La governance ambientale in Italia: spunti di riflessione comparata sulla partecipazione al procedimento decisionale e la necessità di un “bollino verde” per le leggi

1. Premessa: sul concetto di “ambiente” e il suo governo.
Il termine “ambiente”, secondo un comune dizionario di lingua italiana, ha significati differenti: esso indica “il luogo, lo spazio fisico, le condizioni biologiche in cui un organismo (uomo, animale, pianta) si trova, vive”, “l’insieme delle condizioni sociali, culturali, morali in cui una persona vive”, “una stanza, un locale, un vano”, e “in informatica, un software operativo che permette l’utilizzazione di specifici programmi applicativi”[1].
La pluralità di significati (anche figurativi) che tale parola assume rende estremamente difficile il lavoro del giurista nel tentativo di darne una definizione[2] ed impone il ricorso ad altre scienze, in particolare all’ecologia e alla biologia[3]. Solo, infatti, un approccio interdisciplinare[4] permette la delimitazione del tema rispetto alle sue triplici dimensioni (relazionale, spaziale e diacronica[5]).
Acquisendo, così, i risultati di altre scienze è possibile declinare l’“ambiente” e la “tutela dell’ambiente” con le nozioni di “ecosistema” e di “biosfera” (che comprende tutti gli ecosistemi): in questo modo l’“ambiente” è inteso quale insieme delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi (uomini, animali, piante) e, dunque, la “tutela dell’ambiente” è da intendersi come “tutela dell’equilibrio ecologico della biosfera e degli ecosistemi considerati” [6]. Con l’espressione “governo dell’ambiente”si intende, quindi, il governo di quei fattori che incidono sulla tutela ambientale così intesa e, al tempo stesso, si fa riferimento agli attori, ai protagonisti, ai responsabili di quel processo decisionale e organizzativo finalizzato alla tutela medesima[7].
Il presente studio parte da queste considerazioni e dalla consapevolezza che solo integrando aspetti giuridici con elementi tecnici propri di altre scienze non giuridiche[8], è possibile analizzare le modalità (normative) con cui un ordinamento “governa” l’ambiente e regolamenta l’ecosistema. Da una esperienza straniera in particolare, quella canadese, prenderemo spunto per qualche riflessione sul caso italiano in cui l’ambiente è governato da una molteplicità di regole tra loro sovrapposte e, anche per questo, solo parzialmente efficaci. In tale logica si avanzerà una proposta (minima): introdurre un “bollino verde” per tutte le leggi d’iniziativa governativa, ovvero accompagnare il disegno di legge con una relazione sull’impatto che la normativa proposta avrà sull’ambiente inteso, appunto, quale “ecosistema”.

2. Un “laboratorio” di governance ambientale: il Canada
Per molte ragioni il Canada può rappresentare un punto di riferimento quando si ragiona intorno alla governance ambientale[9].
Nella Costituzione del Canada[10] come nel British North America Act del 1867[11], manca un esplicito riferimento all’ambiente[12] e nulla si dispone sull’autorità (centrale o periferica) competente a disciplinare la materia, pur essendo considerato un bene da proteggere e da difendere con orgoglio[13]. Tale “silenzio” del testo costituzionale non deve, tuttavia, essere letto come una dimenticanza dei padri costituenti i quali, all’opposto, ritenevano che fosse compito di tutte le istituzioni proteggere i “beni ambientali” e l’ecosistema: secondo questa impostazione non spetta ad un solo soggetto, al solo livello federale ad esempio, ad un solo ministro federale, il compito di assicurare uno sviluppo armonico della società canadese, ma è dovere collettivo, generale.
Tale elemento si evince anche da alcune disposizioni costituzionali che, come interpretate dalla Corte Suprema canadese, hanno definito una competenza ripartita in materia ambientale tra lo Stato federale e le Province.
A partire dagli anni settanta del Novecento, il governo federale ha rivendicato una competenza generale in materia ambientale per ragioni oggettive oltre che giuridiche: in primo luogo per il numero sempre maggiore di obblighi internazionali contratti in materia (convenzioni, protocolli, accordi bilaterali) il cui rispetto ricade pienamente nelle competenze federali, e, in secondo luogo, per la necessità di garantire una effettiva protezione dell’ambiente ricorrendo ad una regolamentazione “di alto livello” che, quanto meno, fissi standard minimi e comuni a tutte le Province.

Nell’assenza di un preciso riferimento costituzionale, tuttavia, tale rivendicazione ha prodotto un conflitto tra governo federale e Province che, a loro volta, ritenevano di essere titolari della potestà esclusiva in materia in forza di alcune disposizioni costituzionali che incidentalmente si riferiscono anche all’ambiente.
Privilegiando la rivendicazione della Federazione, il Parlamento federale ha più volte legiferato interpretando, in modo estensivo, varie disposizioni costituzionali che attribuiscono competenze alla Federazione medesima: l’art. 91 c.12 della Costituzione laddove riconosce la competenza esclusiva statale in materia di pesca costiera[14]; l’art. 91 c.1 in materia di demanio federale e l’art. 91 c.24 (secondo cui spetta agli organi federali legiferare, in via esclusiva, con riguardo alle popolazioni autoctone e alle terre riservate agli indiani)[15]; l’art. 91 c.2 che disciplina l’industria e il commercio e l’art. 91 c.10 secondo cui la navigazione e la marina mercantile sono di competenza esclusiva statale[16]; l’art. 91 c.3 che riconosce la potestà impositiva statale.
Oltre a queste norme, le due disposizioni costituzionali principalmente richiamate dal legislatore federale per rivendicare la primazia in materia ambientale sono state l’art. 91 e l’art. 91 c.27. Mentre quest’ultimo articolo attribuisce allo Stato il compito di garantire la salute pubblica e di sanzionare chiunque la metta a repentaglio, il primo definisce una clausola generale nel riparto delle competenze affermando la competenza statale ogni qual volta sia necessario garantire «peace, order and good government»[17].
Agli organi federali, le Province hanno risposto, specialmente dinanzi alla Corte Suprema, rivendicando piena competenza in materia ambientale, sulla base degli artt. 92 c.5 (sul demanio provinciale), 92 c.13 (sulle proprietà dei beni stabilizzati nelle Province), e 92 lett. a) della Costituzione (secondo cui le Assemblee legislative provinciali hanno piena competenza, in via esclusiva, nei settori della «ricerca … sviluppo, mantenimento e gestione delle risorse naturali non rinnovabili e delle risorse forestali esistenti nell’ambito della Provincia»[18]).
In un contesto così articolato, la Corte Suprema ha svolto un ruolo determinante risolvendo alcune delle molteplici questioni interpretative pur senza affermare, con nettezza, l’una o l’altra competenza[19].
In una prima sentenza del 1988, R. v. Crown Zellerback Canada ltd, la Corte ha affermato la legittimità dell’art. 4 della legge federale che proibiva l’immissione in mare e nelle acque interne di competenza provinciale di qualsiasi sostanza senza la preventiva autorizzazione del governo federale (Ocean Dumping Control Act). La Corte, infatti, applicando l’art. 91 della Costituzione canadese, ha rilevato la presenza di un concreto interesse nazionale (national concern) ad una disciplina uniforme su tutto il territorio, alla luce dei possibili effetti della mancata disciplina da parte di alcune Province[20]. Tale principio è stato formalizzato, peraltro, nel preambolo del Canadian Environmental Protection Act del 1999 in cui si legge «that the risk of toxic substances in the environment is a matter of national concern and that toxic substances, once introduced into the environment, cannot always be contained within geographic boundaries».
In una seconda sentenza, del 1992, Friends of the Oldman River Society v. Canada (Minister of Transport), la Corte riconobbe l’interesse federale alla valutazione d’impatto ambientale di progetti d’iniziativa e d’intesse provinciale. Nel caso di specie, il governo dell’Alberta aveva avviato un progetto di costruzione di una diga sull’Oldam River, ricevendo l’assenso dal Ministero dei Trasporti del governo federale competente in materia di navigazione, senza però sottoporre lo stesso alla valutazione d’impatto ambientale pur prevista, in via obbligatoria, dall’Environmental Assesment and Review Process Guidelines Order fissate dal Ministro federale dell’Ambiente. Per la Corte era pienamente legittima questa previsione normativa (peraltro di natura secondaria) proprio in quanto la materia ambientale necessita di una concorrenza tra l’ordinamento federale e quello provinciale.
In ultimo, rileva la sentenza R. v. Hydro-Quebec del 1997 con cui la Corte si espresse favorevolmente nei confronti di un decreto del Ministro federale dell’Ambiente con cui si sanzionava una società del Quebec per l’immissione nell’atmosfera di sostanze nocive oltre i limiti fissati dal governo federale; in questa sentenza, peraltro, la Corte osservò la “trasformazione” del “diritto all’ambiente” da diritto individuale a diritto collettivo, vero e proprio principio fondamentale dell’ordinamento.

