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I limiti del mercato reale nell’allocazione delle risorse. Riconfigurazione del profitto e contenimento dei prezzi.

di - 1 Febbraio 2010
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Aperta Contrada ha iniziato a ricevere contributi spontanei dai lettori. Coerentemente con le linee programmatiche esplicitate sin dalla sua presentazione, è lieta di accoglierli e di pubblicarli purché trattino argomenti di interesse e siano conformi allo stile della Rivista.
I Direttori

1. I limiti del mercato nell’allocazione efficiente delle risorse. 2. Riconfigurazione del profitto nel nuovo contesto storico. 3. Contenimento dei prezzi attraverso la politica fiscale

I limiti del mercato nell’allocazione efficiente delle risorse
Le forme concrete di mercato nei vari rami di attività sono quelle del monopolio e dell’oligopolio e della concorrenza monopolistica, configurandosi, invece, la concorrenza perfetta solo come modello teorico non riscontrabile nella realtà.
Nel modello della concorrenza perfetta l’impresa è price-taker, cioè non ha potere sui prezzi, e nel breve periodo consegue, accanto al profitto normale ricompreso nei costi fissi, anche, in via di residuo, un extraprofitto, che tende a scomparire nel lungo periodo.
Nel regime di monopolio, invece, all’impresa è consentito alternativamente o di fissare il prezzo accettando di vendere la quantità di merce che il mercato è disposto ad assorbire oppure di fissare la quantità di produzione e venderla al prezzo determinato dalla domanda: l’impresa monopolistica, insomma, è price-maker perché può esercitare, comunque, un certo potere sui prezzi.
Il monopolista non è costretto dalle forze della concorrenza, assenti, a conseguire la scala di produzione ottimale, quella, cioè, di costo medio minimo di lungo periodo come accade nel modello teorico della concorrenza perfetta, e l’esistenza di barriere all’entrata gli permette di realizzare extraprofitti anche nel lungo periodo.
Pertanto, a parità di curve di costo, il prezzo di monopolio sarà superiore e la quantità prodotta sarà inferiore rispetto a quanto si registra nel modello della concorrenza perfetta.
Ciò torna a vantaggio del monopolista e a svantaggio del consumatore, per cui la forma di mercato monopolistica provoca una perdita di benessere sociale, e si configura come meccanismo di allocazione inefficiente delle risorse.
La concorrenza monopolistica o imperfetta, dal canto suo, comprende quelle forme di mercato che stanno tra il modello teorico della concorrenza perfetta e il monopolio.
In questa struttura di mercato è presente: 1) la concorrenza tra imprese, ognuna delle quali ignora le reazioni delle imprese rivali alle proprie azioni; 2) la libertà di entrata e di uscita dal mercato; 3) la differenziazione del prodotto, nel senso che le merci prodotte dalle varie imprese sono eterogenee e, però, tra loro sostituibili.
Le prime due caratteristiche evidenziano l’aspetto concorrenziale di questa forma di mercato. La terza, invece, ne evidenzia l’aspetto monopolistico essendo in grado ciascuna impresa, a seguito della differenziazione del prodotto, di conquistarsi un segmento di mercato nell’ambito del quale può esercitare un certo potere sui prezzi, per cui l’impresa in regime di concorrenza monopolistica può diventare price-maker, com’è nel monopolio.
Sicché, anche nella concorrenza imperfetta, che è una forma di mercato diffusa e verso la quale si cerca di far convergere il sistema economico con le politiche di liberalizzazione, è dato riscontrare una perdita di efficienza nell’uso delle risorse dovuta al fatto che, a causa della differenziazione del prodotto, ciascuna delle imprese che opera nel settore produce un livello di output inferiore a quello ottimale.
Se, quindi, in linea teorica il mercato è un meccanismo di allocazione efficiente delle risorse, ciò non frequentemente avviene nella realtà.  Di qui il “fallimento” del mercato reale capitalistico[1], che si basa essenzialmente sulle forme monopolistiche.
In via generale, avvertono gli economisti, la presenza di forme monopolistiche di mercato provoca una perdita di benessere sociale, nei limiti in cui tale benessere si verifica nel modello della concorrenza perfetta come somma del surplus del consumatore e di quello del produttore; per cui è frequente l’intervento delle pubbliche autorità che agiscono regolamentando il prezzo che il monopolista è autorizzato a praticare.

2. La riconfigurazione del profitto nel nuovo contesto storico
Politiche di regolamentazione dei prezzi si possono adottare, a nostro avviso, anche con riferimento alle forme di mercato di concorrenza monopolistica, caratterizzate, anch’esse, da allocazione inefficiente delle risorse e da imprese price-maker.
La distorsione del mancato conseguimento del massimo benessere possibile, legato naturaliter allo scambio volontario in un mercato di concorrenza perfetta, è causata dai comportamenti delle imprese price-maker e va eliminata riconfigurando l’elemento del profitto nei mercati reali, ben diversi dal modello astratto di mercati di concorrenza perfetta, a mezzo della regolamentazione dei prezzi.
In generale, nella storia del pensiero economico, sulla legittimità o meno del profitto si sono avute essenzialmente due teorie. La dottrina classica liberale pone il profitto in termini di differenza tra il prezzo e il costo del bene moltiplicata per la quantità prodotta. La teoria marxista, invece, nega ogni liceità al profitto e lo considera lavoro non retribuito per cui il prodotto finito presenta sul mercato un valore eguale al lavoro che è costato, donde l’equazione lavoro = valore.

Note

1.  Il mercato capitalistico non si identifica con l’economia di mercato, che è cosa un po’ diversa.

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