TAR Toscana, sez. II, sentenza 31 agosto 2010, n. 5145

– Il principio di precauzione, di derivazione comunitaria, trova applicazione in tutti quei settori in cui si manifesta la necessità di un elevato livello di protezione, indipendentemente dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano. Le istituzioni giudiziarie dell’Unione europea hanno avuto modo di affermare l’immediata applicabilità del principio di precauzione quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, e la conseguente possibilità di adottare misure protettive, senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (Tribunale I grado C.E., sez. II, 19 novembre 2009; C.G. C.E. sentenza 14 luglio 1998, causa C-248/95; id. 3 dicembre 1998, causa C-67/97, Bluhme). Il principio è pacificamente ritenuto applicabile alla materia del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti (Corte giustizia C.E., sez. IV, 4 marzo 2010, n. 297), dovendo, peraltro, armonizzarsi, nella concreta applicazione, con quello di proporzionalità. Nella specie il riferimento al principio di precauzione è pertinente in quanto riferito ad un’attività (stoccaggio e trattamento rifiuti) intrinsecamente idonea a intervenire sull’equilibrio dell’ambiente e potenzialmente in grado di incidere sulla salute delle persone.

– Sono stati ritenuti fondati i denunciati vizi di illegittimità derivata, da parte di un’impresa di trasporto, recupero e riutilizzo dei rifiuti, in particolare per violazione del giudicato della sentenza del TAR Lazio 1026/2008 che ha statuito l’illegittimità del Piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani nella parte in cui non prende in considerazione gli impianti di CDR della ricorrente autorizzati e realizzati; è stata ritenuta l’ illegittimità della clausola che imponeva di trattare solo i rifiuti provenienti da raccolta differenziata e l’illegittimità della limitazione della quantità massima di rifiuti trattabili a 90.000 tonnellate annue perché priva di motivazione e contraddittoria con le pregresse autorizzazioni. Ribadisce il Collegio che, fuori dall’effetto demolitorio della sentenza, ciò che rileva ai fini dell’effettiva tutela dell’interesse dedotto in causa dalla ricorrente è, nella fattispecie, l’effetto conformativo da essa dispiegato sulla successiva attività dell’Amministrazione. Essa deve tener conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento nell’emanare i provvedimenti ulteriori che conseguono all’effetto caducatorio del provvedimento impugnato .

– In ordine alla domanda di risarcimento dei danni, il Collegio ritiene che in caso di risarcimento del danno subito per effetto dell’esecuzione di un provvedimento annullato in sede giurisdizionale, non è sufficiente che la parte ricorrente affermi genericamente di aver subito un siffatto danno, occorrendo invece, che sia fornita prova in ordine a tutti gli elementi costitutivi, compresi la sussistenza del medesimo danno ed il suo ammontare.

Analogo ordine di argomentazioni conduce a ritenere l’infondatezza dell’azione risarcitoria riferita al danno da ritardo per violazione dell’art. 2 bis della l. n. 241/1990. La complessità dell’istruttoria compiuta esclude che vi sia stata da parte dell’Amministrazione una colpevole inerzia nella conclusione del procedimento.

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