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Intervento alla Tavola Rotonda “L’ambiente tra diritto individuale e interesse collettivo”, Università di Roma La Sapienza, 21 gennaio 2010

di - 30 Aprile 2010
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E’ noto ad es. che in relazione a scelte di trasformazione del territorio, il legislatore istituisce commissioni che valutano l’impatto sull’ambiente, demandando all’amministrazione il compito di concretizzare lo standard tecnico che fissa il grado di compatibilità delle scelte di trasformazione con l’esperienza della conservazione.
Il legislatore agisce generalmente in questo modo, demandando all’amministrazione poteri di prescrizione e controllo (la tecnica del c.d. command and control).
Ciò significa delega all’amministrazione del compito di individuare un punto di equilibrio fra uomo e natura.
In disparte le scelte che attengono alla protezione dell’ecologia profonda, fatte nella legislazione in modo radicale, ad esempio nella legislazione sui parchi, nella quale risiede l’idea di recuperare il contatto profondo fra uomo e natura: il parco è un’isola felice per ciò che rimane in esso della natura incontaminata, per cui il parco merita una protezione particolare ed è oggetto di una inibizione assoluta; filosoficamente è qualcosa che non consente all’uomo di esercitare un’attività di trasformazione. Nel parco ci si deve astenere dal fare. Qui i poteri dell’amministrazione sono ridotti.
Qui la trasformazione del territorio langue.
Ciò non significa che i parchi non possano produrre anche utilità economiche legate alla fruizione di valori estetici e paesaggistici e naturalistici.
Ma, a parte quest’ambito, è di norma l’amministrazione che decide il come e il quando delle trasformazioni del mondo, così che il legislatore fissa le coordinate e l’amministrazione valuta.
La valutazione dell’amministrazione è sempre contestabile, e lo è dinanzi ai giudici amministrativi, secondo il dettato dell’art. 113 della Costituzione, ma anche dinanzi ai giudici civili – se continua ad esser vero che l’ambiente è tutelabile anche come diritto ad un ambiente salubre – e anche dinanzi ai giudici penali perché spesso le legislazioni speciali di tipo amministrativo, per chiudere il cerchio, sono corredate da previsioni che consentono l’intervento del giudice penale.
Ogni scelta e determinazione amministrativa, che nasce nel sistema per dare certezza al mondo delle imprese circa il quantum di trasformabilità che esse possono operare, può essere così contestabile in almeno tre sedi: amministrativa, civile e penale.
Il giudice amministrativo sarà più portato a compatibilizzare l’interesse pubblico con l’interesse individuale – e a cercare un punto di mediazione, per la consuetudine ad uniformarsi con il diritto europeo che ormai ha accolto il concetto di sviluppo sostenibile, e per sforzarsi di interpretare il complesso normativo alla luce di questo canone.
Al giudice civile è affidato il compito diverso di accertare se la regola concreta, se lo standard fissato dalle amministrazioni, non abbia arrecato un danno alla persona; si veda il caso in cui, di fronte alla scelta dell’autorità amministrativa di uno standard, magari circa l’avvelenamento dell’ambiente, ritenuto legittimo dal giudice amministrativo, venga contestato davanti al giudice civile oppure penale che uno standard abbia comunque determinato una patologia grave. Si pensi all’Ilva di Taranto, azienda specializzata nella produzione dell’acciaio, che emette – come è noto – emissioni nocive, soprattutto di diossina; la nostra disciplina con gli standard tecnici aderenti alla disciplina internazionale ha previsto una tempistica che è stata rispettata dall’impresa; tuttavia, nonostante il rispetto degli standard o delle tempistiche di adeguamento a limiti di emissione via via più restrittivi per alcune sostanze ritenute tossiche, si possono verificare, anche in osservanza degli standard, dei danni alle persone.
Questi danni vengono spesso denunciati alle unità sanitarie locali in quanto, nonostante il rispetto dello standard tecnico sull’ emissione di sostanze nocive nell’atmosfera, non vi è mai la sicurezza che non vi sia un danno riconducibile ad un atto lecito dannoso.
Si tratta di quelle scelte tragiche che non fanno cadere necessariamente quanto avviene nell’irrilevante giuridico, perché vi è comunque una norma di tutela della persona, in quanto tutto il nostro ordinamento è basato sull’ habeas corpus.
C’è la possibilità di affermare che gli standard tecnici costituiscono una scriminante fino a quando si tratta di valutare la trasformabilità del mondo naturale, ma non sono più una scriminante quando si tratta di valutare la persona umana e il nesso tra persona e natura.
C’è poi il problema del nesso tra interesse collettivo e interesse individuale, di uno spazio nel quale l’amministrazione possa intervenire utilmente sulla decisione sull’ambiente inteso come habitat, come mondo circostante, che ad alcune condizioni è strumentale anche ai nostri diritti soggettivi, tipo la libertà d’impresa (art 41 Cost.); vi è però il forte limite che troviamo nella stessa Costituzione, all’art 41, comma 2, secondo cui la stessa libertà d’impresa deve assicurare la sicurezza dei lavoratori e secondo cui la trasformabilità dell’ambiente, pure se assentita in via amministrativa, non consente di poter essere certi dell’eliminazione di tutte le condotte che siano eventualmente lesive del bios dell’uomo.

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