“Testamenti viventi” per banche ……in futura agonia

1. In un recente e stimolante articolo Geoffrey Wood, professore di economia, alla Cass Business School, di Londra, prendendo spunto dalla circostanza che il Governatore della Banca d’Inghilterra ha proposto che le banche predispongano “living wills”, e che il Treasury Select Committee della Camera dei Comuni inglese ne ha suggerito l’impiego, discute della possibilità che le banche, in previsione di una loro possibile crisi finanziaria o perfino, aggiungerei, di una loro possibile messa in liquidazione, possano predisporre “testamenti viventi” per il caso in cui esse fossero “moribonde” e quindi versino in una crisi tale da condurre alla loro liquidazione e quindi estinzione.
Sostiene infatti Wood che i testamenti viventi delle banche sarebbero utili sotto due differenti, ma concorrenti, punti di vista, per il primo «they would ensure that when some institution, however large or complex, got into difficulties, it could be handled without major collateral problems. That in itself is a good argument for them»; per il secondo, ma strettamente associato al primo, che «these wills would make future crises less likely. For they would ensure that no bank was ever again “too big to fail”. The “brooding presence” of the risk of failure would once again make bankers act in a prudent way».
Il pragmatismo tipico del diritto degli affari che caratterizza la cultura di common law suggerisce dunque una soluzione che merita di essere discussa per verificarne il suo eventuale recepimento nel nostro sistema.

2. Il diritto delle crisi dell’impresa bancaria prevede due diverse fattispecie e procedure: l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda bancaria.
La prima fattispecie ha natura conservativa; la seconda dismissiva.
Entrambe tuttavia devono rispondere all’esigenza di tutelare i depositanti, al fine di evitare che i loro risparmi vengano vanificati in tutto o in parte dal dissesto dell’impresa.
Il problema del testamento vivente dell’impresa in bonis, per il momento in cui avrà cessato di essere tale, potrebbe però avere senso unicamente per l’ipotesi della procedura di liquidazione coatta amministrativa, giacché nella diversa fattispecie dell’amministrazione straordinaria, il presupposto e la finalità della procedura consistono nella possibilità per l’azienda bancaria di superare un momentaneo e transeunte stato di crisi, e quindi, successivamente all’intervento del Commissario straordinario, e con l’aiuto dell’attività da questo posta in essere, ritornare in una situazione di continuità aziendale e di rilancio dell’azienda stessa.
Tant’è che unicamente nel caso della liquidazione coatta amministrativa, che presuppone la cessazione dell’impresa, si potranno presentare i presupposti per la dichiarazione di insolvenza dell’impresa bancaria.

3. Il procedimento di liquidazione coatta amministrativa prende solitamente avvio da un’ispezione svolta nell’azienda di credito ad opera dell’Organo di Vigilanza della Banca d’Italia e dal conseguente verbale ispettivo, le cui risultanze vengono comunicate e consegnate agli esponenti aziendali per le loro controdeduzioni, ma unicamente nella parte c.d. aperta, cioè quella conoscibile dai terzi, che contiene le constatazioni sulla situazione della banca e gli eventuali rilievi diretti agli organi di amministrazione e di controllo; la parte cd. chiusa (che contiene le analisi e le valutazioni degli ispettori) invece è coperta dal segreto d’ufficio, e quindi non è conoscibile se non dall’autorità giudiziaria.
In seguito, sulla base di quelle risultanze, qualora ne ricorrano gli estremi la Banca d’Italia propone al Ministero del Tesoro l’adozione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia della banca e di contestuale scioglimento degli organi amministrativi e di controllo e conseguentemente di messa in liquidazione coatta amministrativa della banca.
Al decreto ministeriale segue la nomina, ad opera del Governatore della Banca d’Italia, degli Organi della liquidazione (Commissario liquidatore e Comitato di sorveglianza).
In alcuni, meno ricorrenti, casi la richiesta del provvedimento di liquidazione può derivare direttamente dagli esponenti della banca o, più di frequente, dai Commissari straordinari eventualmente nominati in precedenza dalla Banca d’Italia nell’ambito di un provvedimento di Amministrazione straordinaria dell’azienda creditizia.

