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L’Economia sociale di mercato: una visione liberale

di - 5 Luglio 2010
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La visione dell’ESM non vuole quindi essere una versione del corporativismo. Essa si ricomprende invece totalmente all’interno del liberalismo. Questo è evidente dal ruolo fondamentale che essa attribuisce alla proprietà privata, ai suoi principi fortemente internazionalisti e liberoscambisti, al rifiuto di ogni logica di pianificazione, ed al fatto che la preservazione di un mercato efficiente viene posta come obiettivo o come vincolo di ogni politica. È evidente anche sul piano dei rapporti umani ed intellettuali che i maggiori esponenti dell’ESM ebbero con il mondo liberale anglosassone. Roepke, Mueller-Armack, Eucken, e molti altri ancora, furono tra i primi membri della Mont Pèlerin Society, l’associazione liberale fondata da Hayek nel 1947, insieme a Friedman, George Stigler, Frank Knight, e molti altri americani.
Confrontata sia con alcune correnti del liberalismo di stampo anglosassone, quali la Scuola di Chicago, sia con altre correnti del liberalismo continentale (come quello della Scuola Austriaca), le sue posizioni implicano senz’altro un maggior intervento della mano pubblica in economia. Il carattere liberale della ESM va però compreso valutando opportunamente due fatti fondamentali. In primo luogo che, al contrario di quanto è avvenuto per le visioni strettamente liberiste di questo secolo, l’ESM ed i suoi esponenti hanno avuto per più di un ventennio un ruolo attivo di primo piano nella formazione e nella gestione delle politiche pubbliche di un grande Paese come la Repubblica Federale Tedesca. In secondo luogo, che nello stesso periodo in Europa tutti i governi, che fossero di sinistra o di destra, seguivano esplicitamente obiettivi e politiche di stampo keynesiano, di pianificazione, di nazionalizzazione.
Non è azzardato affermare che, dal punto di vista più generale, mentre il liberalismo anglosassone (nelle sue versioni più nettamente liberiste) tende ad assumere che la libertà individuale è una condizione necessaria e sufficiente tanto per una economia efficiente e prospera quanto per un sistema politico libero e democratico, l’ESM ritiene che vi sono delle condizione “esterne” che devono essere realizzate se vogliamo che tutto questo avvenga.
Sul piano propriamente scientifico, la debolezza del liberalismo anglosassone è che finisce inevitabilmente per considerare tutto ciò che non è offerta e domanda di beni e servizi come un qualcosa di “esogeno” rispetto al mercato, e – soprattutto – come una “interferenza” nel suo funzionamento. Esso presuppone un’antropologia estremamente ristretta, per la quale l’individuo è visto nella esclusiva dimensione di massimizzatore di utilità attesa rispetto ad un insieme di preferenze date. In questo modo rimangono aldifuori del discorso economico sia il ruolo delle istituzioni e delle norme proprie di ogni specifica realtà sociale (e quindi di ogni specifico mercato), sia tutte le preferenze individuali ed aggregate che non corrispondono a specifici beni o servizi scambiabili nel mercato. Tipicamente, rimangono aldifuori del discorso economico tutte le preferenze per assetti distributivi del reddito o della ricchezza diversi da quelli che risultano dallo scambio di mercato effettuato sulla base dei diritti di proprietà esistenti ad una dato momento.
Forse non è errato affermare che la principale differenza tra l’ESM ed il liberalismo anglosassone non sta negli scopi che si vogliono ottenere, ma nei mezzi da mettere in pratica per ottenerli. Non va infatti dimenticato che le stesse forme di liberalismo anglosassone considerate più “estreme”, come quella propugnata da Friedman, sono a favore di politiche redistributive come l’imposta negativa sul reddito. Di per se stessa, l’imposta negativa sul reddito corrisponde perfettamente ai principi dell’ESM. Sicuramente essa è marktconform – concetto chiave dell’ESM per valutare ogni misura di politica economica – più di quanto non lo sia un sistema previdenziale a ripartizione. Ma proposte come quelle dell’imposta negativa sul reddito si pongono comunque nella logica di separare il sistema delle relazioni di mercato dalle altre relazioni sociali, una separazione che sul piano puramente fattuale non è mai esistita in nessuna società concreta.
L’ESM è invece una visione che sembra tenere più  adeguatamente conto del fatto che l’economia capitalistica ed il mercato non esistono mai in vacuo. Capitalismo e mercato esistono perché esistono degli individui, delle persone concrete, storicamente situate, che producono e scambiano beni e servizi. Un sistema economico che tenga adeguatamente conto delle esigenze delle persone, dall’istruzione alla protezione dai rischi di esclusione sociale, non sarà soltanto un sistema più giusto moralmente: sarà anche un sistema economicamente più efficace.
Davvero, la discussione tra la Soziale Marktwirtschaft ed il liberalismo anglosassone più legato all’utilitarismo liberista costituisce un argomento storicamente e teoricamente affascinante. Ma è una discussione che sta tutta dentro il liberalismo, e che ne conferma la straordinaria ricchezza.

Riferimenti bibliografici

  • German  Neo-Liberals and the Social Market Economy, edited by A. Peacok and Hans Willgerodt, Londron Macmillan, 1989
  • Soll und Haben. 50 Jahre Soziale Marktwirtschaft, Herausgegeben von Knut Wolfgang Noerr und Joachim Starbatty, Stuttgart, Lucius und Lucius, 1999
  • The Social Market Economy. Theory and Ethics of the Economic Order, edited by Peter Koslowski, Berlin, Springer, 1998

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