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Amministrazione e giurisdizione nel modello svedese: riflessioni e resoconto di un viaggio

di - 8 Aprile 2010
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Nel nostro modello la logica erariale è ormai in ombra (sembra mal tollerata anche come argomentazione interpretativa e si rinviene di rado nelle decisioni), emerge invece il conflitto autorità-libertà, è il potere l’estraneo, non il prelievo fiscale (il potere poi è fatto oggetto – contraddittoriamente – nella nostra tradizione, anche dal punto di vista del diritto costituzionale vivente, di una considerazione benevola e si pensi all’impossibilità di assumere prove testimoniali nei processi tributari; in Svezia, invece, ammesse e considerate ineludibili, attesa la responsabilità personale dell’autore della violazione fiscale anche per le sanzioni amministrative pecuniarie; responsabilità che da noi è stata introdotta nel 1997, ma senza il contrappeso del discarico testimoniale).
Contrappeso alla centralità del potere è la logica del risarcimento.
Forse è proprio questa centralità del potere il carattere tipico del modello francese, di derivazione napoleonica.
Il potere, autocratico in origine, campeggia, il cittadino lo subisce ma può reagire.
Il più reattivo è aiutato da se stesso e dalle sue capacità di reazione nella lotta per la vita che è la lotta per il diritto.
Il diritto al risarcimento danni da violazione di interesse legittimi è l’esito finale di una parabola storica.
Nella placida – ma inquieta (se si pensa alla scrittura dei romanzi noir) – Svezia il cittadino è, di norma, concepito come equi-ordinato al potere. Non c’è – in quella lontana terra – la regola generale dell’autotutela esecutiva, ma la p.a., salvi i casi previsti dalla legge (quasi tutti in materia di tassazione e di sicurezza sociale), non ha il potere di eseguire in proprio, deve chiederlo ai giudici ordinari.
Un atto di piano è illegittimo, viene annullato in autotutela ed un immobile deve essere abbattuto?
Anche dopo tre gradi davanti alla giurisdizione amministrativa, se l’amministrazione vince per eseguire la demolizione deve affrontare un giudizio innanzi al giudice civile.
Un giudizio di condanna e di esecuzione, come un qualsiasi privato.
Poi pure essendovi due ordini di giudici non c’è alcun rimedio che garantisca il coordinamento fra le corti.
La regola è il principio Kompetenz- Kompetenz.
Ma i conflitti sono rari, anche se sul punto del parallelismo senza coordinamento (da noi c’è l’art. 111 ultimo comma della Cost.) i giuristi svedesi più accorti ammettono l’esistenza di una lacuna del sistema.
D’altra parte non c’è nemmeno la Corte Costituzionale, istituto che ripugna ad un paese che in costituzione enfatizza al massimo la sovranità popolare ed i poteri di law-making del Parlamento.
Ogni giudice, come negli Stati Uniti, è giudice del controllo diffuso di costituzionalità per il caso deciso, senza timori reverenziali verso il Parlamento, né di invasioni di campo impossibili quando la legge in nessun modo può essere annullata.
L’attività del porre regole e dell’applicarle al caso deciso è così ben separata in quel sistema.

Conclusioni
Per evitare fraintendimenti non si intende proporre la Svezia a modello, facendo comparazione ingenua, ma si spera di aver fornito alcune informazioni in breve, su un sistema amministrativo più simile al modello tedesco che a quello francese, incentrato sulla finalità di difesa dello Stato sociale e che assicura autotutela esecutiva al fisco ed alla sicurezza sociale ed in pochi altri campi.
Un sistema che ha ancora da insegnare qualcosa (come vuole Bauman) ed è comunque interessante da conoscere anche al solo fine di comprendere meglio talune caratteristiche, a volte implicite, del nostro sistema giuridico.
Due principi appaiono tuttavia interessanti e vanno considerati come utili spunti per la costruzione di istituti giuridici futuri, nonostante la diversità del mondo sociale da cui si originano: il principio della fiducia fra amministratori ed amministrati e quello della importanza della reputazione nel garantire la buona amministrazione (principio che spiega l’istituto svedese dell’ombudsman).
Ferma restando la diversa idea del potere (verticale da noi; orizzontale in quella società), fiducia e reputazione possono essere ben considerati tratti mutuabili in qualsiasi sistema (ove si presentano in gradazioni diverse).
La fiducia rende fluidi i rapporti, riduce il contenzioso, conduce ad un’amministrazione progressivamente sempre più trasparente e basata sull’accountability, la reputazione evita il ricorso alla sanzione penale che va intesa sempre come extrema ratio.
Questi principi sono essenziali per costruire uno Stato basato su principi solidaristici ed escludere, per quanto possibile, quali che siano le ulteriori caratteristiche del diritto amministrativo, che si ingrossino, nella crisi fiscale che connota il presente, le fila delle vittime della esclusione prodotta dai meccanismi implacabili della società dei consumi.
Si può ipotizzare che la società del sospetto, forse, rischi di lasciare indietro più gente sfortunata di quanta ne possa soccorrere una società basata sul modello della fiducia, della cooperazione e del mutuo soccorso.
Forse è necessario far fuoriuscire la fiducia dal recinto della famiglia come gruppo sociale nel quale siamo abituati a confinarla.
Un legislatore amministrativo accorto misuriamolo anche dalla capacità di costruire regole che aumentino il grado di fiducia circolante nella società fra amministratori ed amministrati.
Una società civile, senza idealizzazioni, consideriamola tale se sa salvare sentimenti solidaristici e senso di responsabilità etica prima che giuridica.

Intendo ringraziare, infine, Lizbeth Molander (Senior Judge Referee della Corte Suprema amministrativa), Anna Fridh Welin (Administrative legal assistant) ed i numerosi colleghi della Corte Suprema amministrativa del Regno di Svezia per la loro pazienza e gentilezza nel discutere le tante tematiche di cui ero curioso senza pretendere l’uso della loro lingua madre e consentendomi di accedere alla conoscenza del loro diritto amministrativo usando l’inglese, straordinario veicolo di formazione della nuova coscienza giuridica europea tutte le volte in cui a fronteggiarsi siano culture nazionali assai diverse, importanti, ma non dominanti, come quella italiana e quella svedese.

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