Il recepimento della direttiva ricorsi in materia di appalti pubblici: prime note sullo schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al Codice dei contratti pubblici

Nei giorni scorsi è stato diffuso lo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui agli articoli 1, 2 e 44, legge 7 luglio 2009, n. 88, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee – Legge comunitaria 2008” – Recepimento della direttiva 2007/66/CE.
Come è noto, la direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 ha modificato le direttive 89/665/CE e 92/13/CE – concernenti le procedure di ricorso in materia, rispettivamente, di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori e forniture, e di procedure di appalto nei c.d. settori speciali – ed ha introdotto alcune misure finalizzate a rafforzare l’effettività del sistema di tutela, fondato su mezzi di ricorso efficaci e rapidi avverso le decisioni delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti tenuti al rispetto del diritto comunitario, in modo da garantire che l’intervento del giudice abbia luogo, per quanto possibile, in un momento in cui le violazioni possono ancora essere corrette (cfr. considerando da 1 a 4).

Tra le principali misure introdotte dalla direttiva si segnalano, fra l’altro:

Per scongiurare inadempimenti dell’Italia agli obblighi imposti dal diritto comunitario – il termine per la trasposizione della direttiva scade infatti il 20 dicembre 2009 – il legislatore ha inserito nella legge comunitaria 2008 una disposizione di delega per l’adozione delle misure di recepimento necessarie (l. 7 luglio 2009, n. 88, art. 44).
La delega conferita al Governo ha però portata più ampia e comprende anche disposizioni riguardanti altri istituti, come l’accordo bonario e l’arbitrato.
Secondo una precisa indicazione della legge delega, dunque, lo schema di decreto legislativo provvede ad un vero e proprio riordino del contenzioso in materia di contratti pubblici introducendo, fra l’altro, alcune disposizioni volte ad agevolare e potenziare gli strumenti di risoluzione alternativi alla tutela giurisdizionale, specie in fase di esecuzione del contratto. Si allude, in particolare, all’introduzione di una esplicita clausola di esonero dalla responsabilità erariale per il caso di adesione integrale alla proposta di accordo bonario nonché all’evidente favore per la reintroduzione di clausole compromissorie nei contratti pubblici.
Presumibilmente proprio perché ha inteso dare corpo ad un sistema di regole non solo processuali, il legislatore delegato ha preferito non collocare il recepimento della direttiva 2007/66/CE nell’ambito della riforma del processo amministrativo attualmente in itinere, optando invece per la diversa soluzione di introdurre modifiche ed integrazioni al d.lgs. 163/2006, c.d. Codice dei contratti pubblici, soprattutto nella sua Parte IV dedicata al contenzioso. Quest’ultima risulta ora suddivisa fra una Titolo I, rubricato Strumenti di definizione delle liti diversi dal ricorso giurisdizionale (artt. 239-243) ed un Titolo II, dedicato a Giurisdizione e norme processuali (artt. 244 ss.).
Lo schema di decreto legislativo diffuso nei giorni scorsi è una bozza provvisoria, certamente soggetta a modifiche ed integrazioni. Queste le principali novità che emergono oggi da una sua prima lettura.

Ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione delle nuove disposizioni. La direttiva obbligava gli Stati membri ad introdurre procedure efficaci di ricorso per gli appalti disciplinati dalle direttive 17 e 18 del 2004 e, quindi, autorizzava discipline differenziate per gli appalti sotto e sopra soglia.
In attuazione della delega conferita dal legislatore nazionale, viceversa, lo schema di decreto legislativo adotta una soluzione unificata per tutte le procedure di ricorso in materia di contratti pubblici estendendo così l’ambito di applicazione delle disposizioni comunitarie senza alcuna distinzione in base al valore dell’appalto ovvero all’appartenenza del contratto ai settori c.d. speciali. Sotto il profilo soggettivo, poi, viene introdotta una nozione più ampia di stazione appaltante (art. 3, co. 33), che, ai fini della Parte IV, comprende non solo tutti i soggetti che sono amministrazioni aggiudicatrici o soggetti aggiudicatori ai sensi della Parte II (art. 32 Cod.) e della Parte III (art. 207 Cod.) ma altresì, con una disposizione di chiusura, ogni altro soggetto tenuto, secondo il diritto comunitario o nazionale, al rispetto di procedure o principi di evidenza pubblica nell’affidamento dei contratti relativi a lavori, servizi o forniture.La nuova disciplina del contenzioso, dunque, dovrebbe trovare applicazione anche nei confronti dei concessionari di servizi e delle diverse forme di partenariato pubblico-privato (PPP) riconosciute dal diritto comunitario ma non disciplinate dalle direttive sugli appalti pubblici.

