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Intervento alla Tavola Rotonda “La questione ambientale”, Università di Roma La Sapienza, 15 gennaio 2010

di - 15 Febbraio 2010
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Quando causiamo l’estinzione di alcune specie le conseguenze possono essere immense. Per fare un esempio concreto ve ne dico una che vi sorprenderà: le api, la cui popolazione sulla Terra è diminuita di un terzo rispetto agli anni ‘70, sono fondamentali per il 90% delle impollinazioni, se perdiamo le api noi rischiamo di perdere le specie vegetali, e coloro che si nutrono di queste, cosa mangeranno? Potreste forse pensare che, poiché noi siamo in parte carnivori, potremmo cavarcela mangiando animali, ma questi (che sono ovviamente erbivori) di cosa si nutriranno? Questo punto delicato illustra bene i rischi del causare estinzioni di massa nel nostro ambiente.
La verità è che non siamo ancora in grado di prevedere quello che succederà in conseguenza di cambiamenti così epocali. Le conseguenze dal punto di vista biologico possono essere disastrose.
Un grave pericolo viene dalla riduzione della biodiversità: all’interno di una popolazione, la biodiversità agisce così da poter porre rimedio a cambiamenti radicali dell’ambiente e ridurre il rischio di estinzione di ciascuna specie.  Un esempio classico: con il DDT non abbiamo sterminato tutti gli insetti perché nel loro make-up genetico c’era sufficiente variabilità. Ora la quasi totalità degli insetti è insensibile al DDT, perché discendono da genitori che sono i soli sopravvissuti al nostro uso su larga scala del DDT. Questo incidentalmente è il motivo per cui i medici ora sono contrari all’abuso degli antibiotici: sono già state trovate molte specie di batteri che sono ormai immuni all’utilizzo degli antibiotici più comuni, e rispondono solo ai trattamenti con pochi (talvolta uno solo!) antibiotici più moderni.
Questi esempi trattano forse specie che non tutti amano (insetti e batteri) ma, a parte il fatto che essi svolgono funzioni fondamentali per la nostra sopravvivenza (si pensi alle api), i due esempi illustrano l’importanza della biodiversità intraspecifica.

La seconda riflessione riguarda la vastità e difficoltà del problema presentato dal riscaldamento globale. Si potrebbe pensare che si tratta di un problema facile come quello del cosiddetto “buco” nella distribuzione circumpolare dell’ozono … ma non è così.
Il buco nell’ozono è causato esclusivamente da un componente chimico, il tetracloruro di carbonio, che viene utilizzato in una sola industria, quella dei refrigeratori: condizionatori e frigoriferi. È stato dunque facilissimo metterlo al bando in tutti i paesi e ridurne drasticamente le immissioni nell’atmosfera. Come conseguenza, la protezione dell’ozono si sta ripristinando.
(Per chi non lo sapesse: l’ozono blocca le radiazioni X e gamma provenienti dal cielo, in massima parte dal Sole, e ci permette di non morire tutti di tumore). Oggi noi consideriamo quello dell’ozono un problema risolto.
Purtroppo i gas serra sono tanti con origine diversissime: per esempio, uno dei gas serra è il metano, che viene prodotto in massima parte dal bestiame: le vacche producono una quantità di metano spaventosa, per questo spesso muoiono di meteorismo.
La nostra esperienza è che una dieta ricca di proteine, altamente proteica, è un classico attributo delle società affluenti occidentali.
Un miliardo e mezzo di cinesi e un miliardo di indiani prima o poi svilupperanno stili di vita occidentali: poiché una dieta altamente proteica fa parte di questi modi di vivere, ci aspettiamo che il consumo di proteine sotto forma di carne bovina aumenterà, e con esso le emissioni di metano.
Le automobili sono ovviamente fra i principali inquinatori, ma si parla più raramente delle auto diesel: secondo voi questo succede perché inquinano meno?
La risposta è no, se ne parla meno perché il 97% dell’inquinamento del diesel non viene dalle automobili ma dalle grande navi (i freighters) che trasportano le merci da un paese all’altro.
Si può anche sopprimere il 3% delle automobili ma resta il 97% delle emissioni che sono dovute al nostro bisogno di scambi economici. Mentre si può pensare a sistemi alternativi per la mobilità individuale, non possediamo ancora una tecnologia alternativa per la propulsione delle navi.
C’è una dunque una enorme eterogeneità degli agenti inquinanti.

Infine vorrei concludere con una nota vagamente ottimista.
Ed è: in uno scenario realistico in cui la temperatura della terra aumenta di 6 gradi, noi ovviamente perdiamo le coltivazioni dei paesi classici, il Medio Oriente, Spagna, Grecia, Italia. Ma questo non vuol dire che siamo destinati a morire di fame perché divengono coltivabili terre come la Siberia e il Canada, che attualmente non lo sono. Si tratta di superfici gigantesche, nelle quali si trasferiranno gran parte delle coltivazioni (vi saranno le melanzane della Siberia e il Canada diverrà la terra della vite e dell’ulivo!); in linea di principio non è una situazione disperata.

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