Al pari di quanto statuito dalla Corte costituzionale italiana[21], la Corte suprema canadese ha sottolineato come l’ambiente non possa essere considerato una vera e propria materia, frazionabile tra centro e periferia come fosse un oggetto concreto e definito, ma riassuma in sé valori, principi, obblighi che ricadono sulla comunità a prescindere dal riparto formale delle competenze. In tal senso la tutela dell’ambiente è valore primario, non suscettibile di essere subordinato ad altri valori, è valore trasversale che deve essere sempre preso in considerazione ed integrato con tutte le politiche e le azioni di governo federale e provinciale.
Pur, dunque, non riconoscendo alla Federazione la competenza esclusiva a “normare” sull’ambiente al pari di altre competenze federali o provinciali, come la sanità, la scuola, i servizi sociali, in quanto esso riassume principi, valori, obiettivi non frazionabili tra i diversi livelli di governo, la Corte Suprema, con le sentenze prima richiamate, ha riconosciuto il preminente interesse della Federazione nel definire gli obblighi minimi per la tutela dell’ecosistema (specialmente in materia di inquinamento atmosferico ed idrico) e ciò sia per la competenza esclusiva federale nell’attuazione degli obblighi internazionali (molti promossi nell’ambito dell’United Nations Framework Convention on Climate Change UNFCCC), sia per l’impossibilità di agire a livello provinciale per proteggere effettivamente l’ambiente (come è evidente, l’inquinamento di un fiume non conosce confini, per non parlare di quello atmosferico)[22].
Alla luce di tali considerazioni, l’11 giugno del 1971 il Parlamento canadese ha istituito, con legge, il Ministero dell’Ambiente con le finalità di «conservazione dell’ambiente, della flora e fauna, delle risorse rinnovabili, delle acque, nonché di gestione delle tematiche relative alle acque di confine con gli Stati Uniti e all’applicazione dei trattati tra i due Paesi»[23]. Il Canada è stato il secondo paese al mondo (dopo la Francia) ad istituire formalmente il Ministero dell’Ambiente, articolato in quattro dipartimenti (ciascuno funzionalmente collegato ad un Vice Ministro) denominati “Clima”, “Scienza e tecnologia”, “Affari internazionali” e “Servizi interni e amministrazione”.
In questo contesto il Ministro federale ha il compito di dettare i principi generali in materia che si impongono alla legislazione provinciale cui spetta, invece, secondo uno schema noto anche al legislatore italiano, l’onere di approvare normative di dettaglio. Nel fare ciò, tuttavia, il Ministro dell’Ambiente federale ha il compito istituzionale di dialogare permanentemente con gli omologhi Ministri provinciali: come dispone l’art. 7 del Department of the Environment Act (DEA) 1985, egli deve negoziare accordi e sottoscrivere intese con i governi provinciali per la “gestione” dell’ambiente e l’attuazione del programma federale per l’ambiente.
Il governo federale, tuttavia, attraverso la leva fiscale e meccanismi di incentivazione economica, ha guidato e guida o, quanto meno, ha indirizzato le politiche ambientali sia delle singole Province che dei soggetti privati.
Così è avvenuto, specialmente a partire dal 2000, quando sono stati approvati, a livello federale, rilevanti programmi di finanziamento in favore di quelle Province o di quei Comuni che attuavano le politiche ambientali definite dal Ministro federale: si pensi, per fare riferimento al primo caso, al Green Municipal Fund (GMF) istituito nel 2000 e rifinanziato nel 2005 (per un valore di oltre 550 milioni di dollari canadesi) per finanziare azioni di mitigazione dell’inquinamento idrico e sviluppare fonti di energia alternativa a livello comunale e provinciale[24]. Ovvero si guardi a quanto disposto dalla Budget Law per il 2008 per iniziativa del Ministro delle finanze canadese, Jim Flaherty, in favore dei privati: tra le misure inserite in finanziaria in materia ambientale, spiccano quelle volte a incentivare la produzione di energia da fonti alternative (anche se non rinnovabili, come il nucleare) nonché il ricorso a centrali elettriche c.d. a “carbone pulito”. Il governo ha previsto, inoltre, per ridurre le quote di emissione di CO2 e far fronte ai rinnovati impegni ambientalisti assunti nel corso della Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto svoltasi a Bali, in Indonesia, nel dicembre 2007, la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica su larga scala, stanziando ulteriori 66 milioni di dollari per rafforzare il sistema di scambio di quote di emissioni. In ultimo il governo ha creato un fondo quinquennale di 500 milioni di dollari per supportare la ricerca “verde” nel settore automobilistico, prevedendo altri 500 milioni di euro destinati a finanziare i progetti delle Province in favore della mobilità sostenibile.
Il primo dato che emerge da questa sommaria lettura[25] è che la logica premiale (attraverso incentivi o premi economici) prevale nettamente sull’elemento sanzionatorio e obbligatorio. La gestione dell’ambiente in Canada, infatti, non è impostata in termini “negativi” ovvero attraverso norme che obbligano determinati comportamenti a pena di sanzioni, ma in termini “positivi” ovvero attraverso una normativa che premia, con sgravi fiscali o incentivi economici di diversa tipologia, chi si conforma alle regole introdotte a livello federale, chi (sia essa istituzione sia esso privato) attui le politiche ambientali federali[26].