Termine sospensivo (standstill period) e informativa dovuta dalle stazioni appaltanti. Il termine sospensivo (che secondo la direttiva non può essere inferiore a dieci o quindici giorni a seconda degli strumenti utilizzati per le comunicazioni) viene individuato dal legislatore italiano in trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Lo standstill period preclude non solo la sottoscrizione del contratto ma altresì l’esecuzione anticipata delle prestazioni in via di urgenza (art. 11, co. 10, Cod.). La durata della sospensione è stata quantificata tenendo conto dei tempi tecnici connessi agli obblighi di informativa imposti dall’art. 79 Cod. (cinque giorni) nonché del termine di decadenza introdotto per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Poiché, tuttavia, la preclusione assolve la precisa funzione di consentire ai concorrenti non aggiudicatari di valutare se proporre ricorso e, in caso affermativo, di presentarlo prima della sottoscrizione del contratto, essa non trova applicazione nei casi in cui non vi siano potenziali interessati al ricorso (in presenza di una sola offerta o nelle altre ipotesi indicate dal nuovo comma 10-bis dell’art. 11).
La disciplina dello standstill period dovrebbero trovare applicazione anche nel caso di contratti relativi a progetti facenti parte del piano strategico nazionale disciplinati dall’art. 20, co. 8 ed 8-bis, d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla l. 28.01.2009, n. 2.
Quanto agli oneri di informativa, il novellato art. 79 Cod. prevede che, entro cinque giorni, le stazioni appaltanti comunichino ai soggetti interessati (aggiudicatario, secondo classificato, candidati che hanno presentato un’offerta ammessa, o che abbiano impugnato la propria esclusione ovvero ancora il bando di gara) l’aggiudicazione definitiva, la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, nonché l’avvenuta sottoscrizione del contratto, inviando per iscritto compiuta informativa, della quale viene indicato in maniera analitica il contenuto minimo.
L’ultimo comma della disposizione introduce altresì una forma semplificata ed accelerata di accesso agli atti, che deve essere consentito entro dieci giorni lavorativi, senza necessità di proporre istanza scritta né di ottenere un provvedimento di assenso.

Comunicazione alla stazione appaltante dell’intento di proporre ricorso. Secondo quanto espressamente consentito dalla direttiva comunitaria, lo schema di decreto legislativo prevede che chi intende proporre ricorso giurisdizionale, ne dia preventiva comunicazione alla stazione appaltante.
Tale onere è chiaramente ispirato ad una ratio deflattiva: la comunicazione, infatti, deve contenere l’individuazione della presunta illegittimità e dell’intenzione di proporre ricorso giurisdizionale, in modo da consentire alla stazione appaltante di valutare la posizione dell’interessato e, ove ne ravvisi i presupposti, di evitare il giudizio revocando tempestivamente la propria decisione (eventualmente all’esito di un procedimento di autotutela nel caso in cui debba essere assicurato il contraddittorio: v. art. 243-bis).
La comunicazione può essere inviata sino alla proposizione del ricorso e non rappresenta una condizione di procedibilità dell’azione: la sua assenza, infatti, costituisce comportamento valutabile dal giudice nel successivo giudizio ai fini dell’eventuale condanna alle spese nonché dell’accertamento della gravità della colpa e dei danni risarcibili ex art. 1227 c.c.

Il ricorso giurisdizionale: rimedi esperibili, termini per la proposizione ed atti impugnabili. Anche l’art. 245 Cod. presenta importanti novità, che sembrerebbero ispirate all’esigenza di assicurare certezza in tempi brevi. In particolare:

