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Della concorrenza: Adam Smith e Alessandro Giuliani

di - 3 Agosto 2010
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Ottimo matematico, teorico originale della probabilità, e al tempo stesso maestro della lingua inglese, Keynes nel 1931 riunì alcuni dei suoi scritti più controversi, eterodossi rispetto al pensiero dominante, come Essays in Persuasion. All’apice dell’impegno teorico, così motivò l’aver scelto di scrivere nella lingua madre, con minima matematica, il suo capolavoro, la General Theory del 1936 forse il più influente trattato d’economia dopo la Ricchezza delle nazioni: “Quando usiamo il linguaggio ordinario (“ordinary discourse”) non manipoliamo alla cieca; sappiamo in ogni momento cosa le parole significano; serbiamo nel retro della nostra mente le necessarie riserve e qualificazioni, e le integrazioni che apporteremo in un momento successivo (…) Una parte troppo grande della analisi economica recente, detta matematica, è solo un fritto misto (“concoction”)”[10].
Diversi anni fa, con l’aiuto di un’amica giornalista, raccolsi in una antologia saggi di economisti italiani. La scelta era basata anche sulla qualità della scrittura, dell’uso della lingua vagliato altresì da specialisti quali Cesare Cases e Tullio De Mauro[11]. I sei tratti che costituiscono la griglia stilistica proposta da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane[12]– Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Consistency – sono tutti presenti nelle pagine più belle degli economisti italiani. Sono quasi tutti riuniti nello scrittore migliore: per me, Umberto Ricci, per Cases “la grande sorpresa e novità di questa antologia”[13].
Per Smith, come per Giuliani, come per McCloskey è la retorica l’arte capace di ricondurre a rigore di metodo il consapevole uso dei linguaggi più persuasivi. Non la retorica – insiste Giuliani sin dal saggio sulle Belles Lettres di Smith – come “teoria della forma ornata”, ma come “stile piano e semplice”, “branca della dialettica logicamente impegnata”. Per Giuliani, “alla base della retorica classica vi era una logica dell’opinione, del verosimile, del probabile: un metodo di indagine nel settore dove non è possibile una conoscenza certa, ma bisogna accontentarsi di una ‘verità probabile’”. Il settore è quello della scienza sociale. Segnatamente, nel giuridico e nell’economico è raro poter ricavare una verità per mezzo di un’analisi di tipo matematico, alla maniera di Cartesio, del razionalismo di Hobbes, dei fisiocrati come Quesnay (dai quali ultimi Smith, al pari del nostro Giuliani, avendoli conosciuti, prese le distanze). Qui, secondo Giuliani, siamo nel mondo della opinio: “(dal punto di vista dialettico) un giudizio, che ha accettato un corno del dilemma dopo aver sottoposto a prova e confutazione una questione sempre posta in forma contraddittoria”.
Come l’ennesima, recente, grave, tuttora irrisolta crisi finanziaria conferma, e come sentenziava Mises, prevedere gli eventi economici “trascende il potere di ogni essere mortale[14]. Bene argomentando, possiamo però spiegare gli eventi economici, nel senso di persuaderci, e persuadere, che una interpretazione dei nessi causali è più di altre convincente e utile per tentare di governare quegli stessi eventi.

2. La “mano invisibile”
Nonostante … Lehman Brothers, molti economisti pensano ancora che, se liberi e autoreferenziali, i mercati siano pressoché perfetti nel raccogliere, sintetizzare e trasmettere attraverso i prezzi – “una sorta di simbolo”, affermava Hayek[15] – l’informazione necessaria e sufficiente affinché la razionalità-ottimizzante degli homines oeconomici – produttori e consumatori – si esprima al meglio.
Altri economisti pensano, invece, che solo le regole e l’intervento pubblico possano attenuare ovvero compensare i fallimenti del mercato.
È la questione della “mano invisibile” di Smith.
Staccando l’espressione dal contesto dei suoi scritti, sempre più e troppo a lungo Smith è stato interpretato come il primo campione del liberismo, come un mercatista spinto.
Avendo studiato a fondo tutto Smith, Giuliani è stato invece tra i primi a sconsigliare una interpretazione siffatta, a vedere nella mano invisibile “una metafora da rivisitare”.
La rivisitazione più colta ci è stata offerta da Emma Rothschild in un bellissimo libro del 2001[16], di cui Giuliani non poté tener conto. Con scrupolo filologico la Rothschild ha chiarito che nell’arco di tutti i suoi scritti Smith usa l’espressione ‘mano invisibile’ soltanto tre volte. Lo fa senza attribuirvi soverchio rilievo. Secondo la Rothschild, Smith “si prende gioco dei politeisti che credevano nella mano invisibile di Giove nella History of Astronomy; nella Teoria dei sentimenti morali e nella Ricchezza delle nazioni si diverte a spese di individui guidati dalla mano invisibile (…) così come si diverte a spese di quei filologi che credono in un ordine divino”[17].
Al di là della fortunata ma incompresa metafora, Smith è tutt’altro che un negatore del ruolo economico dello Stato. Nella Ricchezza delle nazioni al Sovrano è dedicato il Libro Quinto, un quarto dell’intera opera. Vi si afferma, non la marginalità ma la centralità, crescente, dei doveri dello Stato. Quella di Smith non è la salomonica conclusione da sintesi neoclassica del più illustre economista contemporaneo, fino a pochi mesi fa vivo e attivo, Paul Samuelson: “Le due metà, mercato e Stato, sono indispensabili per il buon funzionamento del sistemaeconomico come economia mista”[18].

Note

10.  Keynes, J.M., The General Theory of Employment Interest and Money, Macmillan, London, 1936, pp. 297-298.

11.  Bocciarelli, R. – Ciocca, P. (a cura di), Scrittori italiani di economia, Laterza, Bari, 1994.

12.  Calvino, I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988.

13.  Bocciarelli-Ciocca, Scrittori, cit., p. 403.

14.  Mises, L. von, Human Action, Yale University Press, New Haven, 1949, p. 867.

15.  Hayek, F.A. von, The Use of Knowledge in Society, in “American Economic Review”, 1945, p. 527.

16.  Rothschild, E., Economic Sentiments: Adam Smith, Condorcet and the Enlightment, Harvard University Press, Cambridge, 2001 (ed. italiana Il Mulino, 2003). Solo un brevissimo sunto del capitolo sulla “Mano invisibile e sanguinaria” era apparso in precedenza (“American Economic Review”, 1994, pp. 319-322). Si veda anche il dibattito sull’edizione italiana del libro fra Carlo Galli, Stefano Zamagni, Pierluigi Ciocca e la stessa autrice in “Rivista di Storia Economica”, 2004, pp. 217-252.

17.  Rothschild, op. cit. (ed. italiana), pp. 178-179.

18.  Samuelson, P.A. et al., Economia, XIX ed., Mc-Graw Hill, Milano, 2009, p. 38 (corsivo mio).

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