Qualche considerazione sulla crisi greca e sul mutamento della costituzione materiale dell’UE (Europa destruens ed Europa costruens)

Come è noto il Governo ha adottato – il 7 maggio scorso – un decreto legge (d.l. 10 maggio 2010 n. 67, ora convertito dalla legge 22 giugno 2010, n. 99) per intervenire a favore della Grecia, con un prestito, nell’ambito di una manovra concordata fra i Paesi dell’Eurogruppo.
La scelta di intervenire con un prestito – da parte del nostro Paese – pur in un momento di crisi finanziaria, non solleva dubbi di costituzionalità sul piano interno ma impone una riflessione sulla costituzione economica dell’UE.
Il prestito è coperto dal ricorso al debito pubblico – tale maggior debito è stato preventivamente approvato dall’UE – e non pone quindi al nostro Paese problemi di compatibilità con il Patto di Stabilità.
Ciò che tuttavia va segnalato è il segno complessivo dell’operazione che, per la prima volta, rinuncia alla logica sanzionatoria tipica del Patto di Stabilità (di cui al vecchio art. 104 del Trattato che reca una procedura sui disavanzi eccessivi, ora art. 126 del Trattato di Lisbona) in favore di un intervento basato sul coordinamento delle politiche finanziarie e di bilancio (primo tentativo di movimento da una finanza europea che pone solo vincoli in negativo ad una finanza europea solidaristica, da un’Europa destruens ad un’Europa costruens).
Il decreto legge è semplice nel suo dettato e la legge di conversione, allo stato, non vi apporta modifiche.
Il decreto autorizza, in particolare, il Governo a varare un programma triennale di sostegno attraverso l’erogazione di prestiti alla Grecia fino ad un massimo di 14,8 miliardi di euro, così come deciso a livello europeo.
Le risorse necessarie al rispetto del programma verranno reperite attraverso emissioni di titoli di Stato a medio-lungo termine.
Per onorare, nei tempi previsti, il programma di sostegno finanziario alla Grecia il Governo ricorrerà ad anticipazioni di Tesoreria. Gli importi delle emissioni non saranno calcolati nel limite massimo stabilito dalla legge finanziaria; tale limite verrà ridefinito dal Ministero dell’economia con le occorrenti variazioni al bilancio.
I rimborsi del prestito confluiranno nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato e gli interessi destinati al pagamento degli interessi passivi sui titoli di Stato.
L’aiuto dell’eurogruppo alla Grecia:
a) l’ammontare è di 110 miliardi di euro in tre anni, di cui 80 miliardi messi a disposizione dai paesi dell’area euro e 30 dal Fondo Monetario;
b) gli 80 miliardi di pertinenza dei Paesi dell’area euro sono costituiti da prestiti bilaterali.
30 miliardi sono per il primo anno e la prima erogazione è prevista prima del 19 maggio, giorno in cui la Grecia deve fronteggiare importanti scadenze sul proprio debito
c) il Fondo Monetario interviene a sua volta in misura eccezionale, pari a 32 volte la quota greca nel Fondo, con una procedura di approvazione estremamente accelerata.
L’art. 1 della legge di conversione reca, al comma 1, la conversione in legge del decreto senza modifiche (e fin qui nulla quaestio).
Al comma 2, lo stesso articolo 1, prevede, con disposizione di un certo interesse che “A decorrere dalla data della loro entrata in vigore piena ed intera esecuzione è data all’accordo denominato “Intercreditor agreement” stipulato in data 8 maggio 2010, con il quale gli Stati membri dell’area euro, ad eccezione della Grecia, hanno concordato i reciproci diritti e doveri con riferimento al funzionamento del programma di prestiti bilaterali alla Grecia ed all’accordo denominato “Loan Facility Agreement” stipulato in data 8 maggio 2010, con il quale la Grecia e la Banca di Grecia in qualità di agente della prima, da un lato ed i rimanenti Stati dell’area euro e KfW, per conto della Repubblica Federale di Germania, dall’altro, hanno concordato i reciproci diritti e doveri in relazione ai prestiti bilaterali erogabili in favore della Grecia nell’ambito del medesimo programma triennale coordinato dalla Commissione europea”.
La disposizione menzionata contiene l’ordine di esecuzione di due accordi stipulati in ambito comunitario a valle delle deliberazioni informali (definite “Dichiarazioni”) assunte dai Capi di Stato e di Governo della zona euro in data 25 marzo 2010 e dall’Eurogruppo in data 2 maggio 2010 (dichiarazioni aventi un valore politico- giuridico e difficilmente inquadrabili nella categorizzazione nota degli atti comunitari).
Gli accordi in questione, come risulta dal loro tenore e come è stato chiarito anche dal Sottosegretario Vegas durante i lavori parlamentari (seduta dell’8 giugno 2010 – Commissione V della Camera), non sono trattati internazionali che necessitano di ratifica ma meri accordi conclusi in sede comunitaria, sulla base di intese concordate dagli attori istituzionali coinvolti per affrontare una situazione di carattere eccezionale che richiedeva di agire con la massima tempestività (l’ondata di speculazione finanziaria che ha investito i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro aventi i maggiori deficit di bilancio).