La preclusione nel caso di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva con contestuale richiesta di misure cautelari. Conformemente alle indicazioni della direttiva comunitaria, in caso di effettiva proposizione di un ricorso giurisdizionale lo standstill period diventa preclusione alla stipulazione del contratto in attesa della pronuncia del giudice, in sede cautelare o di merito. A questa ipotesi è dedicato l’art. 245-bis, il quale nella attuale stesura àncora tuttavia l’operatività della preclusione ad alcuni presupposti.
Innanzitutto, recependo i criteri introdotti dalla legge delega nazionale, lo schema di decreto legislativo prevede la preclusione a stipulare il contratto esclusivamente qualora il ricorso abbia ad oggetto l’aggiudicazione definitiva, contenga la domanda cautelare e sia rivolto al giudice amministrativo competente per territorio.  A tale ultimo proposito, l’art. 245-bis introduce infatti una peculiare ipotesi di competenza territoriale inderogabile, che impedisce l’adozione di una pronuncia cautelare da parte di un giudice incompetente. L’incompetenza deve essere rilevata anche d’ufficio e viene dichiarata con sentenza nella prima udienza (o camera di consiglio), con possibilità di riassumere entro trenta giorni il giudizio al TAR indicato come competente all’atto della declinatoria.
In secondo luogo, la preclusione opera dal momento della ricezione della notificazione del ricorso sino all’adozione della pronuncia cautelare collegiale di primo grado, ovvero alla pubblicazione del dispositivo di sentenza nel caso di passaggio dalla fase cautelare alla decisione di merito. Essa viene meno nell’ipotesi di rinuncia, anche tacita, all’istanza cautelare, ovvero nel caso in cui il giudice si pronunci negativamente in sede dispositivo di sentenza, di pronuncia cautelare di primo grado non impugnata o di pronuncia cautelar di appello.
Inoltre, al solo fine dell’operatività della preclusione alla stipulazione del contratto nei confronti delle amministrazioni che si avvalgono del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il ricorso deve essere notificato anche al domicilio reale della stazione appaltante. Considerato l’attuale tenore letterale della disposizione, sembra lecito presumere che detta notifica non abbia rilievo ai fini del decorso del termine di decadenza per la proposizione del ricorso; non sono chiare, tuttavia, le conseguenze derivanti dalla sua omissione.

Privazione degli effetti del contratto e sanzioni alternative. L’art. 245 – ter disciplina la privazione degli effetti del contratto e le sanzioni alternative [1].
Come si è detto, la direttiva comunitaria pone alcuni vincoli precisi, consistenti essenzialmente nell’imposizione della privazione degli effetti del contratto come sanzione dovuta per le violazioni più gravi del diritto comunitario, con la precisazione che tale privazione ‘non dovrebbe essere automatica ma dovrebbe essere accertata da un organo di ricorso indipendente o dovrebbe essere il risultato di una decisione di quest’ultimo’ (considerando n. 13) e può essere omessa in casi eccezionali (recte: sostituita da sanzioni alternative). Per le altre violazioni del diritto comunitario, gli Stati membri hanno facoltà di estendere la privazione degli effetti del contratto ovvero di introdurre sanzioni alternative – come il pagamento di somme di denaro ovvero l’abbreviazione della durata del contratto -, aggiuntive rispetto al risarcimento danni, considerato da solo misura non adeguata ai fini della direttiva (nuovo art. 2 sexies dir. 89/665/CE). Spetta altresì agli Stati membri determinare se la privazione degli effetti del contratto debba valere ex tunc ovvero essere limitata alle sole prestazioni da eseguire ed individuare i poteri spettanti in concreto agli organi giudicanti investiti della decisione.
Come è facilmente intuibile, il recepimento di tali disposizioni rappresenta uno dei profili più delicati della nuova disciplina ed è destinato ad incidere profondamente sul sistema di giustizia amministrativa e sul riparto di giurisdizione con il giudice ordinario. A tale proposito, la legge delega nazionale esprime un’opzione precisa: quella di affidare la pronuncia sulla privazione degli effetti del contratto, sulla sua decorrenza effettiva e sull’applicazione di sanzioni alternative alla valutazione in sede di bilanciamento degli interessi coinvolti dall’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, nell’ambito di una giurisdizione esclusiva e di merito. Questa soluzione non può dirsi imposta dal diritto comunitario, che consente di attribuire i poteri in questione ad organi distinti responsabili di aspetti differenti della procedura di ricorso (nuovo art. 2, co. 2, direttiva 89/665/CE)ed è chiaramente improntata ad un principio di unicità della giurisdizione.
Secondo lo schema di decreto legislativo delegato, la domanda di annullamento del provvedimento di aggiudicazione si intende sempre comprensiva della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, nonché della domanda di privazione di effetti del contratto, ove nel frattempo stipulato, anche in difetto di espressa indicazione (art. 245-bis, co. 2).
Il giudice amministrativo, che annulli la aggiudicazione definitiva, dichiara la privazione degli effetti del contratto (purché non ricorrano esigenze imperative connesse ad un interesse generale, che impongano di mantenerlo in vita e con una serie di possibili temperamenti) nei casi in cui è obbligatoria per il diritto comunitario, indicando altresì se detta privazione sia retroattiva o limitata alle prestazioni da eseguire. La privazione degli effetti deve essere dichiarata anche nelle controversie relative a procedure di progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi (art. 246 Cod.).
Nei casi in cui non sia tenuto a dichiarare la privazione degli effetti del contratto, il giudice si pronuncia comunque sulla sorte del contratto in sede di bilanciamento degli interessi secondo i criteri indicati dall’art. 245-ter Cod., indicando la decorrenza della eventuale privazione ovvero, ed in via subordinata, riconoscendo il risarcimento del danno subito e comprovato.
La decisione del giudice è adottata contestualmente all’annullamento dell’aggiudicazione. E’ tuttavia consentita la pronuncia di una sentenza parziale, che assegna un congruo termine alla stazione appaltante per rideterminarsi sull’aggiudicazione e sugli effetti del contratto, rinviando ad altra udienza successiva la definizione del giudizio.
Il decreto delegato nulla dice sulla natura dei poteri attribuiti al giudice amministrativo in questi casi e sugli effetti della sentenza.
Certo è, tuttavia, che il giudice, formalmente chiamato ad irrogare sanzioni, in sostanza può intervenire direttamente sui rapporti scaturenti dalla procedura di affidamento senza essere tenuto a rispettare la riserva di amministrazione tipica del nostro sistema processuale. Non è un caso che a questi poteri corrisponda l’introduzione di una parentesi di giurisdizione esclusiva e di merito all’interno del giudizio di annullamento, anticipando in questo modo valutazioni che sembrerebbero proprie del giudizio di ottemperanza (al quale competono comunque le questioni relative alla mancata esecuzione, in tutto o in parte, del capo di sentenza che irroga le sanzioni: art. 245-ter, co. 11).
Altrettanto certo, inoltre, che il legislatore nazionale prefiguri la privazione degli effetti del contratto come una possibile conseguenza sostanzialmente naturale – benché oggetto di pronuncia esplicita da parte del giudice – dell’annullamento dell’aggiudicazione, senza alcuna preventiva graduazione delle sanzioni in rapporto alla natura e gravità del vizio rilevato. E’ dunque teoricamente possibile che il contratto venga dichiarato privo di effetti anche in assenza di gravi vizi sostanziali, ad es. per effetto di carenze documentali meramente formali.