Ciò appare evidente specialmente se si analizza la politica federale in materia di lotta ai cambiamenti climatici.
Il Protocollo di Kyoto, firmato dal Canada nel 1997, ratificato dal Parlamento nel 2002 ed entrato in vigore nel 2005, non è stato mai pienamente attuato proprio perché esso impone il raggiungimento di obiettivi vincolanti, secondo una logica per così dire “negativa”. Il governo federale del Canada (che ha a lungo discusso se e come attuare il Protocollo) ha preferito introdurre soluzioni volontarie alternative a quelle di Kyoto nella lotta ai cambiamenti climatici, impostando programmi di riduzione dell’inquinamento atmosferico sulla base di incentivi economici alle aziende e alle Province virtuose. Gli esiti, tuttavia, non positivi di questa scelta (non sufficientemente supportata da una volontà politica chiara), con l’aumento delle emissioni inquinanti del 26,6% nel 2007 rispetto ai dati del 1990 anziché una riduzione del 6% rispetto alle emissioni del 1990 (come richiesto dal Protocollo di Kyoto), hanno portato il Parlamento federale ad approvare il Kyoto Protocol Implementation Act (entrato in vigore il 22 giugno 2007), secondo cui il Ministro dell’Ambiente, entro il 31 maggio di ogni anno (e fino al 2013), approva un piano per la riduzione delle emissioni inquinanti definendo incentivi economici e sgravi fiscali in favore delle Province e delle aziende private che vi aderiscono.

3. Governare attraverso la partecipazione: il Canadian Environment Assessment Act del 1992 e il Canadian Environment Protection Act del 1999
L’altro elemento che sembra caratterizzare la “via canadese” nel governo dell’ambiente, oltre alla logica “positiva” della normazione introdotta, è la previsione di una costante partecipazione della cittadinanza sia nella fase decisoria che nella fase attuativa e di verifica, controllo e implementazione delle politiche ambientali.
Non essendo questa la sede per una disamina del complesso quadro normativo ambientale canadese, sia sufficiente, in questa sede, considerare i procedimenti previsti dal Canadian Environment Assessment Act 1992 e dal Canadian Environment Protection Act 1999 rispettivamente in materia di valutazione dell’impatto ambientale e di protezione della natura e dell’ecosistema.
Il Canadian Environmental Assessment Act, entratoin vigore il 19 gennaio 1995 e modificato in modo sostanziale nel giugno 2003, si pone, ex articolo 4, quattro obiettivi: 1) garantire che le conseguenze degli interventi sull’ambiente siano attentamente analizzate prima che le autorità federali ne diano esecuzione, in modo da evitare conseguenze nocive significative sull’ambiente; 2) incoraggiare le autorità federali ad intraprendere azioni a sostegno dello sviluppo sostenibile anche promuovendo la cooperazione e il coordinamento operativo tra i governi federali e statali sulle valutazioni di carattere ambientale; 3) promuovere la comunicazione e la concertazione tra le autorità federali e le popolazioni autoctone, garantendo che lo sviluppo in Canada, o nei territori federali, non causi conseguenze nocive significative sull’ambiente; 4) garantire che vengano assicurate concrete possibilità di partecipazione pubblica al processo di valutazione dell’impatto ambientale.
Quest’ultimo aspetto è di grande rilievo al punto da caratterizzare la legislazione ambientale canadese che può, quindi, definirsi una legislazione a partecipazione popolare necessitata. Il destinatario della norma ambientale, infatti, al pari del singolo cittadino (ancorché privo di un interesse specifico) ovvero delle associazioni ambientaliste riconosciute a livello provinciale, possono interagire con il decisore pubblico sia nella fase di produzione normativa che in quella di esecuzione della stessa.
Come dispone l’art. 5 della legge in esame, infatti, tutti gli interventi (dalle proposte di legge agli schemi di regolamento o decisione) che il governo canadese intende realizzare in quanto responsabile della gestione del territorio, devono essere sottoposti ad una attenta valutazione circa l’impatto ambientale della normativa proposta o dell’intervento che si intende realizzare. Lo sviluppo sostenibile è posto come principio cardine del processo federale di valutazione d’impatto ambientale[27]. Nell’applicare tale legge, infatti, le autorità federali[28] sono obbligate ad esercitare i propri poteri in modo da salvaguardare l’ambiente e la salute umana, applicando il principio di precauzione.

Conseguentemente, come disposto dagli artt. 14 e ss., esistono quattro tipi di valutazione ambientale, classificabili in due categorie a seconda che si tratti di auto-valutazioni compiute da chi esegue l’intervento, ovvero di valutazioni indipendenti. Sotto il primo profilo rilevano le procedure di verifica (screening)eseguite anche per categoria (class screening) e gli studi qualificati (comprehensive study); sotto il secondo profilo i modelli di mediazione (mediation)[29] e le valutazioni effettuate attraverso una commissione di riesame formata da esperti (review panel)[30]. Gli interventi su larga scala, sensibili in termini di impatto ambientale, di solito sono sottoposti al comprehensive study, che, ex artt. 21 e ss., include consultazioni pubbliche obbligatorie[31].
Per garantire l’imparzialità nella valutazione, l’art. 12 della legge istituisce il Coordinatore Federale per la Valutazione d’Impatto Ambientale (Federal Environmental Assessment Coordinator) con il compito di individuare i valutatori sulla base di albi pubblici, vigilare sulle valutazioni, e definire i tempi e le modalità delle attività a partecipazione pubblica.
La legge istituisce, ex art. 55, inoltre, un Registro della valutazione d’impatto ambientale (Canadian Environmental Assessment Registry). Il Registro, attraverso un sito web dedicato, fornisce informazioni sull’intervento, incluso l’avviso dell’avvio di un processo di valutazione d’impatto ambientale, e permette un facile accesso alle informazioni acquisite dal governo federale da parte del pubblico. Quest’ultimo elemento mostra come il ruolo della partecipazione “popolare” al processo di valutazione d’impatto ambientale di un intervento sia centrale nella elaborazione di ogni provvedimento ambientale. Il cittadino, infatti, anche se privo di un diretto interesse, ha libero accesso al Registro canadese della valutazione d’impatto ambientale. Sempre tramite il sito web costituito ad hoc, il cittadino può partecipare alle fasi di screening, incluse quelle relative al riesame e ai pareri espressi in base ai rapporti derivanti dagli screening prima che venga assunta una decisione finale sull’intervento, esaminare ed offrire commenti sui rapporti derivanti dai class screening prima che l’Agenzia Canadese per la Valutazione d’impatto Ambientale (Canadian Environmental Assessment Agency) li dichiari strumenti idonei a valutare simili interventi, intervenire nelle fasi di comprehensive study, mediation e di review panel .
Il Ministro dell’Ambiente è tenuto a considerare le osservazioni dei cittadini prima di esprimere la valutazione circa l’impatto ambientale del progetto oggetto di analisi[32], ed è tenuto altresì a motivare il provvedimento anche in relazione alle osservazioni pervenute, spiegando perché non intende condividerle[33].
La stessa logica partecipativa si ritrova nella normativa in materia di protezione dell’ambiente contenuta nel Canadian Environment Protection Act (di seguito CEPA), entrato in vigore il 31 marzo del 2000, dopo un lungo confronto con i governi provinciali.
La legge del 1999 «is an important part of Canada’s federal environmental legislation aimed at preventing pollution and protecting the environment and human health»[34]: come si legge nel preambolo della legge, infatti, il governo canadese con il CEPA vuole garantire un effettivo sviluppo del paese nel rispetto dell’ambiente, riconoscendo la presenza del “national concern”, dell’interesse nazionale, nella protezione ambientale.
La prima novità della legge è l’istituzione del National Advisory Committee (di seguito NAC) composto dal Ministro dell’Ambiente, dal Ministro della Salute, da altri Ministri federali competenti individuati sulla base del tema da trattare, da un rappresentante per ogni governo provinciale, e da sei rappresentanti dei governi aborigeni[35]. Il Comitato svolge un ruolo chiave nell’attuazione della norma. Si prevede, infatti, che il Ministro dell’Ambiente ogni qual volta ritenga necessario intervenire per prevenire un rischio ambientale ovvero per mitigarne il danno già realizzato, debba preventivamente consultare il Comitato e, specialmente, il rappresentante della Provincia in cui insiste il rischio o il danno[36]. Il Comitato deve, inoltre, essere coinvolto dal Ministro dell’Ambiente nella fase di elaborazione delle “liste” contenenti le sostanze tossiche vietate e le percentuali di sostanze inquinanti che possono comunque essere immesse nell’aria o nell’acqua. Sul punto la norma è estremamente chiara e stringente definendo come “tossiche” ed “inquinanti” quelle sostanze, frutto dell’attività umana[37], “persistenti” (ovvero che sono difficilmente degradabili) e “bioaccumulabili” (ovvero entrano nella catena alimentare e, di conseguenza, nei cibi ingeriti dagli uomini).

