Avvocati e concorrenza

“Se il diritto è una professione, ci si aspetta che gli avvocati considerino il benessere dei loro clienti e della società al di sopra dei loro interessi personali. Se il diritto è un affare l’avvocato deve, invece, cercare di massimizzare il proprio interesse economico. Per semplificare si potrebbe affermare che la professione pone i principi prima dei profitti e l’affare pone i profitti prima dei principi.[1]
La citazione sintetizza in poche righe il senso della dibattuta questione sulla liberalizzazione della professione d’avvocato nel nostro Paese. Sostanzialmente, potremmo ricondurla a due quesiti: l’avvocato è professione o impresa? Il diritto è un valore o un affare?

1. La Comunità europea
La comunità europea è chiara in proposito: l’avvocato è un’impresa operante nel mercato, e come tale è soggetta alle dinamiche concorrenziali e alla normativa antitrust.
A chiarirlo è la stessa Corte di Giustizia, che nella sentenza Wouters C-309/99[2] del 19 febbraio 2002 ha affermato: «Gli avvocati svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato (divenuti artt. 81 CE, 82 CE e 86 CE)».
Nel contesto comunitario tale visione è stata condivisa e promossa anche dalla Commissione. In una sua comunicazione,la COM (2004) 83, essa ha rilevato che tutti i servizi collegati alle imprese partecipano al raggiungimento degli obiettivi di crescita, occupazione, competitività dell’economia europea individuati nel programma di Lisbona.
Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona nel marzo 2000 aveva, infatti, un preciso obiettivo: trasformare entro il 2010 l’economia dell’UE nell’economia dell’innovazione e della conoscenza, nella quale i servizi professionali, tra cui quello legale, avrebbero ricoperto un ruolo di primo piano.
Questi servizi rappresentano un input crucialeper l’economia e per l’impresa. La loro qualità e competitività sono chiamate a contribuire in maniera significativa al progresso dell’intera economia europea.
Secondo il commissario Mario Monti[3], che si è occupato di chiarire in poche righe la questione, “Il settore dei servizi è il principale motore di crescita dell’Unione europea[4] e i servizi professionali forniscono un importante contributo a tale settore. L’alleggerimento della regolamentazione permetterebbe di offrire servizi più competitivi alle imprese e ai consumatori, e quindi contribuirebbe a far crescere la competitività dell’Europa in linea con l’agenda di Lisbona.[5]
Se da un lato è possibile comprendere lo sconcerto avvertito da molti professionisti di fronte alla nuova concezione della loro professione affermatasi a livello comunitario, dall’altro non si può che ammirare lo sforzo della Comunità nell’individuare una identità evoluta che permetta ai professionisti di confrontarsi con il mondo reale, globalizzato e soprattutto in costante mutamento.
L’obiettivo comunitario non è di attaccare le categorie professionali, bensì di porle di fronte a una mutata realtà che chiede anche la loro attiva partecipazione per svilupparsi e ambire a risultati di eccellenza. L’economia non può operare autonomamente dalle professioni, senza risultare fragile, incompleta, inefficiente.
La comparazione professioni-imprese ha di fatto l’intento di non escludere le professioni dal processo di crescita, considerandole parti integranti, fondamentali, indispensabili.
La Commissione, in particolare, mira a un processo di liberalizzazione delle professioni suggerendo l’utilizzo dello strumento noto come TEST di PROPORZIONALITÀ.
Si tratta di rivisitare le singole discipline compiendo una valutazione costi-benefici. Se una norma restringe la concorrenza ma comporta benefici maggiori per il consumatore, merita di essere mantenuta. Viceversa, se la norma non è giustificata da vantaggi significativi, verrà abrogata[6].
La Comunità statuisce che gli avvocati sono imprese immerse nel mercato e che in generale le discipline professionali sono restrittive e lesive della concorrenza. La Commissione auspica quindi un loro riesame attraverso il c.d test di proporzionalità, e si propone di mantenere in vigore solo le norme i cui vantaggi superano gli svantaggi per la comunità.