Modifiche all’accordo bonario e disposizioni in materia di arbitrato. Il legislatore ha introdotto alcune misure che non attengono al recepimento della normativa comunitaria e sono chiaramente volte a favorire la risoluzione accelerata e non giurisdizionale del contenzioso, specie di quello insorto in fase di esecuzione del contratto.
Viene così ampiamente modificato l’art. 240, Cod., dedicato all’accordo bonario. Tra le novità più significative, oltre al potenziamento del ruolo dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) ed all’introduzione di un mediatore unico come alternativa all’organo collegiale (commissione), è la disposizione che esclude esplicitamente, in caso di “accettazione integrale della proposta motivata di accordo bonario …. la gravità della colpa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica …”(co. 12). La novità non trova preciso riscontro nella legge delega anche se ha l’innegabile pregio di rimuovere uno dei maggiori ostacoli al ricorso all’accordo bonario (cfr. art. 4, co. 3, lett. m), n. 1), l. delega).
Secondo la scelta operata nella legge delega, poi, le stazioni appaltanti non possono stipulare compromessi ma hanno facoltà di indicare nel bando di gara (ovvero, in assenza, nell’avviso di indizione della procedura o nella lettera di invito) se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria, con facoltà per l’aggiudicatario di ricusare tale clausola entro venti giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione (art. 241 Cod.). Il concorrente può però rinunciare in fase di gara alla declinatoria della clausola compromissoria, con l’effetto di poter offrire un ulteriore autonomo ribasso (non rilevante ai fini della soglia di sospetta anomalia) giustificato con i minori oneri finanziari derivanti dalla maggiore celerità di risoluzione delle controversie relative all’esecuzione del contratto (art. 82, u.c., Cod.; v. altresì artt. 83 e 87, Cod.).
Numerose anche le modifiche alla disciplina dell’arbitrato contenute nel nuovo art. 242. Si segnala, fra l’altro: che il lodo si ha per pronunciato con la sua ultima sottoscrizione mentre il deposito presso la AVCP diviene condizione di sua efficacia; che l’impugnazione per nullità del lodo è proposta nel termine di trenta giorni dalla sua notificazione e non è più proponibile decorsi centoventi giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione; che è disciplinato un procedimento per la sospensione dell’efficacia del lodo.

Materiali collegati:

Note

1.  L’art. 245- ter deve essere integrato con le disposizioni introdotte dal successivo art. 245 – quater per le ipotesi, previste dal legislatore comunitario, nella quali è necessario assicurare la possibilità di ricorrere per la privazione di effetti di un contratto già stipulato entro un termine più lungo (sei mesi) ovvero decorrente dalla effettiva conoscenza delle decisioni dell’amministrazione. Si tratta di casi eccezionali (ad es., procedure indette senza pubblicazione di bandi o avvisi, ovvero negoziate senza preventiva pubblicazione di bando, etc.), nei quali vi può essere una sostanziale impossibilità di proporre ricorso nei termini ordinari.