Gli artt. 17 e ss. della legge assegnano al Ministro il ruolo di autorità federale responsabile, in via esclusiva, della salvaguardia ambientale. Il CEPA, tuttavia, definisce un processo di valutazione del rischio o del danno ambientale basato anche sulle “environment protection actions”, ovvero azioni di protezione ambientale avviate da “semplici” cittadini canadesi. L’art. 22, infatti, assegna al singolo cittadino il diritto a rivolgere al Ministro petizioni e segnalazioni in caso di rischi o danni ambientali: in questo modo la legge riconosce l’ambiente come diritto individuale, tant’è che un qualsiasi cittadino canadese può agire anche se non risiede nella Provincia o nel Territorio in cui si è verificato il rischio/danno. Qualora il Ministro non risponda adeguatamente alla segnalazione del cittadino ovvero non risponda entro 60 giorni, l’autore della segnalazione, ex art. 22.2 CEPA, può rivolgersi al Tribunale competente per giurisdizione, chiedendo l’emanazione di un ordine di sospensione immediata del rischio o della causa del danno.
Le segnalazioni dei cittadini, al pari delle indagini svolte dal Ministro, comunque concluse, sono inserite in una banca dati on-line che funge anche da registro pubblico per il monitoraggio della qualità dell’ambiente (art. 44). Questi dati servono anche da base per l’approvazione di specifici accordi tra il governo federale e i singoli governi provinciali per la gestione della protezione ambientale.

4. Conclusioni con proposta (guardando all’Italia): premiare e partecipare (con un “bollino verde” per le leggi) piuttosto che punire ed escludere.
Approccio incentivante e partecipazione popolare sembrano essere, dunque, i due elementi caratterizzanti la strategia canadese nel governo dei beni ambientali.
Il legislatore canadese, come si è sommariamente visto, ha introdotto norme che rendono il cittadino protagonista delle politiche ambientali, sia nella fase “ascendente” di produzione del diritto che in quella “discendente” di attuazione e controllo. In tal modo il legislatore non è venuto meno alla volontà, più o meno esplicita, dei padri costituenti canadesi che ritenevano, come si è osservato in premessa, la tutela dell’ambiente obbligo comune e, quindi, competenza ramificata, diffusa, policentrica.
Tale approccio è perfettamente coerente con la logica partecipativa che caratterizza, peraltro, anche la normativa in materia di rapporti tra decisori pubblici e portatori di interessi privati. Ci si riferisce, limitandoci a qualche cenno, al Lobbying Disclosure Act 1995 (ora riformato con il Lobbying Act 2008) che rappresenta un modello di regolamentazione-partecipazione dei gruppi di pressione nei processi decisionali pubblici, considerando le lobbies e, più in generale, i portatori di interessi particolari, vere e proprie “infrastrutture” tra l’istituzione e la società civile, e, dunque, essenziali nel procedimento[38].
In un contesto così definito, il legislatore deve certificare l’impatto ambientale di ogni regolamentazione introdotta, motivando, nella relazione che accompagna il provvedimento, la scelta di introdurre una determinata norma e illustrando quale impatto essa potrà avere sia sui destinatari della stessa sia sull’ambiente circostante e sull’ecosistema.
L’analisi dell’impatto sulla regolazione, chiamata a corredare ogni proposta legislativa del governo, è nota anche nell’ordinamento italiano con l’acronimo, appunto, di A.I.R. ed è derivata dall’esperienza comunitaria e, prima ancora, da quella britannica e statunitense.
Come noto, infatti, l’articolo 5 della legge 8 marzo 1999 n. 50 (la c.d. Legge di semplificazione per il 1998) prevedeva l’obbligo per il Governo, in forma sperimentale, di presentare al Parlamento gli schemi di atti normativi di cui ai commi 1, 2 e 4 bis dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, e gli schemi di regolamenti ministeriali e interministeriali di cui all’art. 17, comma 3 della legge n. 400 del 1988, corredati di una relazione volta ad illustrare l’impatto della normativa proposta «sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese»[39]. L’esito di tale sperimentazione è stato decisamente fallimentare[40], forse anche a causa delle numerose norme applicative successive ed a volte in contraddizione tra loro[41].