2. L’Italia
In Italia i dettami comunitari hanno trovato parziale applicazione nella legge Bersani dell’agosto 2006[7], primo importante tentativo verso la liberalizzazione delle professioni. Gli interventi previsti da questa legge si sostanziano nell’abrogazione delle tariffe fisse o minime, del divieto di pubblicità e del divieto di fornire il servizio professionale di tipo interdisciplinare da parte di società di persone e di associazioni di professionisti.
La “Bersani” sembra, a tutti gli effetti, seguire la logica auspicata dalla Commissione europea[8] e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le quali hanno invitato in diverse occasioni gli Stati Membri a snellire le normative professionali favorendo la concorrenza.
In Italia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha sempre affermato e sostenuto i dettami comunitari, come dimostra l’indagine conoscitiva nel settore delle professioni avviata nel 1994.
Fin dai suoi primi interventi l’AGCM ha definito, da un lato, la necessità di regolare le professioni intellettuali in maniera più rigorosa rispetto alle altre; dall’altro, l’esigenza di abrogare le norme lesive della concorrenza che non trovano una reale giustificazione in un’ottica di tutela del consumatore.
L’AGCM non propone di abolire le regole che garantiscono un minimo di qualità di servizio, ma solo quelle che non rispondono a un preciso interesse pubblico, o i cui vantaggi non prevalgono sugli svantaggi percepiti dai consumatori.
In Italia purtroppo si configurano arretratezza del sistema e assetti regolamentari delle professioni non ottimali.
Alcuni studi economici[9] dimostrano che assetti troppo restrittivi limitano l’esercizio dell’attività professionale, riducendone l’efficienza.
Nella già citata Comunicazione[10], la Commissione ha affermato che l’Italia è seconda solo alla Grecia per assetti restrittivi della concorrenza nelle professioni. Identifica al contrario come esempio positivo il Regno Unito, che attraverso una regolamentazione più snella ha reso efficienti i servizi legali.

3. Il Regno Unito
Il governo inglese interpella spesso l’Office of Fair Trading, che corrisponde alla nostra Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per ricerche, pareri e studi in materia di concorrenza dei servizi legali, senza però mai trascurare la voce degli ordini, la Law Society e il Bar Council, che rappresentano le categorie dei solicitors e dei barristers.
Un punto di forza del Regno Unito è rappresentato senza dubbio dalla stretta collaborazione fra i diversi organi e le istituzioni coinvolte.
Governo, professioni, ordini ed Autorità Garante cooperano con studi, scambi d’informazioni e pareri per un miglioramento in termini d’efficienza dei servizi legali.
Probabilmente non è l’unico fattore che ha permesso di sviluppare e modificare la disciplina nel Regno Unito, ma sicuramente è uno dei più rilevanti.
Attraverso un’intensa e coordinata collaborazione fra ordini, governo e Autorità, l’Italia potrebbe trovare un compromesso in grado di emancipare la propria disciplina nazionale.
La legge Bersani costituisce un punto di partenza, e l’esempio inglese un utile  riferimento come stimolo di riforma per il nostro Paese.

4. La “Bersani” e la riforma della professione forense in Italia
Il Consiglio Nazionale Forense, per voce del suo Presidente, ha affermato che la legge Bersani sulla liberalizzazione ha anticipato le riforme in modo del tutto inconsulto. Per tale ragione, si è arrivati a proclamare lo stato d’agitazione dell’intera Avvocatura Italiana, deliberando l’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative e tributarie per i giorni 24, 25 e 28 luglio 2006[11].
Secondo il CNF, infatti, il clamore interno della legge Bersani non è riconducibile tanto al suo contenuto, quanto piuttosto al modo con cui essa è stata formulata e sottoposta alle professioni.
L’ordine forense l’ha definito un intervento troppo radicale e brusco, non rispettoso della voce dei soggetti interessati.
Il Consiglio Nazionale Forense non ignorava l’esigenza di cambiare la disciplina professionale alla luce dell’evoluzione economica e sociale, ma ha stigmatizzato il fatto che il governo lo abbia escluso dal processo di riforma.
Attualmente il dialogo tra governo e Consiglio Nazionale Forense è migliorato. Rileva in merito l’approvazione da parte del Consiglio della riforma della professione forense del 27 febbraio 2009. In tale occasione il Presidente Guido Alpa ha definito la riforma della professione «come uno degli obiettivi prioritari di questa consigliatura» consegnando la proposta al governo.
Quest’anno in Parlamento sono stati presentati diversi lavori preparatori sull’argomento. Da ultimo rileva il disegno di legge discusso il 14 luglio (AS 601), segnalato  dall’AGCM[12]. L’Autorità ha commentato, in sede di segnalazione al Governo e al Parlamento, che il testo proposto contiene ancora una volta restrizioni al funzionamento dei mercati, tali da imporre ai cittadini e alle imprese oneri non giustificati da interessi di rilevanza generale.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha in merito svolto un’indagine conoscitiva nel settore degli ordini professionali, conclusa il 15 febbraio di quest’anno[13]. In particolare l’indagine si è occupata di verificare il recepimento dei principi concorrenziali comunitari e nazionali nei codici deontologici delle singole professioni, individuando spesso carenze nella applicazione di questi principi da parte delle singole discipline professionali.
Alcuni tentativi di collaborazione fra AGCM e CNF si sono registrati[14] in questi anni, ma non risultano sufficienti se si considerano gli scarsi risultati della riforma dell’attuale disciplina rispetto ai dettami comunitari e dell’Autorità antitrust.

