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Intervento alla Tavola Rotonda “L’ambiente tra diritto individuale e interesse collettivo”, Università di Roma La Sapienza, 21 gennaio 2010

di - 30 Aprile 2010
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Percentualmente le discariche sono troppe rispetto ad altre modalità di smaltimento finale dei rifiuti. In Italia l’alternativa sono gli inceneritori, che sono una soluzione di transizione verso un modo estremamente complesso con cui, quando la tecnologia lo consentirà e se lo consentirà, le stesse imprese si faranno carico del destino finale del prodotto, esattamente dopo l’atto di consumo, e ci libereremo dello scarto del consumo.
Questo problema è stato assunto dal legislatore come meritevole di tutela e considerazione particolare a partire dal 1987, con il d.p.r. n. 915/1987, che amministrati vizza totalmente la materia di gestione dei rifiuti (“dalla culla alla tomba”), ma in tempi recenti è emerso con chiarezza (ad es. la crisi dei rifiuti in Campania) che l’amministrazione palesemente non ce la fa a gestire con i comuni, specie nel mezzogiorno, i prodotti di scarto della società industriale.
Il problema, come la Comunità Europea vede e progetta, può avviarsi a soluzione enfatizzando il concetto, derivato dal diritto privato, di responsabilità del produttore, che nella direttiva rifiuti è considerata responsabilità estesa del produttore, il quale è tenuto ad applicare la sua maggiore scienza, eventualmente consorziandosi con altri (e ciò dovrebbe essere favorito dal settore pubblico – amministrativo) per individuare modalità di smaltimento dei rifiuti che ne favoriscano il riciclo, il recupero, il riutilizzo.
L’amministrazione, nel frattempo, può operare per far sorgere degli inceneritori.
Nell’ambito di questo passaggio né semplice, né scontato, che richiede la mobilitazioni di molti saperi, non si può continuare ad aprire discariche, ma occorre costruire, medio tempore (fino all’epoca del recupero quasi integrale degli scarti), delle alternative: gli inceneritori.
Questi inceneritori sono stati costruiti in alcune regioni, in alcune regioni del Meridione invece no, non in Sicilia, in Puglia, non in Campania.
In Campania, in particolare, la situazione è collassata per una strutturale incapacità degli enti locali, che talvolta hanno società miste, in house, con dei punti di particolare debolezza sia per le infiltrazioni criminali sia per carenze gestionali: vi è stato un vero collasso del sistema della gestione, in mancanza di uno sbocco finale dei rifiuti e di investimenti finali chiaramente definiti.
Vi è la difficoltà di creare soluzione unitarie: l’ambiente non viene tutelato con una bacchetta magica, o attraverso un’impresa che si propone come solutore al problema, ma richiede una mobilitazione concorde di energie, uno spirito civico diffuso, una sensibilità che parta dal basso; altrimenti le imprese si scontrano con realtà sociali che non tollerano le scelte che vengono poste a monte su progetti ipotizzati per il migliore ciclo possibile di gestione dei rifiuti.
La gestione emergenziale della questione ambientale non deve non può diventare regola; bisogna evitare, anche laddove vi siano periodi di risorse scarse, che essa si trasformi in gestione ordinaria.
Questo avviene drammaticamente anche su un altro versante, che è quello della difesa del suolo, dai fenomeni sismici, dai terremoti; questi eventi luttuosi che si susseguono non sono esattamente solo effetto di sciagure, dovute al caso avverso o all’ira degli dei.
Le prime riflessioni sui terremoti risalgono al 700 (penso alla lettera di J.J. Rosseau a Voltaire sul disastro di Lisbona del 18 agosto 1756 in cui si afferma con chiarezza che la maggior parte dei mali naturali da cui siamo afflitti è opera nostra): sin da allora l’impressione è che l’uomo, quando accadono queste cose, spesso ci abbia messo lo zampino con la sua scarsa previdenza, con il modo con cui governa il territorio, con la concessione delle licenze; soprattutto con il modo in cui “non” vengono fatti degli investimenti per attuare i c.d. piani che le autorità di bacino hanno predisposto da lunghi anni per tutelare la sicurezza idrogeologica di un territorio, piani i quali richiedono di essere finanziati, piani non tutti urgentissimi ma che le crisi finanziarie dello Stato mettono da parte e che dovrebbero, invece, essere al centro delle politiche economiche e di qualsiasi politica rispettosa della sicurezza.
Noi avremo anche costruito un ottimo sistema di gestione delle emergenze, però la scarsità delle risorse e il malvezzo di considerare l’urbanistica come qualcosa di separato dalla giustizia, anche nelle aule dei tribunali, è un altro effetto della erarializzazione: si concentra la competenza in un unico luogo e quindi quello diventa il luogo dell’interdizione delle scelte.
Non si valuta l’ambiente al momento in cui la scelta sorge, dove sarebbe necessario, come sarebbe imposto dal principio secondo il quale la politica ambientale deve essere integrata nelle altre; la politica ambientale, anche nel momento in cui è intestata ad un ministero che ha una competenza specifica, è tutt’altro che integrata.
Personalmente ritengo che il Ministero dell’Ambiente dovrebbe essere un Ministero di coordinamento, non di spesa, la spesa dovrebbe essere lasciata agli Enti locali, perché l’ambiente va tutelato dal basso, e al Ministero dell’ambiente dovrebbero essere date funzioni simili a quelle della Presidenza del Consiglio e del Dipartimento degli Affari Regionali.

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