Nonostante ciò, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 settembre 2008 n. 170, ha dettato una nuova disciplina attuativa dell’analisi di impatto della regolazione ai sensi dell’articolo 14, comma 5, della legge 28 novembre 2005 n. 246, in qualche modo “rilanciandola” (quanto meno nel dibattito della dottrina). Secondo tale regolamento, ogni atto normativo del governo (compresi gli atti dei singoli Ministri nonché quelli interministeriali) e ogni disegno di legge di iniziativa governativa, deve essere corredato da una analisi che, redatta dall’amministrazione proponente, verifichi, tra l’altro, le conseguenze della normativa proposta sulle imprese, sulla pubblica amministrazione, sui diritti soggettivi, sulla concorrenza e la libertà di mercato, sui singoli cittadini, indicando la sequenza logica delle informazioni raccolte e organizzate dall’amministrazione, i risultati dell’analisi, e la giustificazione della scelta compiuta (art. 6). Non sono, ex lege, sottoposti ad AIR i disegni di legge costituzionale, gli atti in materia di sicurezza interna ed esterna dello Stato, i disegni di legge di ratifica di trattati internazionali che non comportino nuove spese, mentre possono essere esclusi dall’AIR, su richiesta dell’amministrazione motiva e per decisione del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio, gli atti motivati da necessità e urgenza ovvero «nelle ipotesi di peculiare complessità e ampiezza dell’intervento normativo e dei suoi possibili effetti» (art. 9, c.1).
Due le osservazioni per quanto attiene al nostro tema: in primo luogo stupisce che non si sia previsto, tra le verifiche che il legislatore è chiamato a compiere, anche l’impatto sull’ambiente delle norme proposte; in secondo luogo sconforta osservare che proprio per le normative più complesse (e tra queste certamente quelle in materia ambientale, che, come si è detto, hanno natura tecnica) può essere esclusa l’analisi dell’impatto normativo.
La (minima) proposta avanzata in questo lavoro va nella direzione opposta: ogni disegno di legge, anche alla luce dell’esperienza comparata, dovrebbe essere accompagnato da una sorta di “bollino verde” che evidenzi (meglio se con apposita relazione ovvero all’interno della più ampia Analisi di impatto della regolazione) quanto incidono le norme proposte sull’ecosistema in termini, ad esempio, di inquinamento atmosferico o di perdita di biodiversità[42].
Come da tempo ha evidenziato la Corte costituzionale italiana, e come si è ricordato brevemente in precedenza, la tutela dell’ambiente è un valore costituzionale “primario” ovvero “non suscettibile di essere subordinato ad altri valori”[43]. Tale impostazione logica implica che gli interessi ambientali “debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni” in quanto “la primarietà degli interessi che assurgono alla qualifica di valori costituzionali non può che implicare l’esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche”[44].
Per questi motivi la tutela dell’ambiente non può essere frazionata a priori tra Stato e Regioni[45], e nemmeno tra diverse amministrazioni statali: essa è competenza trasversale, e va integrata in tutte le politiche nazionali e regionali. Così dispone, tra l’altro, con riferimento alle politiche comunitarie, l’art. 6 del Trattato della Comunità Europea (TCE) secondo cui “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’art. 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”[46]. Per integrare la tutela dell’ambiente nelle politiche nazionali e regionali parrebbe, dunque, necessario prevedere una valutazione della regolazione, anche in termini di ricadute sull’ecosistema, una sorta di “bollino verde” per le leggi.
Ciò dovrebbe essere reso obbligatorio anche dalla natura “tecnica” della normativa ambientale in quanto trattasi di norme che impongono il riferimento a criteri tecnici e all’utilizzazione dei risultati di scienze ed arti diverse dal diritto[47], tali da richiedere una rigorosa formulazione affidata ad organi di comprovata competenza che sappiano elaborare i risultati scientifici in materia e fornire all’organo politico quelle conoscenze essenziali per l’assunzione di determinate decisioni[48].
Da questo punto di vista il nostro ordinamento è estremamente carente, se si pensa, tra l’altro, che scarse e non aggiornate sono le informazioni in materia ambientale fornite dallo stesso sito web del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare[49], con la felice eccezione, tuttavia, delle informazioni relative ai progetti sottoposti, ex lege, alla preventiva valutazione d’impatto ambientale[50].
L’esperienza canadese, da questo punto di vista, offre un felice modello: attraverso una legislazione partecipata ed una logica incentivante e premiante[51], il legislatore canadese, seppur con risultati concreti alterni, ha definito una via originale nel governo dell’ambiente, confermando, in tal modo, la natura stessa dello Stato canadese, da sempre aperto alle istanze della (multiculturale) cittadinanza.

Note

1.  Voce “Ambiente”, in Il Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti 1993. Come osservato da S. Grassi (Ambiente e diritti del cittadino, in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe Guarino, vol. II, Padova, Cedam 1998) “ambiente” è il participio presente del verbo “ambire” che a sua volta significa “andare attorno”.

2.  A lungo, infatti, si è sostenuta l’impossibilità di dare alla tutela dell’ambiente e al governo dell’ambiente un’autonomia concettuale rispetto all’urbanistica, al paesaggio, alla salute: sul punto, riformulando le teorie fino a quel momento maggioritarie, G. Morbidelli, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in AA. VV., Studi in onore di Alberto Predieri, vol. II, Milano, Giuffrè, 1996, 1122 ss. Già la Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 210 del 1987, aveva evidenziato la necessità di definire in termini unitari l’ambiente, comprendendo tra l’altro «la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acqua, suolo e territorio in tutte le sue componenti)».

3.  Le categorie giuridiche tradizionali, infatti, «si rivelano spesso inadeguate a contenere un bene giuridico così mutevole e complesso, insuscettibile di una definizione aprioristica, la cui intrinseca flessibilità richiede, come già notato in precedenza, strumenti peculiari» (A. Andronio, Le regole tecniche a tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano tra sistema delle fonti e giurisdizione civile, in Diritto e gestione dell’ambiente, 2, 2002, 559 ss.).

4.  Come autorevolmente indicato da B. Caravita, La tutela dell’ambiente nel diritto costituzionale, in V. Domenichelli, N. Olivetti Rason, C. Poli (a cura di), Diritto pubblico dell’ambiente, Padova, Cedam, 2996, 49 ss., e Id., Diritto dell’Ambiente, Bologna, Il Mulino 2005, spec. 22 ss. In senso adesivo P. Lombardi, I profili giuridici della nozione di ambiente: aspetti problematici, in Il Foro Amministrativo, 3, 2002, 764 ss. e F. De Leonardis, L’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione, in www.federalismi.it, n. 3, 2004.

5.  In questi termini, evidenziando l’impossibilità di identificare «un concetto tendenzialmente macroscopico e di difficile predeterminazione, connotato da una intrinseca complessità strutturale dovuta soprattutto al suo carattere poliedrico e multidimensionale» M. Cecchetti, Ambiente, paesaggio e beni culturali, in G. Corso, V. Lopilato (a cura di), Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Parte speciale, Volume I, Milano, Giuffrè 2006, 315. Già Massimo Severo Giannini evidenziava la necessità di integrare la terminologia giuridica classica con i risultati delle scienze biologiche, distinguendo tre gruppi di istituti giuridici (ambiente e paesaggio, ambiente e suolo, aria e acqua, ambiente e urbanistica): M. S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi aspetti giuridici, in Rivista trimestrale di Diritto pubblico, 1, 1973, 15 ss. (classificazione poi ripresa e ampliata dalla Corte di Cassazione nella famosa sentenza a sezioni unite n. 440 del 25 gennaio 1989, pubblicata in Foro Italiano, 1, 1990, pp. 232 ss.). Ugualmente A. Gustapane, Tutela dell’ambiente (diritto interno), in Enciclopedia del diritto, vol. XLV, Milano, Giuffrè, 1992, il quale individua le categorie di ambiente estetico-culturale, ambiente igienico-sanitario, ambiente ecologico.

