Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Il ruolo della giurisprudenza nei sistemi costituzionali multilivello

di - 10 Marzo 2010
      Stampa Stampa      

Questi sono temi delicatissimi che ogni Corte costituzionale nazionale può interpretare a suo modo, perché esistono diverse sensibilità nazionali. Quindi, le tradizioni costituzionali nazionali non scompaiono in questa molteplicità dei modelli giuridici, non si chiudono più come in passato in un ordine unitario, non sono forse più possibili esperienze giuridiche chiuse. Con ciò non dobbiamo rinunciare all’idea del sistema: il sistema rimane sempre la base dell’intelaiatura, come il giuspositivismo non va abbandonato come ancoraggio. Ma dobbiamo far qualcosa di più di quel che ha fatto Porzia, più dell’interpretazione letterale, dobbiamo avere il coraggio di aprire la funzione del giurista – e del Giudice in particolare – alla vitalità dei principi costituzionali, che non sono più solo quelli nazionali e che vanno confrontati in tutte le tradizioni giuridiche, in tutti i linguaggi possibili.
E sul piano delle conseguenze politiche di questa situazione babelica, si vede che la politica fatica a trovare il luogo della composizione e reagisce spesso chiudendosi – rischio gravissimo – nella rivendicazione dello stato d’eccezione (torna Schmitt…), nella decisione efficiente sol perché urgente, resa con decreto urgente. Non a caso poi il Custode della Costituzione analizzava la decretazione d’urgenza che era compito del Presidente della Repubblica di Weimar: nelle fasi di crisi è inevitabile che si faccia riferimento a poteri eccezionali.
Una politica che non ha dimensione spaziale adeguata si rifugia, quindi, nella decretazione urgente, perché essa dà ancora un’impressione di avere una presa sulla realtà, ma questa presa sulla realtà è contingente, perché la struttura e la dimensione dei problemi sfuggono a questa sua capacità ordinatrice: continuano a sfuggire perché eccedono i confini dello Stato nazionale con riferimento a molti temi (si pensi ai temi della sicurezza, dell’immigrazione, dell’ambiente), i quali richiedono un’estrema cooperazione tra ordinamenti giuridici diversi. Qui speriamo che – essendovi forme di cooperazione visibili nel mondo delle amministrazioni e nel mondo giudiziario – il dialogo continuo e l’incontro continuo fra i leader del mondo eviti gli arroccamenti e le chiusure che nei momenti di crisi del passato – soprattutto nella crisi del ’29 – hanno avuto esiti nefasti.
Ed è auspicabile che, nel dialogo continuo, ci si ponga il problema della necessità di individuare un percorso, perché senza politica e senza lex il Giudice fallisce il suo compito; il Giudice è solo, e non può farcela neanche nell’ordinamento globale disegnato dal Primo Presidente Carbone: penso che sia necessario porre la regola. Il Giudice non può rifiutare nel frattempo la decisione (questo è un altro dei drammi del ruolo della giurisprudenza in questa fase storica: la politica può differire le scelte quando non riesce a trovare un compromesso, ma il Giudice deve rispondere alla domanda di tutela) e spesso nell’ordinamento sono mantenute indicazioni, direttive e prescrizioni antinomiche, di fronte alle quali il Giudice trova il modo di ponderarle con i principi: egli attiva il circolo ermeneutico. Il Giudice, cioè, parte dal caso concreto, lo paragona al principio, e il principio illumina la regola: qualcosa di molto diverso dalla sussunzione, insomma.
Nel circolo ermeneutico è il caso concreto che fa in qualche modo emergere la razionalità della regola, perché essa si armonizza con il contenuto del principio che stiamo utilizzando al fine di risolvere nel modo più adeguato possibile la controversia. Ciò non basta, perché la capacità ordinatrice del diritto deve essere esercitata nella dimensione sua propria, adeguata al progetto moderno: che deve continuare (magari senza le asprezze della politica assoluta), ma è un progetto di autodeterminazione delle collettività, non di frammentazione pulviscolare degli interessi in un mondo solo caratterizzato dalla presenza dell’amministrazione e della giurisdizione.
Quindi in un mercato che non si autoregoli, ma che venga regolato da una politica capace – non dico di essere uno Stato mondiale (sarebbe una utopia) – ma di trovare almeno le nuove coordinate della spazialità e della normazione adeguate al tempo in cui viviamo, credo che il compito dei Giudici si farà più fisiologico; e molti dei conflitti che noi oggi viviamo – che sono la conseguenza di questa ipocrisia per cui non vogliamo ammettere la creatività del ruolo del Giudice – si andranno stemperando, perché la politica avrà ripreso il ruolo che le è proprio e la giurisdizione non potrà che seguire, essendo un sottosistema del sistema politico.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy