E-government e E-procurement

Intervento al convegno Principles and Best Practices of Public Administration in Italy and the United States: the State of the Art del 21, 22, e 23 maggio che si è tenuto a Macerata

In primo luogo rivolgo un ringraziamento vivissimo al Prof. Francesco de Leonardis che mi ha invitato, immeritatamente, perché io forse capisco qualcosa di diritto amministrativo. Lui mi ha messo di fronte al problema colossale dell’impatto che ha la gestione digitale dei fenomeni sociali, dei fenomeni amministrativi, sulla vita quotidiana, sul diritto amministrativo, e ciò mi ha costretto a studiare e a pensare.

Il significato fondamentale del termine “e-governement” è ormai acquisito in termini generali, ed è quello di strumento per il miglioramento della pubblica amministrazione, per ridurre i suoi costi.

E questo pone a noi, che ci occupiamo di diritto amministrativo, un problema grande e sconosciuto: che significa migliorare la pubblica amministrazione riducendone i costi? Che significato profondo ha tutto ciò?

Un giovane studioso, Fulvio Costantino, con il quale ho a lungo parlato di queste cose, ha messo in luce che il sistema dell’e-governement, cioè la gestionedigitale, deve diventare una prassi, nel senso che deve diventare un abito mentale, un modo di concepire il modo di gestire la pubblica amministrazione e quindi di farle svolgere il suo ruolo nella nostra società, che è così complesso e così difficile.

In questo senso, alla domanda che poneva poco fa Cherie Strachan, ovvero “si deve essere efficienti a qual fine”? io rispondo che lo scopo della efficienza è quello del quale lei stessa ha parlato molto, ovvero lo scopo della “cittadinanza responsabile”; Strachan ha detto che ciascuno di noi deve essere responsabile nei confronti di ciò che si fa, dei doveri che si debbono adempiere, e ciò è da intendersi non nel senso di esecuzione di ordini dall’alto, ma nel senso attivo di costruzione di una società in crescita e in sviluppo. Queste sono parole di importanza cruciale e che suonano in sintonia con le parole di un giovane studioso aperto al mondo e che certamente vuole crescere in sintonia con il mondo.

Ciò detto, quello che io dirò si può riassumere in tre parole: Cosa è accaduto, cosa si è fatto, quali sono le criticità, quali sono gli usi odierni del digitale (espressione forse non proprio felice ma convenzionalmente chiara).

Quali sono le prospettive? Cosa si è fatto?

A partire dagli anni 90 si è pensato alla necessità di collegare tra loro le amministrazioni, con una rete di computer capaci di dialogare tra loro, in modo da avere uno scambio di informazioni. Sistema formidabile: io ricordo di aver difeso una impresa partecipante alle gare per alcuni lotti di questa operazione e fu un’esperienza davvero incredibile che negli anni 90 si pensasse di collegare con una rete intelligente più amministrazioni tra di loro e, naturalmente, era un progetto molto ambizioso. Forse più ambizioso di quanto fosse consentito e si vide ben presto in cosa consistesse l’eccesso di ambizione: in primo luogo era un sistema centralizzato ovvero un sistema (Rete unitaria della pubblica amministrazione) che aveva il suo referente nel governo, nelle amministrazioni centrali e quindi queste, con le loro diramazioni locali, costituivano una specie di corpo, non dico separato, ma certamente autonomo, un corpo non collegato – se non separato – con tutte le altre amministrazioni che ci sono in Italia.