6.  Così M. Cecchetti, cit., 317. Per questo si evidenzia la natura tecnica delle norme in materia ambientale in quanto norme caratterizzate «da cognizioni e giudizi emessi sulla base di una scienza specialistica, cioè di tutte le scienze ad eccezione di quelle giuridiche» (A. Predieri, Le norme tecniche nello Stato pluralista e prefederativo, in Il Diritto dell’economia, 1, 1996, 250 ss. e spec. 253).

7.  Sul punto, in particolare, evidenziando la necessità di individuare, ex lege, un soggetto organizzativo operante quale punto di mediazione tra il singolo e lo Stato per la tutela ambientale, S. Grassi, Costituzione e tutela dell’ambiente, in S. Scamuzzi (a cura di), Costituzioni, razionalità e ambiente, Torino, Giappichelli 1994, A. Simoncini, Ambiente e protezione della natura, Padova, Cedam 1996, M. Cecchetti, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè 2000. Ugualmente M. Ainis, Questioni di “democrazia ambientale”: il ruolo delle associazioni ambientaliste, in AA. VV., Scritti in onore di Serio Galeotti, vol. I, Milano, Giuffrè 1998, 1 ss., e spec. 6.

8.  Come osserva chiaramente S. Grassi (Introduzione, in S. Grassi, M. Cecchetti, Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Giuffrè, Milano, 2006) «nella tutela dell’ambiente le regole tecniche sono presenti sia in grande quantità sia con notevole intensità di contenuti scientifici e pratici. Lo stesso trattato CE, all’articolo 174, par. 3, pone, come un presupposto della normazione in materia di ambiente, l’acquisizione e la conoscenza dei dati scientifici e tecnici disponibili» (p. VII). In generale F. Salmoni, Le norme tecniche, Milano, Giuffrè 2001, spec. 26 ss, 86 ss, 351 ss. e C. De Fiores, Trasformazione della delega legislativa e crisi delle categorie normative, Padova, Cedam, spec 129 ss e 207 ss.

9.  Sia consentito il rinvio a P.L. Petrillo, Le suggestioni canadesi sulla governance ambientale italiana: dalla legislazione partecipata al “bollino verde” per le leggi, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 1, 2009, pp. 388 s.

10.  Si fa riferimento al Constitution Act 1982: la tematica è oggetto di numerosi studi e riflessioni. Non essendo questa la sede per un’ attenta disamina dell’ordinamento costituzionale canadese, si rinvia a T. Groppi, Canada, Bologna, Il Mulino, 2006, passim e all’ampia bibliografia ivi richiamata. Sull’evoluzione della forma di governo canadese si veda, da ultimo, N. Olivetti Rason, P.L. Petrillo, La presidenzializzazione dei governi nelle democrazie contemporanee: tendenze e contro tendenze nell’esperienza del Canada, in A. Di Giovine, A. Mastromarino, La presidenzializzazione degli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Torino, Giappichelli 2007, 265 ss.

11.  Colonia britannica a tutti gli effetti, il Canada divenne una Confederazione con il British North-America Act (BNA) del1867, approvato dal Parlamento britannico da cui, fino al 1982, dipendeva. Sul punto, quanto meno, G. D’Ignazio, L’influenza del modello statunitense, in Amministrare, 1-2, 2002, 9 ss. e Id., Federalismi a confronto: alcune considerazioni su Canada e Stati Uniti d’America, in C. Amirante, S. Gambino, Il Canada un laboratorio costituzionale. Federalismo, diritti, corti, Cedam 2000, 207 ss.

12.  Il Canada, dunque, rientra, secondo la classificazione elaborata, con riferimento agli ordinamenti europei, da D. Amirante (Diritto ambientale e Costituzione. Esperienze europee, Milano, Franco Angeli 2000) tra quegli ordinamenti «nei quali lo status costituzionale dell’ambiente […] può essere ricostruito soltanto attraverso la giurisprudenza, prevalentemente delle Corti costituzionali» (25.)

13.  Come, peraltro, si legge in tutte le premesse alle leggi canadesi in materia ambientale: si pensi, da ultimo, al molto discusso Kyoto Protocol Implementation Act 2007 dove, nel preambolo, si legge «recognizing that Canadians have a deep pride in their natural environment and in being responsible stewards of their land».

14.  Sulla base di tali disposizioni costituzionali il Parlamento federale ha rivendicato competenze esclusive in materia di salvaguardia della fauna ittica nonché di inquinamento marittimo.

15.  … attraverso gli artt. 91.1a e 91.24 Cost. il governo federale ha rivendicato la titolarità a valutare l’impatto ambientale di ogni intervento provinciale con potenziali ricadute su zone di demanio federale o terre riservate agli indiani.

16.  Su queste due disposizioni costituzionali il governo federale ha fatto leva per rivendicare competenza nella fissazione di standard comuni sulle componenti chimiche di prodotti commerciali (es. detersivi) ovvero per intervenire su progetti di dighe, ponti e quanto altro potenzialmente interferisca con la navigazione nei fiumi. Cfr. D.E. Tosi, La distribuzione delle competenze in materia di ambiente, in Amministrare, numero monografico sul federalismo canadese a cura di T. Groppi, 1-2, 2002, 103 ss.

17.  Per comprendere come tale clausola abbia inciso sullo sviluppo della forma di Stato canadese si vedano G. Rolla, La giustizia costituzionale in Canada e la sua influenza sul federalismo canadese, in Quaderni costituzionali, 2, 1996, 197 ss., N. Olivetti Rason, Un federalismo asimmetrico: il Canada, in N. Olivetti Rason, L. Pegoraro (a cura di), Esperienze federali contemporanee, Padova, Cedam 1996, 377 ss., G. Campanelli, La giustizia costituzionale e i suoi rapporti con il federalismo, in Amministrare, 1-2, 2002, 143 ss.. In generale, fondamentale per chiunque voglia meglio comprendere questo ordinamento, il volume a cura di C. Amirante, S. Gambino, Il Canada un laboratorio costituzionale. Federalismo, diritti, corti, Padova, Cedam, 2000, passim. Da ultimo, se si vuole, si veda anche P.L. Petrillo, Forma di governo e legislazione antiterrorismo in Canada. Spunti di riflessione comparata sul ruolo dei Parlamenti al tempo dell’emergenza permanente, in T. Groppi (a cura di), Democrazia e terrorismo, Napoli, Es, 2006, 381 ss .

18.  Sul punto G. La Forest, Natural Resources and Public Property, Toronto, Ubs press, 1969, 30. Le Province hanno, inoltre, fatto leva sugli art. 92.10 e 92.16 della Costituzione: in particolare quest’ultimo articolo riconosce potestà legislativa esclusiva alle Province nelle materie «di natura strettamente locale o privata in ambito provinciale».