4. Le sequenze da ultimo descritte avvengono in un ristretto arco temporale, per non dire contestualmente, in ragione ovviamente della necessità di procedere con la massima celerità e segretezza nell’adempimento degli atti e delle operazioni connesse alla liquidazione coatta.
Se infatti i depositanti sapessero in anticipo che l’azienda di credito versa in uno stato di decozione o di palese insolvenza, ma quand’anche essi fossero a conoscenza del mero stato di crisi “reversibile”, si scatenerebbe la corsa degli stessi depositanti per ritirare dallo sportello i propri depositi, determinando così una situazione di panico locale o sociale, a seconda delle dimensioni dell’azienda in crisi.
Sicché il riserbo e il segreto che accompagna tali operazioni è un presupposto essenziale per la loro riuscita.

Il Commissario (ovvero i Commissari qualora si tratti di azienda bancaria di rilevanti dimensioni) dopo aver preso consegna della banca dai cessati rappresentanti legali, oppure dai Commissari Straordinari in caso di precedente provvedimento di Amministrazione straordinaria, previo accertamento della situazione finanziaria e contabile della banca alla data del provvedimento di liquidazione, provvedono solitamente a cedere ex art. 90 T.U. l. banc. le attività e passività della banca oggetto del provvedimento di rigore ad altra banca (preventivamente interpellata dalla Banca d’Italia e che si era dichiarata interessata all’operazione di acquisizione).

Contributo collegato:
I living wills e un articolo del Prof. Gabrielli: un commento di Alessandro Roselli

5. La cessione delle attività e passività ex artt. 58 e 90 T.U. l. banc. rappresenta – tra quelli che potremmo denominare gli «atti e negozi recuperatori dell’insolvenza bancaria» – il modello più significativo.
La fattispecie si presenta secondo schemi differenti (in ragione ovviamente delle peculiarità delle singole ipotesi di insolvenza o comunque di crisi).
L’atto di cessione nella sua struttura di base risulta congegnato ed articolato secondo pattuizioni e clausole che nella formulazione più adattata prevedono:

a) nelle premesse che le parti assumono provvisoriamente a base dei pre­senti accordi la situazione contabile provvisoria della cedente alla data della liquidazione, quale emerge dal documento che, sottoscritto dalle parti e dal No­taio rogante, si allega all’atto, con riserva di procedere consensualmente alla redazione di una situa­zione contabile definitiva riferita alla data dell’atto di cessione;

b) che la premessa è parte integrante e sostanziale del presente atto e ne forma il patto primo;

c) che la cedente cede alla cessio­na­ria le proprie at­ti­vità e pas­sività esistenti alla data odierna, ivi compresi l’avviamento e tutti i diritti reali su beni mobili e/o immobili nonché ogni altra sopravvenienza attiva o passiva ricondu­cibile alle attività e passività trasferite. Per effetto della cessione ogni di­ritto, ragione, azione ed obbligo, anche di natura amministrativa e fiscale, spet­tante a qualsiasi titolo alla cedente viene trasferito alla cessionaria, ivi compresi i giudizi attivi e passivi in corso e le even­tuali azioni di responsabilità e risarcitorie, in qualsiasi sede esercitabili, nei confronti degli ex amministratori, sindaci, espo­nenti aziendali e ogni altro soggetto responsabile degli eventi che hanno condotto alla liquidazione coatta amministrativa;

d) che la cessione ha immediata efficacia tra­slativa e liberatoria e pertanto la cessionaria subentra automaticamente in tutte le at­tività e pas­sività cedute;
la determinazione dell’eventuale credito di una delle parti nei confronti dell’al­tra avrà luogo sulla base della situazione definitiva di trapasso che dovrà essere pre­disposta – con la partecipazione dei rappresentanti di un Fondo di Garanzia (nelle operazioni, in cui sia previsto tale intervento, e che solitamente riguardano banche di grandi dimensioni e per le quali l’insolvenza abbia raggiunto notevoli entità di sbilancio) in funzione del suo intervento a tutela dei depositanti – entro … giorni dalla stipula del presente atto, previa consensuale verifica della sussistenza delle poste attive e passive og­getto della cessione, ivi com­preso il valore dell’avviamento e dei giudizi attivi e passivi;

e) che l’eventuale debito a carico della cessionaria sarà corrisposto per con­tanti alla liquidazione entro quindici giorni dal momento della determina­zione fi­nale.
L’eventuale debito a carico della liquidazione darà luogo ad un credito della ces­sio­naria nei confronti della liquidazione stessa, senza peraltro che la sua esi­stenza costi­tuisca ostacolo alla chiusura della procedura;

f) che la cessionaria, su richiesta del commissario liquidatore, anti­ci­perà gli importi necessari a coprire le spese di liquidazione; ivi compresi gli oneri afferenti le azioni legali di cui al precedente art. …, i compensi spettanti agli Organi della liqui­dazione nella misura determinata dalla Banca d’Italia ed ogni eventuale sopravve­nienza passiva, anche di natura tributaria, acquisendo un corrispondente credito di ri­valsa nei confronti della liquidazione stessa, che andrà computato ai fini della deter­minazione dell’eventuale credito di una delle parti.

6. La ratio dell’istituto della cessione delle attività e passività va dunque ravvisata nella conservazione dell’integrità eco­nomica e dei valori patrimoniali dell’azienda bancaria sottoposta alla l. c. a. e nella tutela dei de­positanti, oltreché, ovviamente, nella salvaguardia dell’efficienza e stabilità del si­stema creditizio nel suo complesso.
I contratti di cessione, secondo l’uso ormai invalso nella prassi, sono peraltro stipulati dalla banca cessionaria e dagli organi della liquidazione immediatamente dopo la presa in consegna dell’azienda da parte di questi ultimi, e tale immediatezza, se, per un verso, può sembrare contraddittoria con l’esigenza di una ponderata e puntuale analisi dello stato economico e patrimoniale dell’azienda che si andrà a cedere (ovvero delle possi­bili diverse operazioni di realizzo dell’attivo che ai sensi dell’art. 90 T.U. l. banc. i commissari liquidatori possono porre in essere), per un altro, trova la sua giustificazione nell’esigenza di predisporre un’immediata prote­zione degli interessi dei depositanti e di evitare che si verifichi una frattura nell’esercizio dell’attività dell’azienda bancaria ce­duta. Sicché immediatamente dopo la stipula dell’atto di cessione l’azienda bancaria possa proseguire la propria attività, seppure sotto il nome (e la governance) di una diversa banca

7. La cessione, la cui natura e struttura meriterebbe di essere attentamente indagata, avviene sulla base di una situazione contabile provvisoria ed ha efficacia traslativa imme­diata, in modo da consentire alla cessionaria di subentrare senza sostanziali inter­ruzioni di continuità sia nei rapporti con la clientela sia nell’operatività presso gli sportelli.
Tuttavia il “prezzo” della cessione, in una prima fase, è sostanzialmente inde­termi­nato e determinabile solo “ex post”, dato che la somma relativa al prezzo corri­spettivo della cessione sarà dovuta dall’acquirente sulla base del confronto tra at­tività [ivi compreso: a) il valore dell’avviamento, che nella prassi sovente viene determinato nella misura cor­rispondente allo sbilancio patrimoniale a quel momento accertato; b) il valore attribuito all’eventuale azione di responsabilità da esercitare nei confronti degli ex esponenti ban­cari dell’azienda ceduta; sicché l’insieme di tali valori fini­sce per divenire, in buona sostanza, il prezzo ricono­sciuto, ed effettivamente pa­gato, per l’acquisto dell’asset dell’azienda ceduta] e pas­sività cedute [come ri­sulteranno a seguito della verifica della sussistenza e della valuta­zione analitica delle poste stesse, che cedente e cessio­nario si impegnano a svolgere in con­traddittorio entro un arco di tempo prefissato (eventualmente con la partecipa­zione di rappresen­tanti dei sistemi di garanzia dei de­positanti intervenuti e con la previsione del ri­corso ad arbitratori per la definizione delle poste non concor­date)].
In altri termini costituisce «prezzo» — positivo o negativo — della cessione la dif­fe­renza — positiva o negativa — tra attività e passività cedute, quali risulteranno nella situazione de­finitiva di trapasso, formata in base alle risultanze della predetta fase di accerta­mento e valutazione.

