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La competizione fa bene alle università

di - 25 Febbraio 2010
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Non ultima per importanza, vi è poi la questione dei fondi. Preclusa dalle ristrettezze del bilancio statale la via di un consistente e continuo incremento dei fondi pubblici; esclusi trasferimenti adeguati da parte delle istituzioni europee o dal settore privato; considerata alquanto astratta l’ipotesi che il sistema universitario italiano raggiunga in tempi brevi un’efficienza pari a quella si riscontra in altri Paesi europei, è da ritenersi alquanto improbabile che le università dispongano di risorse sufficienti per finanziare una riforma ad ampio raggio. Vi è da chiedersi, allora, se alle università che si impegnano nell’esplicare determinati interventi (finanziamenti aggiuntivi per gruppi di ricerca che accedono a fondi privati; differenziazione dei livelli retributivi) la legge possa consentire di esercitare maggiori gradi di autonomia nel determinare gli oneri richiesti agli studenti. È una misura impopolare, ma non incompatibile con la concezione delle università come fornitrici di beni pubblici, in vista del soddisfacimento dell’interesse generale, senza limitare i costi del prodotto a chi ne riceve immediatamente i benefici, ma senza neppure gravare eccessivamente sulla fiscalità generale, ossia sui molti che non ricevono quel beneficio immediato.

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