19.  Per la dottrina la giurisprudenza della Corte ha definito un «equilibrio precario» e «non sempre idoneo a garantire una effettiva tutela dell’ambiente» (così D. E. Tosi, cit., 120).

20.  Nel caso di specie la Corte osservò che l’immissione nelle acque di una Provincia di sostanze inquinanti certamente si sarebbe trasformato in un grave danno anche per altre Province, non potendo limitare geograficamente il fattore universale: da qui la necessità di un intervento uniforme a livello centrale.

21.  A partire dalla sentenza n. 151 del 1986 la Corte costituzionale italiana ha evidenziato la natura di “valore primario” della tutela dell’ambiente, stabilendo che, in quanto tale, esso non è suscettibile di essere subordinato ad altri valori nel senso che esso debba essere preso in considerazione in tutti i processi decisionali e «nei concreti bilanciamenti operanti dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni». Tale giurisprudenza, estremamente consolidata (cfr. sentenze nn. 167, 210 e 641 del 1987, n. 1031 del 1988, n. 324 del 1989 e successive), non è mutata col mutare del Titolo V della Costituzione: la Corte, come meglio si dirà in conclusione, con la sentenza n. 407 del 2002 ha, infatti, ribadito che, trattandosi di un valore costituzionale primario e, dunque, trasversale, la tutela dell’ambiente non può essere considerata come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e limitata in quanto “investe e si intreccia intrinsecamente con altri interessi e competenze”. Sul punto si veda, quanto meno, G. De Vergottini, La ripartizione dei poteri in materia ambientale, tra comunità, Stato e regioni, in C. Murgia (a cura di), L’Ambiente e la sua protezione, Milano 1991, 39 ss., L. Mezzetti, La Costituzione dell’ambiente, in Id. (a cura di), Manuale di diritto ambientale, Padova, Cedam, 2001, spec. 103 ss., S. Grassi, Prospettive costituzionali della tutela dell’ambiente, in Rassegna parlamentare, 3, 2003, 979 ss., M. Cecchetti, Legislazione statale e legislazione regionale per la tutela dell’ambiente: niente di nuovo dopo la riforma costituzionale del Titolo V, in Le Regioni, 1, 2003, 318 ss., e Id., Art. 9, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario della Costituzione, Torino, Cedam, 2006, 216 ss. e spec. 235-236, G. D’Alfonso, La tutela dell’ambiente quale “valore costituzionale primario” prima e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in F. Lucarelli (a cura di), Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, Esi, Napoli 2006, 3 ss. Di recente G. Vesperini, Il riparto delle funzioni in materia ambientale: un’introduzione, in Giornale di diritto amministrativo, 3, 2007, 551 ss. Più recentemente, tuttavia, la Corte costituzionale italiana è parsa contraddire la consolidata giurisprudenza affermando l’illegittimità costituzionale di una norma della regione Emilia Romagna in materia di bonifiche (potenzialmente in conflitto con il c.d. Codice dell’Ambiente approvato con il d.lgs. n. 152 del 2006) in quanto «il perseguimento di finalità di tutela ambientale da parte del legislatore regionale può ammettersi solo ove esso sia un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell’esercizio di una propria legittima competenza e comunque non si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che proteggono l’ambiente»: sul punto N. Olivetti Rason, La disciplina dell’ambiente nella pluralità degli ordinamenti giuridici, in A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Diritto dell’ambiente, Bari, Laterza 2008, 91. Per una attenta disamina della giurisprudenza costituzionale in materia si veda ora D. Porena, L’ambiente come “materia” nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Federalismi.it, 2, 2009 per la quale «la materia ambiente ha vissuto il travaglio di una turbolente ed incessante contesa tra Stato e Regioni circa i presupposti delle rispettive prerogative» (3).

22.  Cfr. M. Montini, La necessità ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Padova, Cedam, 2001, 43 ss.

23.  Così dispone l’art. 4, c. 1, del Department of the Environment Act (DEA) approvato dal Parlamento canadese nel 1985 al fine di precisare le competenze del Ministero dell’Ambiente e definire una funzionale organizzazione interna. Secondo questo schema, le direttive operative vengono fornite dal Deputy Minister tramite l’Executive Management Council. Da esso dipendono gli ADMs (Assistant Deputy Ministers) che dirigono i dipartimenti su temi specifici (Meteorologia, Scienza e Tecnologia, Affari Internazionali, Amministrazione). Dal Ministero dell’Ambiente dipende anche la Canadian Environmental Assessment Agency, l’Agenzia che, ai sensi dell’art. 61 del Canadian Environmental Assessment Act del 1992, fornisce le linee guida sull’impatto ambientale di tutte le “opere di rilevante effetto” intraprese sia ad opera di privati che di istituzioni federali e provinciali.

24.  Fin dalla sua costituzione nel 2000, sono stati approvati 342 studi, prove sul campo e per un finanziamento di 219,6 milioni di dollari, attivando oltre 1.3 miliardi di dollari di attività economica nelle Comunità in tutto il Canada. Di questi, 69,8 milioni di dollari sono stati spesi alla fine di marzo del 2005. Le attività di capacity buiding del GMF includono il programma Partners for Climate Protection (PCP), la Community Energy Mission, la Sustainable Communities Conference, il programma Availability and Choice Today(ACT) ed il riconoscimento come comunità sostenibile leader attraverso i FCM-CH2M HILL Sustainable Community Awards. La Knowledge Management Unit (KMU), infine, assicura che i risultati raggiunti e le lezioni apprese siano analizzati e condivisi con i governi comunali.

25.  Per una analisi di più ampio respiro sia consentito il rinvio a P. L. Petrillo, La governance ambientale in Canada, in G. Carpani, M. Carli, M. Cecchetti, T. Groppi, A. Siniscalchi, Governance ambientale e politiche normative, Bologna, Il Mulino 2008, 543 ss.

26.  Anche per questo vi è stato in Canada chi ha parlato di “new deal in sciroppo d’acero”: cfr. F. L. Morton, The Constituional Division of Powers with respect to the Environment in Canada, in B. Galligan (ed), Federalism and the Environmental Policy-making in Australia, Canada and United States, London, Greenwood 1996, 37 ss. . Ugualmente K. Harrison, Passing the buck: Federalism and Canadian Environmental policy, Vancouver, Ubc Press 1996, spec. 67 ss. E R. Kennedy, Who Speaks for Environment?, in Canadian Parliamentary Review, 3, 2000, 6 ss. . Tali politiche, del resto, caratterizzano gli stati federali (come evidenziato magistralmente da G. Lombardi, Lo Stato federale. Profili di diritto comparato, Giappichelli, Torino 1987, G. De Vergottini, Stato federale, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, Giuffrè, Milano 1990, 831 ss., G. Bognetti, Federalismo, Torino, Utet, 2001, A. Reposo, Stato federale, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XXX, Roma, 1993), ed evidenziano quella cultura della negoziazione tra centro e periferie propria dell’ordinamento canadese: sul punto E. Ceccherini, La negoziazione interistituzionale, in Amministrare, 1-2, 2002, 59 ss.

