Amministrazione e giurisdizione nel modello svedese: riflessioni e resoconto di un viaggio

Partendo per la Svezia, dove avrei dovuto soggiornare per due settimane, per uno scambio di esperienze organizzato dalla Commissione europea e dalle magistrature amministrative nazionali, ho scelto qualche libro da portare con me.
Scelte del genere, come si sa, si fanno seguendo l’ispirazione del momento.
Fra i dizionari giuridici necessari per far fronte ad una “full immersion” in un ordinamento straniero e alcuni gialli svedesi che mi sembravano appropriati per comprendere il contesto sociale ed il dark side della cultura che mi avrebbe ospitato, si è incuneato un libro fresco d’acquisto, di un sociologo molto acuto, Zygmunt Bauman, che ha dedicato l’ultima sua fatica pubblicata in italiano ad un’analisi dell’ “Etica in un mondo di consumatori”.
Mai avrei pensato che proprio questo libretto mi sarebbe stato di aiuto (fra alcuni altri che poi menzionerò) per comprendere, con l’intuizione fulminea del sociologo, le istituzioni ed il modello sociale del paese che mi accingevo a visitare e studiare.
Esauriti i libri che ritenevo più pertinenti (alcuni testi sull’ombudsman e sulla costituzione svedese) un sera comincio la lettura di Bauman per puro diletto.
Ed a pagina 106 scopro, in un lampo, la ragione del mio viaggio, leggendo il capitolo “Governare l’egoismo”.
Qui è necessario che lasci spazio all’autore, Bauman, il quale, come è noto a chi lo ha frequentato, discorre di libertà liquido-moderna; della ormai ineludibile necessità di costruire e ricostruire nel corso di una vita, incessantemente, la propria identità; di gioie promesse dalla società dei consumi (ma riservate a pochi) e sventure subite da persone (molte e le più sfortunate) che alla libertà liquido-moderna preferirebbero rinunciare (vedendo nella pubblicità il “tu devi” moderno che incoraggia a provarci e determina nel contempo frustrazione) fino a quando, così discorrendo, ci si imbatte nello Stato sociale, come rimedio alla paura ed al disagio indotti dalla moderna società dei consumi.
Un concetto – quello di Stato sociale – familiare al giurista.
Ben noto a coloro i quali si sono formati sui testi di Massimo Severo Giannini.
Un concetto in crisi se è vero – come nota Bauman – che i legislatori cercano, in tutto il mondo, di ridurre i deficit finanziari pubblici espandendo il “deficit di cura” (tagliando i fondi per le madri single, i disabili, i malati mentali e gli anziani)
Uno Stato – sottolinea Bauman – è sociale quando promuove il principio del garantito dalla collettività, un’assicurazione collettiva contro le sventure individuali e le loro conseguenze.
Nello Stato sociale – per Bauman – è il concetto di società che viene riscritto ed all’ordine dell’egoismo si sostituisce l’esperienza di una comunità percepita e vissuta come propria (la parola comunità – a chi scrive – evoca sempre il periodo più felice del capitalismo italiano, la parabola di Adriano Olivetti, della quale ho appreso per diretta testimonianza dalla viva voce di mio padre che fu Pretore in Ivrea in quel periodo e ne aveva un ricordo smagliante).
Lo Stato sociale garantisce dagli orrori gemelli della miseria e dell’indegnità, protegge dal terrore di essere esclusi, di cadere fuori dal veicolo, in rapida accelerazione, del progresso.
Gli esuberi diventano scarti, e gli scarti sono consegnati al destino del rifiuto, anche se scarti umani.
Uno Stato sociale non accetta la produzione di scarti umani, considera l’assicurazione sociale un bene collettivo, necessario complemento, secondo la lezione di Beveridge, del concetto liberale di libertà individuale.
Per molte persone la libertà liberale rimane un sogno irraggiungibile, essa ha più l’aspetto della disperazione e dell’emarginazione che quello del successo e dell’inclusione.
Va inoltre considerato che, senza protezione dai rischi di emarginazione, anche la democrazia è a rischio poiché i molti, esclusi dalle grandi opportunità della libertà liquido-moderna, non hanno interesse, né tempo, per l’esercizio dei diritti politici se non protetti da un’assicurazione collettiva.
Ed allora, considerando che tutti siamo vulnerabili prima o poi; che tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri; che saremo tutti più ricchi se nessuno verrà tagliato fuori; più forti se ci sarà sicurezza per tutti, allora il modello scandinavo mostra la sua attualità.
