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“Inesistenza” delle delibere assembleari?

di - 19 Ottobre 2009
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6. Il caso descritto sembra negare la tipicità del sistema dell’invalidità in favore dell’atipicità dell’invalidità societaria.
È dunque su questo itinerario logico che occorre soffermare l’attenzione.
Per la sentenza richiamata, non è sufficiente, ai fini di considerare invalida una delibera assembleare, la parvenza di quest’ultima, intendendo per essa la formale, apparente provenienza della decisione dalla maggioranza del capitale sociale. Ma è, invece, indispensabile quantomeno una manifestazione di volontà dei soci espressa nella forma del voto, proveniente da una maggioranza anche apparente, alla quale tuttavia abbiano preso parte soci titolari di un diritto di voto.
L’assenza di una manifestazione di volontà di soci titolari di un diritto di voto sarebbe il discrimine attuale tra l’invalidità della delibera e l’inesistenza della medesima.
E’ inutile richiamare le teorie in materia di norma giuridica; basti qui ricordare che il procedimento di qualificazione giuridica di un fatto non dipende dall’efficacia, in quanto prima di essa deve verificarsi un momento intermedio, nel quale il fatto materiale viene sottoposto ad un giudizio di rilevanza, cioè il fatto materiale deve corrispondere al fatto ipotetico descritto dalla norma. La sussunzione del fatto materiale al fatto ipotetico determina la rilevanza di quest’ultimo sul piano giuridico. Il fatto materiale è, dunque, un’entità extragiuridica, che penetra nel sistema giuridico attraverso il criterio della rilevanza.
Nel mondo giuridico, dunque, la fattispecie è la totalità, al di fuori della quale non vi è nulla. Nello schema normativo non vi è spazio per il non essere, ma solo per l’essere e l’essere è la norma nei suoi elementi di fattispecie ed effetto giuridico. Dire che la fattispecie è la totalità significa affermare ciò che il diritto, nel suo essere ideale, valuta indispensabile affinché si producano conseguenze giuridiche; dunque, ciò che esiste nel mondo giuridico.
Affermare, di conseguenza, l’essere della categoria dell’inesistenza significa affermare l’esistenza del non essere, cioè di ciò che non è, cioè affermare la rilevanza del nulla giuridico.
Ma se del nulla non si può predicare nulla dal punto di vista filosofico, altrettanto va affermato dal punto di vista giuridico; l’ordinamento, essendo una creazione dello spirito, prevede soltanto l’essere; ciò che esiste per il diritto e non ciò che per il diritto non esiste.
Qui sta la logica profonda del diritto, che è una logica a due valori.
Il probabile, dal punto di vista giuridico, non può e non deve esistere, perché il diritto non è una scienza empirica. In questa prospettiva, affermare inesistente una delibera assunta da soggetti non legittimati, riunitisi al bar senza convocazione e che abbiano espresso una maggioranza contraria alle previsioni della legge e dello statuto, vuol dire affermare qualcosa che non è diritto; solo un fatto accaduto nella vita reale, ma del tutto irrilevante dal punto di vista giuridico.
Il diritto valuta ciò che è esistente per il diritto stesso, cioè la fattispecie, non già ciò che è inesistente, e cioè ciò che per il diritto non esiste. Se si vuole ravvisare in una maggioranza apparente, alla quale abbia partecipato qualche socio titolare di un diritto di voto, il contenuto minimo del fatto rilevante, si faccia pure; ma si qualifichi nulla per impossibilità dell’oggetto quella vicenda, senza dover, ancora una volta, evocare ipotesi di inesistenza che, giustificate in un recente passato, non trovano più alcuna giustificazione logica nel presente.

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