La prova si ebbe pochi anni dopo: le RUPAR regionali e tutta una serie di queste entità subordinate e comunque meno ampie, meno globali che volevano dotarsi di un sistema organico di collegamento tra le loro amministrazioni. Questo era un limite insuperabile: cioè, per modificare questo sistema concepito immaginificamente come una dorsale con alcuni ramificazioni nei vari uffici delle amministrazioni centrali, occorreva pensare ad un sistema diverso, che collegasse non solo le amministrazioni centrali ma anche queste alle amministrazioni locali e le amministrazioni locali tra loro, a tutti i livelli, e che consentisse non soltanto uno scambio di informazioni, ma una cogestione di dati e consentisse anche di arricchire la banca dati dell’una con notizie provenienti dall’altra. Questo è il nocciolo dell’SPC (Servizio Pubblico di Connettività) che è questa rete intelligente, pluriarticolata, capace di ricevere, ospitare una quantità sterminata di applicativi, come si dice, i quali consentono una serie di scambi e di informazioni che operano su tutto il territorio nazionale e, per quanto riguarda l’INPS ad esempio, anche in mezzo mondo dove c’è gente che percepisce la pensione pagata da qualche banca locale, tutto attraverso l’INPS.

Effetti: ce ne sono stati e incredibili; ne cito alcuni.

Sogei: è una piccola società di Telecom, anzi Sip addirittura, che venne venduta all’allora ministero delle Finanze, per gestire tutti i possibili dati relativi ai contribuenti. La cosa incredibile è che questa cosa è stata fatta: oggi Sogei gestisce tutti i dati  che hanno rilevanza fiscale in maniera semplicemente pazzesca, non sfugge loro nulla.

Qual è il problema? E questo è il punto cruciale e lì ha totalmente ragione Fulvio Costantino: i funzionari non si accontentano del fatto che la macchina fornisca certi collegamenti, ad esempio tra le varie dichiarazioni dei redditi dei vari anni, ma pretendono di fare il controllo cartaceo e questa pretesa di fare il controllo cartaceo, laddove lo stesso è totalmente inutile, è un elemento di crisi profondissima poiché quanto più si generalizza l’abitudine, tanto meno funziona il sistema centrale informatico e viceversa.

Ecco perché il problema di fondo del funzionamento di questi sistemi non è da ricercare nei sistemi stessi ma negli uomini chiamati a gestirli, che devono essere educati a pensare che ciò che hanno in mano è sicuro e debbono contribuire a renderlo sicuro con il loro apporto e così ottenere i risultati che tutti ci auguriamo e che per ora non sono proprio ante portas.

Si pensi alle carte di identità elettroniche o alle tessere sanitarie: dovunque ci siano dati gestibili in termini informatici ma anche in termini statici, ovvero come mera raccolta e concentrazione di dati in un chip, in un minicircuito, questo sistema dell’SPC e quindi della gestione digitale, funziona perfettamente. Il momento di crisi comincia quando è richiesto l’intervento dell’uomo.

Abbiamo quindi un sistema efficientissimo il cui uso al cento per cento delle sue capacità è condizionato negativamente dalla scarsa attitudine delle persone a fidarsi, ad affidarsi e pretendere di potersi affidare ai dati forniti da questo sistema informatico.

Un gruppetto di persone di cui faccio parte anche io e altre persone che sono qui, ha pensato di leggere e di interpretare il codice dell’amministrazione digitale in modo da consentire una rilettura delle norme, sia di legge che di regolamento, in modo da sceverare ciò che è rappresentazione in chiave normativa, in chiave precettiva, di dati richiesti, di conformità richieste, di prescrizioni imposte su un piano puramente quantitativo rispetto a ciò che viceversa è spazio riservato alla valutazione discrezionale della pubblica amministrazione.

Tanto per essere chiari: se io intendo costruire una casa in un certo posto è fuori di ogni dubbio che io debba rispettare il piano regolatore generale, gli altri piani attuativi, insomma una serie di norme regolamentari, di sicurezza, di distanza dalle strade, di parcheggi, che sono riducibili a numeri, sono riducibili a bit e pertanto gestibili da un calcolatore. Si può fare un programma che ci dica chiarissimamente se le cose scritte siano o meno compatibili.

Ma se parliamo di una casa da inserirsi in un ambiente storico, ad esempio, si tratta di stabilire se la costruzione che deriva dall’applicazione di quelle norme, di quei numeri, di quelle quantità, è bella o brutta, allora il giudizio non può essere fatto da una macchina ma è un giudizio che può e deve essere fatto dall’uomo e anzi quello dell’uomo è l’unico giudizio e questo è il punto cruciale.