Non un’utopia tramontata, “tutto – come dice Bauman – fuorché una reliquia di speranze passate ed ormai disilluse o un prototipo che il consenso popolare ha liquidato come esempio superato”.
I suoi principi di fondo rimangono vivi ed attuali ed hanno ancora capacità di accendere speranze.
Ecco quello che ho letto.
La ragione del viaggio.
Studiare una società capace di “governare l’egoismo”, come forse noi non siamo stati capaci di fare (pur avendo guardato a quel modello in una certa fase storica; negli anni settanta in cui si istituiscono, a livello regionale, gli ombudsman italiani sul modello svedese, e, nel diritto commerciale e del lavoro, si analizzano i modelli di partecipazione dei lavoratori al capitale).

Società basate sulla fiducia e società basate sul sospetto
A questo punto devo fare un’altra considerazione.
La società svedese è basata sulla fiducia e sulla trasparenza amministrativa come regola generale.
La Costituzione svedese protegge dal 1766 la libertà di stampa ed il diritto di accesso (la costituzione si compone di tre atti fondamentali di cui uno è il c.d. FPA Freedom of the Press Act, per usare la terminologia anglosassone), e tale concezione ha il suo corollario in un ampio e generalizzato diritto di accesso agli atti dell’amministrazione che, a differenza di quanto previsto nel diritto italiano, prescinde da ogni forma di legittimazione per posizione differenziata.
Sulla Costituzione svedese, per questo riguardo, di estremo interesse e di grande utilità mi è stato il libro di Hans Ragnemalm Administrative Justice in Sweden (Giustizia amministrativa in Svezia) da me reperito nella biblioteca della Corte Suprema Amministrativa di Svezia (Regeringsratten) dove si è svolto lo stage.
Ivi ho appreso che il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Svezia spetta a tutti per disposizione costituzionale.
Ogni cittadino – in Svezia – ha diritto di accedere ad un fascicolo amministrativo tranne che l’istruttoria sia in corso e vi sia un ostacolo alla funzionalità dell’amministrazione.
Trasparenza e fiducia sono i connotati del sistema.
Ho potuto vedere che spesso negli uffici pubblici e giudiziari vi è una sala per la stampa, ove i funzionari, in modo trasparente, collocano i provvedimenti e gli atti (giudiziari ed amministrativi) che, quotidianamente, sono offerti alla consultazione del pubblico, previa cancellazione delle parti di tali atti che potrebbero offendere la privacy.
La sfera pubblica è sfera di trasparenza integrale.
Nel contempo gli svedesi sono di una riservatezza proverbiale, non seconda a quella degli inglesi, ma per tutto ciò che concerne la sfera privata ed intima della vita (nel viaggio quale antidoto a tanta trasparenza, avevo con me il libretto aureo di un altro sociologo, tedesco, Wolfang Sofsky, intitolato “In difesa del privato”; l’avevo con me pensando alla privacy come ad un valore ma per la protezione di ciò che è privato davvero, non speciosamente).
La società è poco conflittuale e vive i rapporti amministrativi basandosi sulla fiducia fra amministratori ed amministrati, garantita da un ampio accesso di laici all’amministrazione ed alla giustizia e da una storica garanzia delle autonomie amministrative, connotate più dalla presenza di municipalità che di regioni.
In Svezia ogni proposta di limitare il diritto di pubblico accesso ai documenti è guardata con sospetto ed una gran parte della pubblica opinione insorge ogni volta che politicamente la materia è fatta oggetto di discussione con prospettive restrittive.
Il principio dell’accesso costituisce la base per assicurare un’amministrazione aperta, efficiente, ben funzionante, non è quindi riguardato come un diritto dell’individuo che ha una sua posizione di interesse da discutere con l’amministrazione, ma come il principio per cui ogni autorità deve lavorare sotto lo sguardo e la supervisione del pubblico.
La Svezia è una società che, per legge, confina il segreto ai suoi margini.
La nostra, a confronto, nonostante gli innegabili passi avanti fatti con l’approvazione della legge n. 241 del 1990 è una società che concede l’accesso con cautela, essendo stata, per anni, dominata dal segreto (e dal sospetto che il segreto si porta dietro) e dall’idea del potere segreto (l’idea antichissima del potere come sede terrena del misterium aequitatis ed iniquitatis).
