiddetti servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura.
L’iter del provvedimento è stato caratterizzato da vivaci polemiche anche sulla sua costituzionalità, in ordine alla quale si è contestata la sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza previsti dall’art. 77 della Carta fondamentale e, nel merito, l’impostazione dirigistica, l’esistenza di una sorta di delega in bianco al Governo per costruire, per mezzo di una futura disciplina regolamentare i cui contorni appaiono incerti, il nuovo sistema, e, infine, la visione politica, la filosofia in definitiva sottesa all’intervento normativo, tesa ad individuare nel costo delle maestranze e degli artisti uno dei motivi – se non il motivo principale – della crisi finanziaria degli enti lirici.
Si è ribattuto dal Ministro proponente che il provvedimento è un fatto nuovo e positivo per risolvere la crisi finanziaria degli enti lirici e che il dibattito parlamentare ha portato modifiche significative all’impianto iniziale della riforma, che poteva dirsi frutto di una ricerca di soluzioni condivise.
Le modifiche intervenute nel corso dell’iter parlamentare hanno migliorato il testo, ma esso, partito con un impianto ritenuto vago ed insoddisfacente nonché contrario a precedenti impegni assunti in chiave bipartisan, è stato definito, anche all’esito della conversione in legge, un provvedimento “stonato”.
Il fondamento normativo dell’ordinamento amministrativo nel settore musicale risale alla legge 14 agosto 1967 n. 800.
La legge, nell’ambito di una complessa riorganizzazione, ha riconosciuto e disciplinato, al fine di sovvenzionarla, l’attività lirica e concertistica di interesse nazionale, meritoria di finanziamento pubblico, per sua natura, ai sensi dell’art. 9 della Carta fondamentale, secondo il quale la “Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica”.
La disciplina di settore, ai fini del finanziamento, distingue le fondazioni lirico-sinfoniche da quelle per le attività musicali (queste ultime ricomprendono i teatri di tradizione, le ICO, la lirica ordinaria, le attività concertistiche e corali, la promozione di musica ed il perfezionamento musicale, i complessi bandistici ed i progetti speciali).
Il decreto legislativo n. 367 del 1996 ed il decreto legge n. 345 del 2000 (convertito in legge n. 6 del 2000) hanno trasformato la natura delle fondazioni lirico sinfoniche in fondazioni di diritto privato.
Le fondazioni sono state così privatizzate, esse sono 14, ed hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nel riparto del Fondo unico per lo spettacolo (FUS).
I criteri di assegnazione delle risorse pubbliche sono indicati nel D.M. 10 giugno 1999 n. 239 e sono il risultato di quattro parametri (media storica dei contributi assegnati nel periodo precedente pari al 60% delle risorse del FUS, qualità della produzione programmata, produzione realizzata nel triennio precedente pari al 20% di tali risorse, costo del lavoro pari all’ulteriore 20%).
Il D.M. 10 giugno 1999 n. 239 prevede la partecipazione finanziaria dei soggetti privati, all’art. 5, mediante apporti al patrimonio e contributi alla gestione.
L’entità complessiva del FUS pari a 240 milioni di euro nel 2000 si è ridotta nel 2009 a 223 milioni di euro con taglio del 7,1 per cento, che, riattualizzato, al 2009 dovrebbe, per mantenere la stessa capacità di spesa, essere rimpinguato di 87 milioni di euro.
La vicenda è indicativa del progressivo ridursi della percentuale di PIL dedicata alla cultura, che impone esercizi istituzionali di fantasia giuridica, incentrati sull’incentivazione dell’intervento privato, di carattere filantropico, come ha sottolineato Filippo Satta[1].
Ma ci sono altri tratti della transizione in atto riguardante le fondazioni lirico- sinfoniche che vanno sottolineati.