Se parliamo di come debbono essere fatte le macchine sanitarie, di quali sono le norme di sicurezza che devono essere rispettate, cosa c’entra il giudizio dell’uomo? L’unica sua competenza è stata quella di dire che non ci devono essere protezioni di un certo tipo e di aggiornare via via queste prescrizioni all’evolversi dalla tecnica.

Chi va a verificare la richiesta, deve semplicemente vedere se il progetto lo prevede; andrà poi lui, a piedi, a vedere se nel negozio le cose sono state fatte a norma, ma questa è altra cosa, che prevede fatica, bisogna muoversi, darsi da fare e questa è una questione di prassi, di abito mentale e sino a quando non si calerà nella testa della gente noi saremo costretti ad avere sistemi raffinati di gestione informatica della pubblica amministrazione che funzionano però in modo mediocre.

In conclusione, viva un convegno di questo genere, occasione straordinaria per parlare di ciò che si fa altrove, nel paese forse più avanzato nel mondo in questo senso, ma anche di ciò che abbiamo noi, di quali sono le difficoltà comuni, di cosa si può fare per migliorare effettivamente. Il cammino è aperto ed è percorribile; non c’è alcun ostacolo se non forme di cattiva volontà che però, grazie a Dio, possono essere represse, condizionate in modo positivo.

Un’ultima considerazione di diritto: secondo me oggi noi non abbiamo ancora neppure idea di quali problemi di diritto potranno sorgere attorno a questa questione e da questo tipo di gestione.

Se nella mia carta di identità elettronica scrivono “Filippa” anziché “Filippo”, il problema è semplice: si sono sbagliati. Ma quali problemi di diritto possono venirne fuori? Possono certo sorgere problemi di rapporti tra fonti ma è ancora un bagaglio di vecchi problemi. Io sento che con l’informatica una gran quantità di problemi tradizionali verrà semplicemente accantonato ma che molto probabilmente altri ne nasceranno; non so dire quali saranno, ma ho l’idea che ciò accadrà.

Passo così all’e- procurement.

Nell’e-procurement qualche nuovo problema di diritto c’è già.  Riduciamolo a termini elementari. Anziché fare gare nelle quali c’è qualcuno che esamina offerte, che dice se questo è meglio dell’altro, tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’aggiudicazione vengono standardizzati, tradotti in numeri, in bit, ed inseriti nel programma. Quindi c’è un mare di queste cose che si traduce in moduli ben precisi e dettagliati e a questi l’offerente deve apporre una indicazione, far riferimento, offrire qualcosa di più, qualcosa di meno, avanzare un prezzo.

Dunque qui si ha un sistema aperto a tutti i possibili impieghi, laddove i requisiti del servizio, delle attrezzature e dei beni di cui si parla siano riducibili a quantità definite. Noi abbiamo un sistema dinamico di acquisizione, una cosa divertentissima: per la prima volta noi abbiamo un negozio per le pubbliche amministrazioni, nel quale sono messi in bella vista, in digitale, il prodotto A, il prodotto B, il prodotto C, con un certo prezzo e in cui l‘amministrazione che ne ha bisogno va, clicca e paga con carta elettronica e si vede recapitare le cose di cui necessita. Sono acquisti fatti dalla principale centrale acquisti che abbiamo noi, la CONSIP, che fa queste gare per tutte le pubbliche amministrazioni, sia per oggetti specifici sia per blocchi di oggetti che sono di comune impiego.

Anche qui il problema è che l’informatica è oggi utilizzata nel tentativo di semplificare la fornitura di elementi, tipo le prequalifiche, le qualifiche, i requisiti di cittadinanza, tutte cose che potrebbero essere gestite anche digitalmente in modi molto più semplici, ma resta sempre aperto lo spazio per valutazioni che facilmente potrebbero essere facilmente sostituite da una più puntuale previsione di modifiche di miglioramenti da parte dei concorrenti in modo da rendere la gara più sicura e più affidabile.