4. Conclusioni
L’avvocato è oggi proiettato in un contesto di logiche di mercato ed economia globale per effetto della normativa comunitaria.
Il fenomeno di “modernizzazione” della professione legale è strettamente connesso con la crescente internalizzazione dei mercati e dei servizi, soprattutto alla luce di un contesto europeo sempre più integrato.
Per tale motivo, sarà indispensabile la collaborazione fra ordini e avvocati nella predisposizione di una disciplina deontologica comunitaria uniforme ed efficiente della professione forense.
L’ottica comunitaria ha mutato la concezione tradizionale dell’avvocato improntata all’idea che l’esercizio della professione forense sia totalmente estraneo all’esercizio d’impresa.
La professione non può più astrarsi dal mercato. Deve tener conto del consumatore da proteggere.
Le professioni precedentemente definite “protette” – proprio perché sottratte alla disciplina sull’impresa e conseguentemente anche a quella sulla concorrenza –  sono oggi equiparate alle imprese e di conseguenza soggette anche alla normativa antitrust.
L’obiettivo comunitario è creare un mercato unico ed efficiente, che presuppone la libera circolazione delle persone, merci, capitali e servizi.
In merito sono stati numerosi gli interventi posti in essere dalla Comunità Europea e dalle autorità antitrust dei singoli Paesi.
L’Italia, segnatamente nel confronto con il Regno Unito, versa in una situazione di arretratezza.
Oltre alla collaborazione fra i diversi organi, sembra mancare la chiarezza.

Gli ordini affermano una cosa, l’Antitrust un’altra, il Governo un’altra ancora. Il punto è semplice. Siamo di fronte a norme comunitarie non programmatiche ma vigenti, e in virtù di queste l’avvocato è impresa e soggetto alle norme sulla concorrenza. Se non saranno i professionisti a reagire verso una modifica, sarà la comunità a porli davanti a delle regole a cui non potranno sottrarsi.
Per tale ragione è velleitario sostenere ideali e privilegi, già a priori non condivisi nel contesto europeo. Per l’avvocato, sarebbe più utile calarsi nella prospettiva di un mercato unico comunitario della professione, e chiedersi in qualità d’imprenditore come sviluppare il proprio servizio, per renderlo più efficiente e soprattutto più competitivo.
Non resta ora che attendere la reazione degli avvocati italiani. Certo è che in un mercato l’inerzia non giova, ma facilita solo i concorrenti stranieri a emergere escludendo gli operatori più deboli dal gioco competitivo.
Non è solo il legislatore che si trova oggi a dover compiere delle scelte ma lo stesso professionista, i cui comportamenti saranno sempre meno dettati da norme, diventeranno frutto di decisioni strategiche tipiche di un imprenditore.
Per tale motivo i professionisti e gli ordini sono chiamati a sviluppare una visione imprenditoriale, ad aprire un confronto al proprio interno perché questa visione sia condivisa.
Essi devono prendere parte ai processi decisionali e politici ad ogni livello, tenendo presente che la società attuale è una società mutata, evoluta, globalizzata, dove antichi privilegi divengono indifendibili.
L’auspicio è, da un lato, che le decisioni finali riflettano gli interessi e le esigenze della categoria, dall’altro che quelle decisioni corrispondano alle esigenze della società attuale. A differenza del passato essa pone in primo piano un mercato, delle imprese, e un obiettivo economico d’efficienza.
Dibattere su privilegi insostenibili significherebbe relegarsi ai margini del processo decisionale, lasciando ad altri di determinare le regole concernenti la propria professione.

