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Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici

di - 5 Marzo 2010
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L’evoluzione della formulazione dell’art. 140 bis costituisce una ulteriore conferma della conclusione già raggiunta. L’omessa espressa menzione delle associazioni rappresentative tra i soggetti legittimati è intenzionale. La legittimazione delle associazioni rappresentative a proporre l’azione collettiva per l’efficienza dell’amministrazione, non espressamente prevista, deve essere esclusa.
Il dubbio è semmai se, così facendo, il legislatore delegato non abbia tradito le indicazioni della legge delega ed in particolare del criterio enunciato al numero 1) della lett. l), per il quale la proposizione dell’azione deve essere consentita “anche alle associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati” (senza alcun riferimento alla necessaria rappresentanza di una pluralità di interessi omogenei).
Si potrebbe poi obiettare che la limitazione del ruolo delle associazioni, imposta dalla disciplina della legittimazione, è apparente e può essere facilmente aggirata.
E’ infatti sufficiente che anche un solo soggetto, titolare di un diritto individuale omogeneo, conferisca il mandato alla associazione perché questa possa assumere l’iniziativa processuale.
Tuttavia, in questo caso, l’associazione agirà nella veste di rappresentante processuale. Se non può escludersi che le misure, adottate dall’amministrazione per porre rimedio alla violazione, abbiano di fatto una portata generale e possano giovare all’intera categoria degli amministrati o degli utenti di servizi pubblici, il giudicato spiegherà i suoi effetti solo nei confronti del soggetto in nome e per conto del quale l’associazione ha agito. La conseguenza è rilevante perché assegna all’azione per l’efficienza dell’amministrazione un impatto pratico ed una forza persuasiva notevolmente diversi, e senz’altro minori.
Vi è poi da valutare il profilo del coordinamento, o del difetto di coordinamento con l’art. 140, co. 1, del codice del consumo. Ai sensi della norma citata, la legittimazione a proporre l’azione inibitoria per la tutela degli interessi collettivi degli utenti e dei consumatori spetta alle associazioni rappresentative a livello nazionale ed incluse nell’elenco di cui all’art. 137 dello stesso codice del consumo, non ai singoli né ai comitati.
Il raccordo tra le due distinte discipline diventa dunque difficile. Sarebbe invece opportuno perché l’art. 140 e il d.l. 198/2009 e le tutele rispettivamente apprestate, non si cumulano[17], ma si incastrano tra di loro, come in una sorta di puzzle.
In buona sostanza, la tutela, che per il disposto delle due norme è devoluta al giudice ordinario ed al giudice amministrativo, nei due diversi ambiti di competenza, è omogenea, quanto al contenuto.
In entrambi i casi si sostanzia in ordini di fare o di non fare, impartiti per far cessare comportamenti lesivi degli interessi di consumatori ed utenti, in quanto non conformi agli standard fissati ed agli obblighi e della carta dei servizi, o per eliminarne o correggerne gli effetti dannosi.
Variano i destinatari. Nelle ipotesi di giurisdizione amministrativa, espressamente fatta salva nella materia dei servizi pubblici dal comma 11 dell’art. 140, gli ordini di fare e di non fare sono rivolti alle amministrazioni pubbliche e ai concessionari privati di servizi pubblici. Il giudice ordinario esercita la sua giurisdizione nei confronti di qualsiasi altro soggetto privato.
Ma la legittimazione a proporre l’inibitoria civile, nei confronti di qualsiasi soggetto privato, spetta dalle associazioni rappresentative di cui all’art. 137 cod. cons. Quella a proporre l’inibitoria amministrativa al singolo, direttamente leso ( purché la disfunzione lamentata riguardi una pluralità di interessati), o al soggetto collettivo, portatore comunque di interessi omogenei e contestualmente lesi, con i diversi effetti che sopra ho evidenziato.
Vi è una disparità nella disciplina della legittimazione al ricorso che dovrebbe essere eliminata perché è difficilmente giustificabile e perché introduce un elemento di incoerenza nel sistema. Incoerenza grave in quanto coinvolge la stessa individuazione dell’interesse tutelato e del modello processuale di tutela.

3. Per la proponibilità dell’azione è necessario che si sia verificata una lesione, diretta concreta ed attuale di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti, a causa della violazione dei termini ovvero della mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori, non aventi contenuto normativo, e della violazione di standard qualitativi ed economici, stabiliti per i concessionari dei servizi pubblici e per le pubbliche amministrazioni.
La disciplina dell’interesse a ricorrere conferma la conclusione già suggerita dalle disposizioni, in tema di legittimazione: il bene tutelato con il ricorso ex d.lgs. 198/2009 non coincide con l’efficienza dell’amministrazione e dei concessionari dei pubblici servizi, intesa come bene a rilevanza ultraindividuale.

Note

17.  Questa evenienza, quella cioè che l’azione ex d.lgs. 198/2998 e quella ex art. 140 cod. cons., siano proposte in relazione alla medesima fattispecie è contemplata invece espressamente dall’art. 2, co. 2. Ma non è agevole comprendere come ciò possa avvenire, se si considera che la tutela apprestata dall’art. 140 non è esperibile nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari privati e che, al tempo stesso, si deve senz’altro escludere l’applicabilità del rimedio di cui al d.lgs. 198/2009 nei confronti di un soggetto privato, che non sia concessionario di un pubblico servizio.

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