La pubblicità permea di sé anche il sistema giudiziario. Le udienze sono pubbliche. La camera di consiglio non è segreta in modo assoluto. È ammessa la dissenting opinion, che viene discussa in dottrina e tenuta in considerazione nello sviluppo della giurisprudenza.
Della dissenting opinion si fa uso parco, in ragione della moderazione che caratterizza l’esercizio dei pubblici uffici nel paese.
Il patrocinio dell’avvocatura non è obbligatorio, ciò viene considerato un ostacolo all’accesso del cittadino alla giustizia, né l’avvocatura se ne lamenta, venendo comunque compulsata per le cause più rilevanti.
Le cause – anche quelle amministrative – sono istruite d’ufficio da giudici referendari: ce ne sono da dieci a venti in ausilio di ogni magistrato decidente, essi hanno il compito di formare il fascicolo e formulare al giudice (monocratico o collegiale che sia) una proposta di decisione.
In compenso le impugnazioni sono limitate per legge, esse sono consentite solo se è concesso il permesso di impugnare e tale permesso è concesso solo se la causa è importante come precedente (in pratica si decide il 2-3% delle impugnazioni proposte); e nessuno se ne lamenta, la regola restrittiva campeggia in costituzione come esempio di giustizia realistica (è garantito il primo grado; il resto è concesso solo se vi è coincidenza fra pubblico e privato interesse).

Nonostante queste regole restrittive anche la Svezia ha i suoi problemi di lentezza dei processi (che non superano mediamente i due anni) con l’art. 6 della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo, ma spesso ho notato che i colleghi svedesi trasecolavano all’idea del divieto generalizzato del non liquet esistente in Italia, trovandolo una premessa per il collasso del sistema giudiziario.
Il non liquet da noi non sarebbe possibile per Costituzione replicavo; poi, fra me e me pensavo: esso è consentito in una società solo se i cittadini si fidano gli uni degli altri.
Forse in Italia, vien da pensare con tristezza, siamo machiavellici, non ci fidiamo abbastanza gli uni degli altri per ipotizzare una modifica dell’art. 24 Cost. ed avvicinare la giustizia a canoni di maggiore efficienza.
Vogliamo esperire impugnazioni con larghezza perché diffidiamo gli uni degli altri, diffidiamo dei giudici e temiamo gli errori giudiziari.
E forse il nostro sistema giudiziario è troppo nell’occhio del ciclone e della polemica politica per pensare di poterne fare oggetto di un’investitura di fiducia così importante (limitando l’accesso generale al primo grado e prevedendo restrizioni al diritto di appello e di impugnazione successiva).
Una società – quella svedese – basata sulla fiducia fra amministratori ed amministrati, in un modo non facilmente replicabile altrove ma affascinante.

Reputazione e buona amministrazione
Una società imperniata sulla fiducia, ma non solo.
Anche sull’importanza della reputazione (potremmo definirla l’importanza del fattore reputazionale).
Ho domandato ad alcuni colleghi svedesi, spinto dalla curiosità: che succede nel vostro sistema amministrativo quando la sentenza del giudice amministrativo non viene eseguita?
La risposta è stata improntata a meraviglia; il caso si verifica assai di rado; in tali evenienze si scomodano l’Ombudsman parlamentare od il Cancelliere di Giustizia (istituzione governativa antichissima, di impronta regia, avente lo scopo di vigilare sulla pubblica amministrazione e di esercitare all’occorrenza, come l’ombudsman, una speciale inquisizione penale sui pubblici funzionari).
Ma, in genere, basta una raccomandazione a provvedere e tutto si accomoda per il meglio.
Nelle nostre – italiche – statistiche giudiziarie le ottemperanze oscillano fra il 10 ed 20 % delle controversie!
Basta questo per evidenziare una caratteristica generale, spesso in ombra, del diritto amministrativo informale.
Una caratteristica dello “Stato di diritto informale”, avrebbe detto Giorgio Berti, ossia l’importanza che, nel diritto e nel diritto pubblico in particolare, è rivestita dalla reputazione.
Per vari e complessi motivi che è arduo analizzare in questo scritto, in Italia, dove spesso il problema è l’affermazione della legalità sul territorio, spesso funestato dalle mafie, la reputazione non ha alcuna valenza positiva nell’enforcement del diritto amministrativo.
Ma se fosse possibile recuperarne la forza la società farebbe un passo avanti. Serio. Forse decisivo, attesa la valenza e l’importanza che la reputazione ha nell’instaurare un clima di fiducia e nell’evitare le liti.
