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La governance ambientale: alla ricerca di un equilibrio instabile

di - 21 Aprile 2010
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3. Le tensioni sul piano verticale
Se, dunque, dagli anni ’70 fino ad oggi le tensioni si concentrano perlopiù sul piano orizzontale, i periodi successivi sono caratterizzati dallo svilupparsi delle tensioni anche sul piano verticale.
Tali tensioni possono sintetizzarsi con riferimento fondamentalmente a quattro campi: rapporti tra normativa internazionale e nazionale; rapporti tra normativa comunitaria e nazionale; rapporti tra normativa statale e normativa regionale; rapporti tra i regolatori e le imprese.
Si pensi innanzitutto alle tensioni tra gli organismi internazionali preposti alla definizione di standard e alle autorità nazionali che di volta in volta vengono chiamate ad adottare o a discostarsi da tali standards.
I casi sono innumerevoli ma si possono citare gli standards precauzionali definiti dall’ICNIRP o le regole di sicurezza alimentare a cui si riferisce il Codex alimentarius.
Ma soprattutto, alle tensioni che si sono sviluppate tra la normativa comunitaria e quella nazionale.
All’interrogativo se gli Stati nazionali abbiano la possibilità di adottare norme meno “verdi” o più “verdi” di quelle comunitarie la giurisprudenza comunitaria ha risposto che le norme meno “verdi” possono essere adottate solo in via eccezionale e temporanea e che quelle più “verdi” possono essere adottate solo se giustificate da esigenze importanti o fondate su nuove prove scientifiche. Tali ultime disposizioni devono essere motivate e notificate dallo Stato membro.
Si pensi all’illogicità di normative differenziate sui requisiti di potabilità dell’acqua, di balneabilità o per il consumo umano o per la tutela di specie minacciate.
Il settore nel quale con maggiore evidenza si manifestano le tensioni è però quello dei rapporti tra Stato e Regioni.
Tale rapporto è stato fin dall’inizio altalenante con periodi ciclici di accentuazione della prevalenza del centro o della periferia.
In un primo tempo (metà-fine anni ’70) sembrava che il legislatore e la Corte Costituzionale dovessero muoversi nella linea della prevalenza della periferia (con il dpr 616/1977 si attribuirono molte competenze alle Regioni e la Corte Costituzionale con la sentenza n. 72/1977 assecondò tale spinta regionalistica).
In un secondo momento (anni ’80) vi fu una netta inversione di tendenza con la prevalenza del centro, dal momento che molte normative speciali riattribuirono competenze al centro (legge 431/1985, cd. legge Galasso, sulla tutela delle zone di particolare interesse ambientale; legge sulla difesa del suolo (l. 183/1989); legge sulle aree naturali protette (l. 394/1991)).
In un terzo momento (fine anni ’90) grazie soprattutto alle leggi Bassanini (d.lgs. 112/1998 emanato sulla base della l. n. 59/1997) si ritornò alla prevalenza della periferia: anche per la materia di protezione della natura e dell’ambiente tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate come di rilievo nazionale vennero attribuite alle regioni, che a loro volta provvedono all’assegnazione agli enti locali come le Province.
Il Codice dell’ambiente, almeno a detta delle Regioni, avrebbe però non tanto confermato l’impianto delineato dal d.lgs. n. 112/1998 quanto invece riportato a livello statale competenze che prima erano di livello regionale. Da qui sono nate le contestazioni di cui la Corte sta discutendo in questi giorni.
Dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale sul punto si possono distinguere varie tappe.
In una prima tappa (fino al 2001) la Corte Costituzionale aveva già acquisito che la competenza in materia di ambiente dovesse essere distribuita tra Stato e Regioni.
Con la riforma del titolo V e con l’introduzione della competenza esclusiva dello Stato si era operata, almeno in astratto, una riattribuzione della competenza verso l’alto a livello statale.
Ma la Corte Costituzionale, praticamente sin da subito, ha affermato che una totale risalita delle competenze amministrative non era praticabile per la trasversalità della materia ed ha continuato a riconoscere ai legislatori regionali la possibilità di occuparsi di ambiente.
Si è posto quindi il noto problema di capire se una regione possa adottare norme meno “verdi” o più “verdi” di quelle statali.
In ordine al primo punto, pare escluso che una Regione possa adottare norme meno garantistiche a meno che, ovviamente, tale deroga non venga prevista direttamente dalla legislazione statale (v. ad es. art. 81, 86 e 89 cod.amb.).
In ordine al secondo punto, l’art. 3 quinquies cod. amb. afferma che le regioni possono adottare forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive solo qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio e purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali.
Tale norma ha aiutato la Corte Costituzionale (sent. 225/2009 e le successive dieci) ad uscire dalle oscillazioni che l’hanno caratterizzata in questi anni: in un primo tempo infatti aveva riconosciuto la possibilità di norme più “verdi” (sent. 407/2002) adottate dalle Regioni; poi aveva negato tale possibilità con riferimento al settore dell’inquinamento elettromagnetico (307/2003; 331/2003; 336/2005; 103/2006) o di rifiuti radioattivi (62/2005); poi ancora era tornata ad affermare la legittimità di norme regionali di maggiore protezione ambientale (182/2006 e 246/2006).

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