Se non mi inganno, i tempi perché ciò accada saranno molto più brevi di quanto si pensi, perché il recepimento della direttiva che disciplinerà la nuova tutela giurisdizionale nei confronti delle gare dell’aggiudicazione da parte delle amministrazioni, porterà cambiamenti straordinari e la tutela giurisdizionale verrà dimezzata: quindi il rimedio non potrà che essere una più ampia gestione digitale delle gare.

Conclusione: siamo di fronte ad uno strumento che sembra puramente tecnologico, ma la cui versatilità è in realtà infinita, molto vicina a quella della testa umana; occorre solo saperla e volerla utilizzare in modo corretto.

Se ciò accadrà, credo che il sogno di migliorare la pubblica amministrazione, di ridurre i costi  burocratici che da soli ci siamo imposti (perché le esigenze di controllo sono quelle che sono e non possono essere trascurate), sarà soddisfatto e quindi: viva l’informatica!

Grazie.

Fulvio Costantino: “Un Commento”

3 spunti e un filo rosso
Sul tema della digitalizzazione della pubblica amministrazione, alla luce dell’intervento del prof. Satta, vorrei offrire tre spunti e un filo rosso.
Primo. Il filosofo Carlo Sini da anni si chiede  da dove vengano i pensieri, quale sia la loro origine. La sua risposta è: dagli abiti, dalle pratiche, dai saperi. Egli mi pare voglia dire che i pensieri sono originati dalle cose che accadono ed emergono dai contesti e dagli stili che si vivono e adottano.
Secondo. Heidegger ci ha detto che abitiamo nella civilità della tecnica, ci ha parlato del dominio della tecnica e ci ha spiegato che l’uomo non è ancora al passo della tecnica: l’uomo è rimasto indietro rispetto alle sue creazioni e alla loro logica, e si deve adeguare.
Terzo. La storia della comunicazione ci ha spiegato che l’uomo della civilità omerica è diverso dall’uomo della civiltà della stampa o della civiltà informatica. Il primo non usa la vista ma l’udito, fa ricorso alla memoria, e nel comunicare ricorre a ripetizioni. Il secondo fa ricorso alla vista, ha pratica di discorsi ben strutturati, che procedono secondo una logica ben definita, ha meno bisogno della memoria. Il terzo è un errante, perchè vive e ragiona secondo la logica del link, che gli consente di saltare da un testo  all’altro, e così di seguire percorsi di ricerca personali, attraverso infiniti rimandi. Si tratta di uomini diversi.
Il filo rosso. La tecnica cambia l’uomo, fin dal modo di pensare e di agire, e cambia il mondo; e non ha senso chiedersi se in meglio o in peggio; la tecnica lo ha sempre fatto, perchè anche la narrazione orale è una tecnica.
Chi studia l’informatizzazione dell’amministrazione ha perciò l’opportunità non tanto di vedere l’informatica come un  succedaneo della carta, quanto di cogliere come la logica dell’informatica possa reinterpretare e trasformare la partecipazione, l’organizzazione, l’attività, il contenzioso in modo utile a tutti.

C. SINI, Gli abiti, le pratiche, i saperi, Milano, 2003
M. HEIDEGGER, Die Frage nach der Technik in Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954, ed. it. La questione della tecnica, Saggi e discorsi, a cura di G. VATTIMO, Milano, 1976;
M. BALDINI, Storia della comunicazione, Roma, 2003;
A. ROMANO, Il cittadino e la pubblica amministrazione, Il diritto amministrativo degli anni ’80, Atti del XXX Convegno di Studi di scienza dell’amministrazione, Milano 1987, anche in Scritti giuridici in memoria di V. Bachelet, I, Milano, 1987, 521;
P. CIOCCA – F. SATTA, La dematerializzazione dei servizi della P.A. Un’introduzione economica e gli aspetti giuridici del problema, Diritto amministrativo, 2008, 283-296;
F. COSTANTINO, art. 12 l. 205-2000, Commentario alle leggi di giustizia amministrativa, a cura di A. ROMANO – R. VILLATA, Padova, 2009.