La reputazione è un fattore di buona amministrazione.
Il disdoro etico/deontologico previene le patologie giudiziarie.
In Svezia ad es. non vige la nostra regola costituzionale dell’accesso ai pubblici uffici per concorso.
Basta un’intervista. Anche per diventare referendari (i giudici invece sono nominati dal Governo, segno di massima serenità nel rapporto fra i poteri; ma sono inamovibili e non licenziabili dal Governo a tutela della loro indipendenza).
Non si segnalano timori diffusi di un uso distorto del potere di cooptazione dei funzionari nelle cariche pubbliche.
Il disdoro e la riprovazione che ne seguirebbero sul piano sociale sono considerati fattori sufficienti a prevenire l’uso clientelare del potere.
Tuttavia il sistema è oggetto di ripensamento e si sono verificati scandali nell’ultimo periodo del governo socialdemocratico, che, al pari della morte di Olof Palme, hanno condotto la Svezia ad una svolta politico – culturale (che segna un irrigidimento rispetto ai canoni consueti e, ad es. un mutamento di filosofia nell’affrontare il problema dell’immigrazione dalla tradizionale apertura ad una certa prudenza a difesa del proprio modello sociale).

Lo Stato sociale si riflette nella giurisdizione amministrativa
I pilastri dell’azione amministrativa in Svezia sono la tassazione e le assicurazioni sociali.
Infatti sono anche le materie di cui si occupano in via prioritaria i giudici amministrativi.
Il sistema dello Stato sociale e le tasse che lo reggono sono la competenza principale del giudice amministrativo, che è quindi un po’ un giudice tributario e un po’ un giudice della previdenza e dell’assistenza sociale.
Un giudice che maneggia diritti fondamentali e questioni relative ai marginali e non le questioni inerenti la natura del pubblico potere (ottica che deriva, nel nostro sistema, dalla costituzionalizzazione della regola del riparto di giurisdizione per diritti ed interessi ossia, in definitiva, in dipendenza dell’esistenza di un pubblico potere o no); il sistema giudiziario è impegnato nell’applicazione di un diritto amministrativo che tocca tutti e non solo il problema delle nuove forme del diritto pubblico dell’economia (la materia degli appalti pubblici vi ha uno spazio ridotto e specialistico e così quella del risarcimento danni per l’azione della p.a.).
Naturalmente si istituisce il giudice amministrativo per materie, incentrate su tassazione e sicurezza sociale, perché dietro le questioni di diritto pubblico c’è la logica erariale e dietro quella logica, implacabile, un’idea di comunità, lo Stato sociale.

Nel nostro modello la logica erariale è ormai in ombra (sembra mal tollerata anche come argomentazione interpretativa e si rinviene di rado nelle decisioni), emerge invece il conflitto autorità-libertà, è il potere l’estraneo, non il prelievo fiscale (il potere poi è fatto oggetto – contraddittoriamente – nella nostra tradizione, anche dal punto di vista del diritto costituzionale vivente, di una considerazione benevola e si pensi all’impossibilità di assumere prove testimoniali nei processi tributari; in Svezia, invece, ammesse e considerate ineludibili, attesa la responsabilità personale dell’autore della violazione fiscale anche per le sanzioni amministrative pecuniarie; responsabilità che da noi è stata introdotta nel 1997, ma senza il contrappeso del discarico testimoniale).
Contrappeso alla centralità del potere è la logica del risarcimento.
Forse è proprio questa centralità del potere il carattere tipico del modello francese, di derivazione napoleonica.
Il potere, autocratico in origine, campeggia, il cittadino lo subisce ma può reagire.
Il più reattivo è aiutato da se stesso e dalle sue capacità di reazione nella lotta per la vita che è la lotta per il diritto.
Il diritto al risarcimento danni da violazione di interesse legittimi è l’esito finale di una parabola storica.
Nella placida – ma inquieta (se si pensa alla scrittura dei romanzi noir) – Svezia il cittadino è, di norma, concepito come equi-ordinato al potere. Non c’è – in quella lontana terra – la regola generale dell’autotutela esecutiva, ma la p.a., salvi i casi previsti dalla legge (quasi tutti in materia di tassazione e di sicurezza sociale), non ha il potere di eseguire in proprio, deve chiederlo ai giudici ordinari.