In questo caso quindi avremmo un atto che non è un trattato internazionale né un accordo in forma semplificata, ma un mero accordo comunitario (in pratica di tratta di contratti di mutuo bilaterali gestiti in modo consortile mediante gli organi comunitari) che viene con la formula tradizionale del “piena ed intera esecuzione è data…” recepito nell’ordinamento interno.
La peculiarità di tale situazione sta anche nel fatto che tale atto di recepimento è contenuto nella legge di conversione di un decreto legge.
Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’art. 15, comma 2 lett. b) della legge n. 400 del 1988 è vietato al Governo di provvedere con decreto legge nelle materie indicate nell’art. 72, comma 4 della Costituzione, fra cui rientra la legge di autorizzazione di trattati internazionali e che tale divieto viene interpretato come riferibile anche alle leggi di conversione dei decreti legge.
Tuttavia, nella specie, non ci si trova di fronte ad un ordine di conversione in senso tecnico, perché gli accordi predetti non sono Trattati internazionali ma semplici accordi di concessione di prestiti fra Stati membri della UE e facenti parte della zona euro.
La formula è un atto di recepimento di un atto comunitario atipico (accordo).
Quanto alla base giuridica dell’accordo, fermo restando che esso deroga all’attuale disposto dell’art. 125 del Trattato sul funzionamento dell’UE (versione Lisbona), che vieta prestiti dalla UE a Stati membri in deficit e degli Stati membri fra loro, sembra che la base giuridica debba ravvisarsi – per intento degli attori istituzionali che hanno avviato il processo – nell’art. 136 del Trattato di Lisbona che prevede la possibilità, per il Consiglio, di adottare misure tendenti a rafforzare il coordinamento e la sorveglianza delle discipline di bilancio.
Nel caso di specie, si è deciso di derogare alla disciplina dei c.d. “warnings” comunitari (di cui all’art. 126 del Trattato di Lisbona) da adottare nei confronti dei Paesi in deficit, per approvare misure di stampo solidaristico che costituiscono l’embrione di una nuova architettura istituzionale del Patto di stabilità (il cui studio è stato rimesso ad una “task force” che gli Stati dell’eurogruppo hanno chiesto al Presidente del Consiglio europeo di istituire).
È stata condivisibilmente stigmatizzata in dottrina la scarsa efficacia delle procedure per il contenimento dei deficit eccessivi.
Si è detto in proposito che “anche di fronte a gravi e persistenti situazioni di violazione dei parametri concertati in sede europea si è assistito all’attivazione di processi di reazione dall’esito non solo piuttosto blando, ma soprattutto differenziato nel corso del tempo. E le decisioni sono state assunte per lo più sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali dagli organi europei competenti in materia, in specie dalla Commissione e dal Consiglio dei ministri, avendo assai minor rilievo sul punto sia le attribuzioni del Consiglio europeo che quelle del Parlamento europeo, i quali in estrema sintesi vengono soltanto “informati” dei procedimenti in corso o degli atti adottati. Tra l’altro, si è dato luogo ad interpretazioni di volta in volta permissive o restrittive degli obiettivi di convergenza, sì da rendere questi ultimi suscettibili di una considerevole elasticità di ordine politico”[1].
Si sottolinea che gli accordi di prestito sono concepiti – per effetto di clausole previste nei medesimi contratti – come strumenti giuridici ad efficacia subordinata all’adozione da parte del Consiglio di una delibera ai sensi dell’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (allo stato non ancora adottata).
Tutta l’operazione quindi dei prestiti bilaterali alla Grecia è concepita in termini di stretta condizionalità all’adozione – ai sensi dell’art. 136 del Trattato – di una decisione del Consiglio derogatoria rispetto agli artt. 125 e 126 del Trattato (divieti di prestito e  procedure sanzionatorie per i deficit eccessivi).
Potrebbe dubitarsi – nel quadro giuridico attuale – che l’art. 136 sia una base giuridica adeguata a sostenere una decisione di derogare all’art. 126 del Trattato, potendo sostenersi che esso giustifica formalmente mere misure di coordinamento.
Tuttavia deve cogliersi un vero e proprio mutamento della costituzione materiale dell’UE che si avvia, nell’ambito dei Paesi dell’eurogruppo, per la prima volta, a configurare una responsabilità collettiva per la situazione dei bilanci di ciascun Paese, premessa per future maggiori integrazioni delle politiche economiche dei Paesi dell’UE.
Va considerato che la situazione eccezionale creatasi sui mercati finanziati imponeva risposte rapide, difficili per la carenza di uno strumentario giuridico adeguato nell’UE  (per esempio il diritto europeo non conosce la normazione urgente o per decreto).
Sicché è avvenuto che i singoli Stati hanno anticipato, con proprie misure di diritto interno (in Italia  con l’adozione del decreto legge), quanto concordato politicamente in sede Eurogruppo, facendo svolgere ai decreti legge nazionali funzione anticipatoria di normative comunitarie ancora da adottare.

