Sistema Idrico Integrato: ma siamo capaci di fare le gare?

Aperta Contrada ha iniziato a ricevere contributi spontanei dai lettori. Coerentemente con le linee programmatiche esplicitate sin dalla sua presentazione, è lieta di accoglierli e di pubblicarli purché trattino argomenti di interesse e siano conformi allo stile della Rivista.
I Direttori

Il riemergere della polemica, con la solita carica ideologica, sull’acqua pubblica o privata e, più in generale, sulla gestione pubblica o privata dei servizi economici di interesse generale (così li chiama l’Europa), rende utile introdurre nel dibattito elementi di pragmatismo.

Anzitutto va preso atto che la nuova legislazione finalmente distingue tra la sacrosanta proprietà pubblica delle infrastrutture (incluse le sorgenti nel caso dell’acqua) e la liberalizzare dei servizi di gestione associati a tali infrastrutture.

Si tratta di una liberalizzazione, quindi, non di una privatizzazione. Va chiarito che le liberalizzazioni hanno l’unico obiettivo di ridurre i costi del servizio, inclusi o meno gli ammortamenti degli investimenti futuri, e che oggi tali costi non corrispondono alle tariffe addebitate ai cittadini.

Attualmente la differenza tra costi effettivi e tariffe viene pagata dai Comuni, e quindi dai cittadini tramite tasse, imposte, multe e quant’altro. Allineare le tariffe ai costi secondo il principio del “chi consuma paga” è un altro obiettivo, più o meno condivisibile (chi scrive lo condivide perché responsabilizza l’utenza), ma comunque diverso ed assolutamente indipendente dagli obiettivi della liberalizzazione. L’aumento delle tariffe non è un effetto della gestione privata dei servizi economici di interesse generale (o pubblici che dir si voglia).

Nulla impedisce, infatti, ai Comuni di erogare contributi sulle tariffe riservandoli, in modo più trasparente di quanto avvenga oggi, a determinate categorie sociali, tenendo conto dei livelli di consumo, delle fasce di reddito, della numerosità dei nuclei familiari, etc. Tali sussidi potrebbero trovare copertura finanziaria dalle risorse risparmiate per effetto dei minori costi che si attendono da una gestione dei servizi affidata mediante procedure concorrenziali.

Semmai si può ritenere tatticamente poco opportuno volere conseguire i due obiettivi nello stesso tempo, giacché le riforme più sono ambiziose più sono avversate.

Nessuna persona sensata, una volta sgomberato il campo dagli equivoci, può non condividere l’obiettivo di ridurre i costi del servizio (e/o migliorarne la qualità). Così come nessuna persona con un briciolo di cultura economica può non convenire che il modo migliore per raggiungere tale obiettivo sia ricercare l’offerta migliore sul mercato in modo pubblicizzato, trasparente e non discriminatorio.

Ma il passaggio dalla teoria alla pratica non è automatico ed il pragmatico si pone alcune domande.

È realistico che i Comuni italiani siano in grado di gestire gare così complesse come quelle riguardanti la gestione del servizio idrico e molti degli altri servizi di interesse economico e generale?

Ed una volta stipulati i contratti, i Comuni saranno in grado di gestire i contratti stessi? Sono capaci di monitorare il rispetto degli obblighi contrattuali, verificare il livello dei servizi, applicare le penali, etc.?

Chi scrive ritiene che i Comuni italiani, nella maggior parte dei casi, non sappiano nemmeno come sono fatti gli impianti da dare in gestione e quanti sono gli investimenti da fare, per non parlare dei ricavi e dei costi di gestione. Addirittura non sanno quanta acqua entra in questo “oggetto misterioso” e quanta ne esce nelle case dei cittadini; non sanno che fine fa l’acqua che si perde.

Fare le gare per “comprare degli oggetti” che non si sa nemmeno descrivere non assicura affatto il raggiungimento degli obiettivi di efficienza dichiarati. È facile profezia prevedere che sorgeranno conflitti e si sa che difficilmente a rimetterci saranno i privati, con i loro costosi e sofisticati uffici legali.

Una discussione consapevole sull’argomento deve quindi far convergere le persone ragionevoli del paese su un punto solo ma urgente: dotiamoci di un apparato tecnico in grado di fare queste benedette gare, ma in modo che si consegua il vero obiettivo “pagare meno possibile il servizio”.

Rimaniamo concentrati sul fine, senza innamorarci del mezzo.

La soluzione più evidente è quella di creare un Authority di settore che aiuti i Comuni (per la precisione, le Autorità di Ambito Territoriale Ottimale – ATO – che i Comuni devono costituire). Tale percorso appare però lungo e complicato, con il rischio di concludersi a giochi fatti. L’impegno più rilevante si concentra infatti nella predisposizione degli atti di gara e quindi è temporalmente limitato.

È senz’altro più semplice, rapido ed efficiente utilizzare le strutture che già ci sono (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Unità Tecnica per la Finanza di Progetto, etc.) per trasferire know-how e supportare le ATO e, magari, farci aiutare anche da qualcuno che ha già percorso questa strada e ci può trasferire buone pratiche e le lezioni tratte dagli errori commessi (Gran Bretagna in primis e gli altri paesi europei).

Sono state stanziate risorse per garantire che gli ATO abbiano la stessa forza contrattuale delle loro controparti private? Si pensa di ricorrere a terze parti tecniche? Si stanno facendo dei seri corsi di formazione ai dipendenti della Pubblica Amministrazione che dovranno difendere gli interessi pubblici? Quanti di questi sanno valutare un piano economico e finanziario e gestire le inevitabili variazioni che un rapporto a medio termine comporta?

Passare da un controllo pubblico tramite “nomine” a standard internazionali di controllo pubblico per via “contrattuale” è una rivoluzione culturale per il nostro paese.

In un paese giunto alla democrazia dell’alternanza e, inoltre, impegnato in un percorso federalista, tale rivoluzione è necessaria ed improcrastinabile se si vogliono realizzare progetti di ampio respiro (o anche di respiro ridotto ma quantomeno che durino più di una legislatura).

Preoccupa, pertanto, che nessuno affronti il problema di come attrezzarsi per affrontare tale svolta, evitare errori e, quindi, quei fenomeni di rigetto che possono mettere a rischio il conseguimento degli obiettivi dichiarati dalla riforma e, più in generale, la modernizzazione del nostro paese.

Nota
Per un’analisi pragmatica sui servizi economici di interesse generale nel nostro paese si consiglia di consultare i risultati di un ampio programma di ricerca realizzato sul tema dall’Ufficio studi della Banca d’Italia e riportato in Questioni di economia e finanza n. 18-30. Tale analisi dimostra, tra l’altro, l’inefficacia relativa delle Authority più vicine (e condizionabili) dai territori, come quelle previste per il settore idrico.