Un atto di piano è illegittimo, viene annullato in autotutela ed un immobile deve essere abbattuto?
Anche dopo tre gradi davanti alla giurisdizione amministrativa, se l’amministrazione vince per eseguire la demolizione deve affrontare un giudizio innanzi al giudice civile.
Un giudizio di condanna e di esecuzione, come un qualsiasi privato.
Poi pure essendovi due ordini di giudici non c’è alcun rimedio che garantisca il coordinamento fra le corti.
La regola è il principio Kompetenz- Kompetenz.
Ma i conflitti sono rari, anche se sul punto del parallelismo senza coordinamento (da noi c’è l’art. 111 ultimo comma della Cost.) i giuristi svedesi più accorti ammettono l’esistenza di una lacuna del sistema.
D’altra parte non c’è nemmeno la Corte Costituzionale, istituto che ripugna ad un paese che in costituzione enfatizza al massimo la sovranità popolare ed i poteri di law-making del Parlamento.
Ogni giudice, come negli Stati Uniti, è giudice del controllo diffuso di costituzionalità per il caso deciso, senza timori reverenziali verso il Parlamento, né di invasioni di campo impossibili quando la legge in nessun modo può essere annullata.
L’attività del porre regole e dell’applicarle al caso deciso è così ben separata in quel sistema.

Conclusioni
Per evitare fraintendimenti non si intende proporre la Svezia a modello, facendo comparazione ingenua, ma si spera di aver fornito alcune informazioni in breve, su un sistema amministrativo più simile al modello tedesco che a quello francese, incentrato sulla finalità di difesa dello Stato sociale e che assicura autotutela esecutiva al fisco ed alla sicurezza sociale ed in pochi altri campi.
Un sistema che ha ancora da insegnare qualcosa (come vuole Bauman) ed è comunque interessante da conoscere anche al solo fine di comprendere meglio talune caratteristiche, a volte implicite, del nostro sistema giuridico.
Due principi appaiono tuttavia interessanti e vanno considerati come utili spunti per la costruzione di istituti giuridici futuri, nonostante la diversità del mondo sociale da cui si originano: il principio della fiducia fra amministratori ed amministrati e quello della importanza della reputazione nel garantire la buona amministrazione (principio che spiega l’istituto svedese dell’ombudsman).
Ferma restando la diversa idea del potere (verticale da noi; orizzontale in quella società), fiducia e reputazione possono essere ben considerati tratti mutuabili in qualsiasi sistema (ove si presentano in gradazioni diverse).
La fiducia rende fluidi i rapporti, riduce il contenzioso, conduce ad un’amministrazione progressivamente sempre più trasparente e basata sull’accountability, la reputazione evita il ricorso alla sanzione penale che va intesa sempre come extrema ratio.
Questi principi sono essenziali per costruire uno Stato basato su principi solidaristici ed escludere, per quanto possibile, quali che siano le ulteriori caratteristiche del diritto amministrativo, che si ingrossino, nella crisi fiscale che connota il presente, le fila delle vittime della esclusione prodotta dai meccanismi implacabili della società dei consumi.
Si può ipotizzare che la società del sospetto, forse, rischi di lasciare indietro più gente sfortunata di quanta ne possa soccorrere una società basata sul modello della fiducia, della cooperazione e del mutuo soccorso.
Forse è necessario far fuoriuscire la fiducia dal recinto della famiglia come gruppo sociale nel quale siamo abituati a confinarla.
Un legislatore amministrativo accorto misuriamolo anche dalla capacità di costruire regole che aumentino il grado di fiducia circolante nella società fra amministratori ed amministrati.
Una società civile, senza idealizzazioni, consideriamola tale se sa salvare sentimenti solidaristici e senso di responsabilità etica prima che giuridica.

Intendo ringraziare, infine, Lizbeth Molander (Senior Judge Referee della Corte Suprema amministrativa), Anna Fridh Welin (Administrative legal assistant) ed i numerosi colleghi della Corte Suprema amministrativa del Regno di Svezia per la loro pazienza e gentilezza nel discutere le tante tematiche di cui ero curioso senza pretendere l’uso della loro lingua madre e consentendomi di accedere alla conoscenza del loro diritto amministrativo usando l’inglese, straordinario veicolo di formazione della nuova coscienza giuridica europea tutte le volte in cui a fronteggiarsi siano culture nazionali assai diverse, importanti, ma non dominanti, come quella italiana e quella svedese.