Tutto questo – per la sua efficacia simbolica e dissuasiva nei confronti della speculazione – costituisce un ulteriore interessante segnale di cambiamento del tradizionale modus operandi dell’UE che si rivela capace di far leva sui diritti nazionali (attraverso l’adozione di atti normativi urgenti) al fine di conseguire obiettivi di maggiore integrazione delle politiche economiche.
Il merito della scelta effettuata (ossia la bontà del ricorso al prestito) è materia da economisti sulla quale è aperto un confronto serrato.
Sul piano giuridico la vicenda si segnala come un interessante segno del mutamento in corso della costituzione materiale dell’UE e di una possibile rottura degli equilibri e della logica del Patto di stabilità la cui direzione è ancora incerta.
Naturalmente il mutamento della costituzione economica materiale dell’UE non può non riflettersi sul modo con il quale le costituzioni nazionali guardano ai bilanci pubblici.
Gli articoli delle costituzioni nazionali come l’art. 81 Cost. che garantiscono che i bilanci siano approvati dai Parlamenti nazionali, con legge formale, in ossequio al principio no taxation without representation, subiscono una torsione – come è stato notato in dottrina –  perché “la situazione non può che evolvere allorquando, come avviene ai giorni nostri, la “responsabilità economico-finanziaria” degli Stati acquista rilievo davvero globale.
Adesso, infatti, gli Stati finiscono per rispondere innanzi ai mercati che si sviluppano a livello internazionale secondo reti di interconnessione che superano le barriere ed i confini statuali.
E rispondono non solo delle politiche economiche e di bilancio a loro più o meno direttamente imputabili – soprattutto attraverso il giudizio che gli operatori danno dell’affidabilità dei titoli del debito pubblico -, ma anche del mutevole valore che nelle contrattazioni internazionali è attribuito alle attività, alle passività e più in generale ai beni, pubblici e privati, che compongono il patrimonio economico e produttivo nazionale.[2]
La dottrina citata nota come anche da questo punto di vista stia sbiadendo il tradizionale concetto di sovranità degli Stati, originariamente concepita come effettivo potere di decidere in autonomia il destino della propria collettività.
Sino al punto che gli Stati sono divenuti “soggetti passivi e condizionati” di valutazioni e giudizi pressoché liberamente assunti da enti o operatori privati che in gran parte sfuggono al controllo degli Stati stessi (le c.d. agenzie di rating).
La nostra costituzione economica è da sempre esposta – per effetto della sua apertura all’ordinamento internazionale – al campo di tensioni che si formano nella nuova rete di poteri globali, ora la necessaria rapidità della risposta alle tensioni internazionali impone al Governo interventi sulle politiche di bilancio, con progressivo scivolamento, nel rapporto Governo- Parlamento, del potere di bilancio sempre più in capo al primo (tra l’altro in grado di meglio arginare tradizionali tendenze dei Parlamenti a largheggiare keynesianamente nella spesa).
La manovra finanziaria seguita con ritmo incalzante all’intervento sulla crisi greca – tesa a ridurre la spesa pubblica, come sta avvenendo anche in altri Paesi di Europa – appare così un pezzo di nuove politiche di concertazione finanziaria, che, anche in deroga alla recente legge n. 196 del 2009, flessibilizzano ulteriormente i bilanci nazionali.
In Italia così si consente a ciascun Ministro la spostamento di risorse fra missioni e non solo fra programmi di una stessa missione, fermo il controllo del Parlamento sui saldi della finanza pubblica e sulla loro distribuzione fra Ministeri ed enti.
Non è una novità – quando la crisi economica incalza – si fa più forte il potere di eccezione[3], specie in assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, e le costituzioni reagiscono come possono, con gli strumenti più elastici consentiti.
Ai Parlamenti nazionali il compito di recuperare terreno, riaffermando la centralità della regola del controllo parlamentare sul prelievo e sulle spese, mediante l’adozione di politiche capaci di coniugare rigore di bilancio e tenuta sociale degli interventi imposti dalle necessità del presente [4].

Note

1.  Giulio M. Salerno Costituzione, unione europea e mercati globali ; proposte e riflessioni in www.federalismi.it

2.  Cfr. sempre Giulio M. Salerno Costituzione, unione europea e mercati globali: proposte e riflessioni in www.federalismi.it

3.  C. Schmitt Il custode della costituzione, ove vi è un’ampia (e tragica, alla luce del giudizio retrospettivo che è possibile darne ora) analisi dell’uso dei poteri presidenziali di eccezione nella Repubblica di Weimar.

4.  Cfr. G. Tremonti per il quale “In generale in Europa e in Italia, la ricreazione è finita. Non può continuare, deve finire, l’illusione che la spesa pubblica sia o possa essere una variabile indipendente dal Pil” in Corrieredellasera.it, 22 giugno 2010.