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Alessandro Giuliani: l’esperienza giuridica fra logica ed etica

di - 5 Luglio 2010
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Credo sia necessario insistere sulle caratteristiche della ragione argomentativa di cui si avvale il diritto: essa non si serve, secondo Giuliani, di un principio causale, per il quale certe conclusioni potranno essere tratte da premesse determinate. Da un lato, nel campo dell’azione umana, queste premesse appariranno estremamente complesse, non racchiudibili in semplici proposizioni, profondamente implicate con la storia della società e con i valori in essa presenti, sicché nessuna conclusione potrà essere derivata, come semplice inferenza, da simili premesse; dall’altro, se a conclusioni si dovrà pur giungere, nel mondo del diritto, queste dovranno avvalersi di procedure logiche meno persuase della propria infallibilità, più modeste, appunto, consapevoli dei propri limiti e quindi della possibilità che errori vengano commessi, e della necessità che vengano riparati. Il problema di una logica, sensibile alla storia ed ai valori, si lega strettamente a quello di un’etica che orienti il ragionamento del giurista. Conseguentemente l’argomentazione del giurista si preoccuperà soprattutto di delimitare, in negativo, il campo di rilevanza del proprio discorso onde escludere dalla propria traiettoria ambiti non significativi ovvero carichi di istanze assiologiche non immediatamente spendibili nell’incedere del ragionamento giuridico, specie quando esse concorrono con altre ad integrare il profilo di valore di determinate issues senza tuttavia poter pretendere di esaurirlo: si pensi, ad esempio, alla tesi di chi voglia sostenere che non si potrà mai consentire ad alcuna forma di suicidio assistito, neppure in casi di malattie terminali, perché la vita non appartiene al malato ma a Dio. La tesi, evidentemente, è carica di contenuti religiosi e morali e, se anche potrà essere presa in considerazione nel processo di valutazione giuridica – sia per il fatto stesso che essa è stata espressa sia per il peso che in ipotesi assuma in determinate società e nella loro storia – non potrà mai motivare da sola o in via principale – nell’ambito di un ordine giuridico pluralista – una certa opzione interpretativa senza escludere, inammissibilmente, altre tesi fondate su diverse, confliggenti, alternative assiologiche.

La valutazione giuridica presenta dunque il proprio profilo con modestia di accostamento, senza pretesa di essere depositaria di soluzioni definitive o comunque in grado di trovarle immancabilmente, ma nella consapevolezza che solo un approccio cauto, che sappia tener conto di tutti gli interessi in gioco, della difficile calibratura del rapporto fra questi interessi e la dimensione assiologica che caratterizza la loro presenza nella società, potrà essere alla base del proprio metodo. Con questo non voglio dire che il giurista appartenga al mondo degli angeli: in altre parole, la mia ingenuità non giunge al punto di (pretendere di) ignorare il coinvolgimento del giurista nella società che lo esprime. S’intende che egli è, come essere umano, implicato nel mondo e l’interpretazione giuridica muove dalla sua precomprensione. Ma qui compare una dimensione propriamente etica che si candida come componente profonda dell’educazione del giurista, che operi come scienziato o come pratico. È una dimensione intrinseca all’attività del giurista perché orienta l’argomentazione, preclude alcune vie, privilegia il confronto delle posizioni ed il contraddittorio delle parti, si impernia su una struttura controversiale della questione giuridica.

È un’etica per il giurista, diremmo un’etica professionale, che però si confronta quotidianamente con le grandi questioni politiche, economiche, religiose, filosofiche – dunque anche etiche – che provengono dalla società e con i conflitti di interessi che vi sono legati. Non è dunque un’etica debole, inerme, ma è consapevole dei limiti della ragione nel dominio dell’opinione, della necessità di evitare abusi della ragione in ambiti come la politica, la morale, il diritto[7]. Da questo punto di vista, etica e diritto si mescolano nell’esperienza giuridica, nell’attività prudenziale di apprezzamento e valutazione delle questioni: è sottinteso un investimento intellettuale sulla tradizione giuridica che si lega all’approccio topico. Da questo punto di vista mi sembra interessante riprendere la recentissima riflessione di Massimo Luciani[8] che sottolinea, richiamando opportunamente la riflessione vichiana, come «la disposizione legislativa…indirizza il fatto, ma è il fatto che illumina di significato quella disposizione, commisurandolo alla realtà dei rapporti sociali che il diritto aspira a regolare». Luciani dedica alcune riflessioni anche al rapporto fra norma e tempo[9], nella prospettiva suggerita da Richard Hare, che distingue fra elemento frastico ed elemento neustico di enunciati e proposizioni. Sulla distinzione Luciani riflette per sottolineare la differenza – sotto il profilo neustico – fra una proposizione normativa espressa in via generale ed astratta ed una proposizione indicativa, che registra un fatto o una circostanza: per esempio fra le due proposizioni “i genitori devono educare i figli” e “Tizio e Caia, genitori, educano i figli”. Quest’ultima, secondo Luciani, assume pieno significato solo commisurandola all’altra, preesistente proposizione normativa la quale, a sua volta, dovrà essere proiettata nel futuro, raffrontata a concrete situazioni di fatto per poterne cogliere il senso autentico. Credo sia importante questa riflessione su tempo e norme che, come lo stesso Luciani esattamente rileva, contribuisce a chiarire come «la norma regolatrice non può fare a meno delle circostanze empiriche per poter essere conosciuta»[10].

Note

7.  Vorrei rinviare ancora a F. CERRONE, Ragione dialettica e retorica, cit., pp. 43 ss.

8.  M. LUCIANI, L’interprete della costituzione di fronte al rapporto fatto-valore. Il testo costituzionale nella sua dimensione diacronica, in Dir. soc., 2009, p. 9.

9.  M. LUCIANI, op.cit., pp. 15 ss.

10.  M. LUCIANI, op.cit., p. 17.

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