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Intervento alla Tavola Rotonda “La questione ambientale”, Università di Roma La Sapienza, 15 gennaio 2010

di - 26 Febbraio 2010
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Ciò ha comportato un grande ritardo nel prendere la decisione finale, al di là che la decisione corretta fosse la realizzazione della centrale, o meno. Un aspetto che caratterizza l’Italia è quello di non sapere decidere, di ritornare su decisioni già prese (vedi: ponte sullo stretto di Messina).
Io penso che l’apprensione della cittadinanza, ad esempio nei casi delle stazioni di telefonia mobile, sia dovuta proprio alla contraddittorietà delle condotte e dei comportamenti di chi deve assumere determinate decisioni.
L’elenco potrebbe continuare: ricorderete il contenzioso sull’individuazione del sito di deposito delle scorie nucleari; questione che si trasferì anche dinanzi la Corte Costituzionale, che disse che lo Stato poteva individuarlo sentendo però le Regioni e i Comuni.
Al C.d.S. abbiamo avuto una controversia, decisa qualche tempo fa, in cui si discuteva di un’autorizzazione rilasciata dal Ministero ad un’impresa privata per la cavazione di un determinato materiale in una zona in cui questo materiale era abbondante e molto ricco di qualità; l’autorizzazione alla cavazione comportava pregiudizio per due sorgenti idriche che rifornivano due piccoli Comuni.
Si discuteva se alla fine della cavazione queste sorgenti sarebbero del tutto scomparse e nel frattempo l’impresa privata si proponeva di fare realizzare un acquedotto alternativo per la fornitura dell’acqua.
Nel corso di un accertamento di carattere tecnico piuttosto complesso fatto in sede giurisdizionale (a volte esiste la difficoltà per il giudice amministrativo di un approccio così tecnico a tematiche così complesse), emerse che la qualità dell’acqua che le sorgenti fornivano a quei Comuni era elevata, mentre la qualità dell’acqua che proveniva dall’acquedotto alternativo era scarsa e che per essere resa potabile doveva essere sottoposta a trattamenti.
Per la valorizzazione del bene acqua come risorsa scarsa fu annullata quell’autorizzazione e fu data prevalenza alla “risorsa scarsa” rispetto all’attività imprenditoriale. Una valutazione strettamente economica avrebbe condotto alla scelta già fatta dall’amministrazione: ma che succederebbe se questa valutazione economica la esportassimo e applicassimo a 100 casi?
Ora mi soffermo su due ulteriori punti.
Uno è ribadire la necessità di individuare centri decisionali ottimali: abbiamo parlato prima della tutela del paesaggio. Anche in questo ambito si è passati dal vecchio sistema di tutela paesaggistica al nuovo, delineato dal legislatore nel codice del 2004, che non è mai partito.
In quest’ambito si sta discutendo molto per decidere quale organo comunale, regionale, provinciale, statale debba rilasciare l’autorizzazione paesaggistica per effettuare interventi-modifiche in zone sottoposte a vincoli sotto il profilo ambientale.
A volte quello che può sembrare il luogo ottimale, in realtà è inadeguato: questa estate sono stato in vacanza in Brasile presso le cascate Iguassu, che si trovano al confine tra il Brasile e l’Argentina. Dal lato argentino delle cascate è stato realizzato un grande complesso alberghiero, probabilmente molto bello dall’interno per la visuale; dal lato argentino esso era abbastanza mascherato e non si notava, ma dal lato del Brasile era un pugno in un occhio nel complesso del panorama, una macchia di cemento.
A volte una decisione incide a livello paesaggistico e può riguardare più Stati, ma con un approccio limitato anche a livello di città (il lato argentino della cascata non è stato alterato dal complesso alberghiero e quindi l’autorizzazione alla costruzione dell’edificio da parte delle autorità argentine può risultare inadeguata rispetto alla tutela di beni che sono patrimonio dell’umanità, perchè si tratta di un patrimonio di tutti e non solo di chi è cittadino).

  • Il danno ambientale.

L’ultimo riferimento è al danno ambientale.
Prima ho fatto riferimento al principio del “chi inquina paga”: chi pone in essere attività legittime autorizzate che possono arrecare pregiudizio deve farsi carico di rimediare o adottare misure compensative; vi sono altri casi invece in cui si verifica un vero e proprio danno ambientale (ex art. 2043 del c.c.), in quanto causato con colpa o dolo da una condotta non conforme ai precetti dell’ordinamento.
Perché le imprese non si pongono il problema dell’ambiente? Perché il nostro ordinamento ha posto in essere una tutela inadeguata per il danno ambientale e le ultime modifiche normative, che si sono avute con il decreto il Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante “Norme in materia ambientale, hanno aggravato, a mio parere, l’inadeguatezza della tutela.

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