8. Ai sensi dell’art. 90 T.U. è consentito distinguere due diverse forme: la cessione “parziale” e quella “integrale”.
La prima ipotesi, ha per oggetto la cessione di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco ed infine delle attività separatamente dalle passività e viceversa, in modo da interessare la totalità o una parte di queste ultime. La cessione parziale è sicuramente, delle due, la meno utilizzata nella prassi applicativa e pone problemi essenzialmente riconducibili, da un lato, alla individuazione dell’oggetto del negozio, dall’altro, alla eventuale lesione della par condicio creditorum.
Le operazioni di cessione integrale, invece, sono identificabili qualora oggetto del negozio traslativo siano o le attività e le passività ovvero l’azienda in modo tale da consentire il trapasso del complesso dei beni del soggetto cedente al cessionario.
Al riguardo occorre subito porre in evidenza che la distinzione tra cessione di attività e passività e cessione di azienda, se non appare difficile da cogliere sul piano concettuale (in ragione del fatto che nel primo caso è dato osservare una sostituzione nella titolarità di rapporti giuridici e nel secondo risulta un trasferimento dell’insieme dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa), più ardua si manifesta sotto il profilo della disciplina applicabile e ciò anche in considerazione del sovrapporsi dei diversi piani normativi, al punto tale che nell’opinione di qualche autore le due fattispecie seppure presentano elementi di distinzione sul piano configurativo, probabilmente non lo sono più su quello della loro disciplina.

9. Se si tiene presente sia lo schema organizzativo che il nostro sistema ha predisposto per affrontare le situazioni di crisi, sia le operazioni dirette alla gestione di tali situazioni, ci si avvede che nel nostro sistema l’idea del “living will” è dunque scarsamente praticabile, per una pluralità di ragioni.
Una prima ragione potremmo definirla di natura “psicologica”: confessare la propria insolvenza, soprattutto per l’impresa bancaria, equivale a collocarsi immediatamente fuori dal mercato, poiché significa ammettere la propria incapacità di operare secondo i criteri della sana e prudente gestione del credito e quindi confessare la propria incapacità di gestire il denaro altrui.
Il testamento vivente però, si può ovviamente obiettare, non presuppone la crisi ma la diversa ipotesi della possibilità che un giorno la crisi possa verificarsi.
Ma c’è da chiedersi, sempre seguendo questo immaginario ragionamento, se il fatto stesso di prevedere la possibilità di una crisi non sia già un elemento che, seppur a livello subliminale, non sia comunque in grado di generare incertezza nei terzi depositanti e investitori.
Una seconda ragione è di ordine tecnico: la crisi e l’insolvenza può manifestarsi in modi e forme diverse, e – a seconda dei suoi sintomi – diverse sono le forme e le tecniche di risanamento.
Sicché, non conoscendo i sintomi della patologia, è difficile, in prevenzione, definirne i possibili rimedi.
Rimedi che infatti, di volta in volta, e in conformità alle concrete situazioni, sono posti in essere dai soggetti incaricati di porre in essere tutti gli atti e tutte le attività necessarie o comunque opportune per recuperarne, o quanto meno mitigarne, gli effetti dannosi e spesso devastanti per l’intero sistema creditizio.
Sicché è difficile, per non dire impossibile, prevedere un effetto senza conoscerne la causa concreta.
Un’ultima ragione, riposa in quello che sembrerebbe essere il paradosso di un ossimoro: il testamento dice l’art. 587 c.c. è l’atto con il quale taluno dispone “per il tempo in cui avrà cessato di vivere”, ma secondo le leggi del credito le banche sono (rectius: dovrebbero essere) ………… “immortali” !!!!