A fronte della dichiarata ambizione del legislatore della riforma di drenare novella ricchezza privata nel sistema (si pensi che l’art. 1 della legge n. 10 del 2010 manifesta il condivisibile intento di “favorire l’intervento congiunto, di soggetti pubblici e privati nelle fondazioni”) e di improntare la gestione a criteri imprenditoriali di sana gestione (onde evitare sprechi e lentezze burocratiche  l’art. 1 comma 1 lett. a bis) prevede “miglioramento e responsabilizzazione della gestione attraverso l’individuazione di indirizzi imprenditoriali e di criteri, da recepire negli statuti delle fondazioni, volti alla designazione di figure manageriali di comprovata e specifica esperienza) si configura, contraddittoriamente, un impianto fortemente dirigistico rispetto alla riconosciuta natura privata dei predetti enti, prevedendosi un collegio dei revisori a dominanza pubblica, di tre membri –  di cui uno, con funzioni di Presidente, rappresentante del Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’altro magistrato della Corte dei Conti – e si legittimano indirizzi ministeriali sull’autonomia statutaria di ciascuna fondazione, con specifico riferimento alla composizione degli organi, alla gestione ed al controllo delle attività, nonché alla partecipazione dei finanziatori pubblici e privati; il tutto nel rispetto dell’autonomia e delle finalità culturali della fondazione.
La gestione economico finanziaria è affidata alla totale responsabilità del sovrintendente.
I criteri di riparto del FUS saranno rivisti con l’intento di riservare una quota crescente delle risorse alle produzioni di qualità.
Siamo all’ennesimo ircocervo – animale mezzo capro e mezzo cervo – di crociana memoria (Croce dedicò il termine, mutuandolo da Diodoro Siculo, al liberalsocialismo di Guido Calogero accusandolo di irrealismo).
Le domande sorgono conseguentemente e si affastellano dando luogo ad interrogativi destinati ad ipotecare il futuro della riforma: come possono le risorse finanziarie private accorrere in massa ove lo Stato, senza garantire incentivi fiscali ad eventuali benefattori privati, manifesta ancora una notevole ed incomprimibile tendenza ad ingerirsi nei dettagli più minuti dell’amministrazione di una persona giuridica privata, esprimendo anche il direttore artistico che viene indicato dalle figure manageriali individuate tramite  indirizzi ministeriali?
Come può un imprenditore privato essere interessato ad iniziative economiche in cui è destinato a svolgere un ruolo da comprimario?
E cosa ne resta della natura privata degli enti in presenza di corposi indirizzi ministeriali sugli assetti organizzativi?
E’ presto per dirlo ma c’è il rischio che il provvedimento incontri le stesse difficoltà incontrate    degli interventi in materia di fondazioni bancarie già risagomati dal Consiglio di Stato e dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale proprio per l’eccessiva compressione dell’autonomia privata [2].
L’attesa dei regolamenti attuativi  si tinge così di suspense.
I musicisti sanno che l’armonia dell’orchestra richiede impegno quotidiano nelle prove e sicurezza minima per le loro esistenze (per evitare l’anarchia caotica descritta da Federico Fellini in Prova d’orchestra) e, per questo, evidenziano, con le loro proteste, come il rapporto di lavoro subordinato sia lo schema giuridico più appropriato alla tipologia di prestazione richiesta (alla finalità della ricerca dell’armonia ed all’impegno diuturno che essa richiede ), pur con le difficoltà relative al   periodo di ristrettezze finanziarie  che stiamo vivendo .
Per raggiungere “l’armonia perduta”, a questo punto, servono risorse certe affluenti dalla ricchezza privata ed esse affluiscono se il quadro ordinamentale è stabilizzato e se ai privati sono concesse garanzie interessanti sull’utilizzo virtuoso dei finanziamenti concessi.

Note

1.  F. Satta La filantropia : un affare per lo Stato in www.apertacontrada.it

2.  Sul tema si legga cfr. Belli e Mazzini Le fondazioni bancarie, voce del Digesto delle Discipline privatistiche, sezione commerciale e www.astridonline.it; nonché F. Merusi Pubblico e privato nei beni culturali in www.avvocaturastato.it che avverte che normalmente “il gestore privato non è un benefattore ma un imprenditore che deve trarre un utile da un’attività economica” sicché lo schema fondazionale non è l’ideale per esercitare attività d’impresa (non prevedendo alcuna distribuzione di utili) e sollecita il legislatore a conformare le fondazioni bancarie per incrementare la quota di risorse finanziarie da esse destinate alla cultura.