Materiali collegati:

Osservazioni sulla segnalazione AGCM del 21 settembre 2009 in ordine al DDL di riforma della professione forense

Note

1.  C. Graffy, Riflessioni dall’America: l’etica e l’avvocato europeo nel 2000, in Rassegna Forense, 1998, 76.

2.  Sentenza del 19 febbraio 2002, Wouters, in causa C-309/99, in Raccolta 2002, p. I-01577. Cfr., Conclusioni dell’avvocato generale Lèger, del 10 luglio 2001 relative al caso Wouters.

3.  Alpa Guido, L’avvocato, Bologna, il Mulino, 2005, p. 54. Il Commissario ha definito le professioni liberali come servizi di cui si avvalgono i cittadini e di rilevanza per tutte le aree d’affari. Ha osservato in particolare che queste professioni presentano un carattere comune rappresentato da un alto livello di regolamentazione. Il risultato auspicabile da Monti per queste professioni è che si raggiunga una maggior scelta sia per il consumatore sia per il fornitore del servizio, visto che non tutti i consumatori cercano il grado più alto di qualità che corrisponde ad un prezzo più alto del servizio, che gli deriva appunto da un alto livello di regolamentazione.

4.  Secondo dati forniti dall’Eurostad, i servizi oggi costituiscono circa il 54% del PIL e il 67% dell’occupazione, rappresentando così il principale motore di crescita dell’Unione Europea. In questo senso si veda la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, Una strategia per il mercato interno dei servizi, COM(2000) 888 del 29.12.2000.

5.  Europea Commission, Comments and concludine remarks of Commissioner Monti at the Conference on Professional Regulation, Centre Borchette Bruxelles, 28 ottobre 2008. Il 28 ottobre si è tenuto presso il Borschette Conferece Center di Bruxelles, la Conferenza sulle libere professioni. Lo scopo dell’appuntamento era quello di stimolare un pubblico dibattito sul livello di regole che in Europa sovraintendono l’esercizio delle attività professionali, verificando se le regole di funzionamento sono adeguate o piuttosto impediscono la crescita delle attività, impedendo una maggiore competitività dell’intero continente.

6.  Per approfondire la tematica la Commissione ha affidato ad un istituto viennese l’effettuazione di una ricerca concernente gli avvocati, i notai, i commercialisti, gli architetti, gli ingegneri e i farmacisti, Economics Impact of Regulation in the Field of Liberal Profession in Different Member States. Regulation of Professional Services, a cura di Paterson Fink e Ogus, dell’Istitute for Advanced Studies, Vienna, gennaio 2003. Risultato significativo emerso dallo studio è che nei paesi in cui la regolamentazione è meno intensa, i profitti dei professionisti sono più bassi ma il loro numero complessivo è più elevato; mentre più elevato è il livello di regolamentazione, minore è l’efficienza e più ridotta è la diffusione della ricchezza.

7.  Legge n. 248 del 4 agosto 2006, G.U. n.186 dell’11 agosto 2006.

8.  V. Comunicazione della Commissione, Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, COM(2004) 83 definitivo, Bruxelles, 9.2.2004.

9.  Crf. Nota 7.

10.  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – I servizi professionali – Proseguire la riforma – Seguito alla relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, COM(2004) 83 del 9 febbraio 2004 (SEC(2005) 1064).

11.  Organismo Unitario dell’Avvocatura(O.U.A), Comunicato 21 luglio 2006, Prot. N. 513/06.

12.  AS 602, Provvedimento del 16/09/2009, in Boll. 35/2009, v. sito www.agcm.it.

13.  Provvedimento n. 19435-IC34, Indagine conoscitiva riguardante il settore degli ordini professionali, del 15 febbraio 2009.

14.  Si veda in merito la delibera del CNF del 12 giugno 2008 che ha modificato il Codice deontologico forense a seguito di osservazioni formulate in sede d’audizione dall’AGCM il 18 aprile dello stesso anno.