27.  L’art. 2 della legge definisce lo “sviluppo sostenibile” come quello sviluppo «that meets the needs of the present, without compromising the ability of future generations to meet their own needs».

28.  intese come i ministeri, i Dipartimenti, le Agenzie federali e gli enti federali istituiti con legge del Parlamento di Ottawa.

29.  La mediation, ex artt. 28 ss., rappresenta un processo in cui il Ministro dell’Ambiente nomina un mediatore imparziale che ha il compito di valutare il progetto e di aiutare le parti interessate a dirimere eventuali controversie. Questo metodo può essere usato se le parti interessate convengono e funziona laddove le parti in questioni siano numericamente esigue ed appaia dunque possibile raggiungere l’accordo.

30.  Le valutazioni dei review panel nominati, ai sensi degli artt. 33-36 della legge in esame, dal Ministro dell’Ambiente possono essere richieste quando le conseguenze ambientali di un intervento proposto appaiano incerte o con tutta probabilità significative, oppure quando espressamente richiesto da preoccupazioni di carattere pubblico. I review panel offrono ai singoli e ai gruppi, con differenti punti di vista, una possibilità concreta per presentare le proprie informazioni e per esprimere le rispettive preoccupazioni.

31.  Gli interventi che vengono sottoposti ad un comprehensive study, ad un mediation o ad un review panel devono prevedere modalità alternative di avanzamento dell’intervento e gli effetti sulla sostenibilità delle risorse rinnovabili, oltre a dover chiarire gli scopi dello stesso. Per gli interventi che sono stati sottoposti ad un comprehensive study, ad un mediation o ad un review panel si rendono obbligatori programmi di aggiornamento; per gli screening, l’autorità responsabile deve determinare se un programma di aggiornamento risulti adatto in base alle circostanze (art. 38).

32.  Come dispone l’art. 10, c.2, la valutazione deve essere condotta «as early as is practicable in the planning stages of the project and before irrevocable decisions are made».

33.  Il Ministro dell’Ambiente, pertanto, gioca un ruolo centrale nell’attuazione del processo federale di valutazione d’impatto ambientale, essendo numerose le sue responsabilità; egli, ex artt. 25 e 58, infatti, può richiedere, durante tutto il processo di screening, in determinate circostanze e previa consultazione dell’autorità federale, un riesame curato da un mediatore o da un review panel; decidere nella fase iniziale di un comprehensive study se il progetto debba essere affidato a un mediatore o ad un review panel; in seguito ad un comprehensive study, richiedere ulteriori informazioni o ulteriori azioni finalizzate ad interessi pubblici; rendere pubbliche le proprie decisioni in materia di valutazione d’impatto ambientale in seguito ad un comprehensive study, decisioni che possono includere richieste di misure volte a mitigare gli effetti sull’ambiente o di programmi di aggiornamento; nominare il mediatore o i componenti del review panel e, consultandosi con l’autorità federale responsabile del progetto, stabilirne il mandato; nominare un mediatore o una review panel nel caso in cui un intervento possa causare significative conseguenze nocive di carattere ambientale sui territori federali o sui confini provinciali ed internazionali, e ciò anche se per quell’intervento è formalmente esclusa l’applicazione della procedura prevista dalla legge. L’Agenzia canadese di valutazione d’impatto ambientale, per la quale il Ministro dell’Ambiente è responsabile innanzi al Parlamento, amministra il processo federale di valutazione d’impatto ambientale. Tra le sue responsabilità chiave, l’Agenzia, ex artt. 61 ss., è il coordinatore federale di valutazione d’impatto ambientale per gli screening soggetti anche al processo di valutazione di un’altra giurisdizione, e di tutti i comprehensive study,ed ha il dovere di promuovere, controllare e facilitare la conformità alla legge e ai suoi relativi regolamenti. L’Agenzia, inoltre, è responsabile del programma di garanzia qualitativo (Quality Assurance Program) per le valutazioni condotte in base alla legge e ai relativi regolamenti, e, oltre a fornire pareri al Ministro dell’Ambiente, può intervenire in aiuto delle parti coinvolte per costruire il consenso necessario e per dirimere le controversie. I regolamenti contribuiscono a render effettive le procedure previste dalla legge e a chiarire in quali circostanze sia richiesta una valutazione d’impatto ambientale. La legge del 1992 ne definisce di 4 tipi: Inclusive List Regulations, Law List Regulations, Exlusion List Regulations, Comprensive Study List Regulations. Ex artt. 14, lett. a), e 18-20, l’autorità responsabile documenta, attraverso uno screening, le conseguenze sull’ambiente di un intervento proposto e determina le modalità con cui eliminare o ridurre gli effetti nocivi con modifiche al programma progettuale. Esistono due tipi di class screening: modelli usati per migliorare una procedura di verifica; procedure di verifica di riposizionamento (replacement class screenings), utilizzate al posto di valutazioni più specifiche sugli interventi.

34.  Cfr: A Guide to Understanding the CEPA 1999, Government of Canada, December 2004, p. 1.

35.  Art. 6.1 e 6.2 CEPA 1999.

36.  Tale obbligo di consultazione è richiamato in numerosi articoli: si veda, per tutti, il riferimento agli artt. 208 e 209 CEPA.

37.  Tale precisazione non è irrilevante se si pensa che una delle principali fonti di inquinamento atmosferico sono i c.d. “rifiuti naturali” ovvero gli escrementi prodotti da animali al pascolo.

38.  Sul punto (e per una prima “classificazione” dei diversi modelli di regolamentazione dei rapporti tra decisore pubblico e lobbies) sia consentito il riferimento a P.L. Petrillo, Gruppi di pressione e Parlamenti in Gran Bretagna tra Westminster e Holyrood, in A. Torre (a cura di), Processi di devolution e transizioni costituzionali negli Stati unitari (dal Regno Unito all’Europa), Torino, Giappichelli, 2007, pp. 893 ss. e spec. pp. 911.912. Cfr. A. P. Pross, Canadian Pressure Groups, in J.J. Richardson (a cura di), Pressure Groups, Oxford, Oxford University Press, 1993, pp. 145 ss. . Sul ruolo dei gruppi di pressione nella definizione delle politiche ambientali si veda P. L. Petrillo, N. Di Palo, Gruppi di pressione e ambiente, in M. Carli, G. Carpani, M. Cecchetti, T. Groppi, A. Siniscalchi, Governance ambientale e politiche normative. L’attuazione del Protocollo di Kyoto, Bologna, Il Mulino 2008, pp. 651 ss.

39.  In generale vedi R. Pagano, Introduzione alla legistica. L’arte di preparare le leggi, III ed., Mulano, Giuffrè 2004; E. Catelani, E. Rossi (a cura di), L’analisi di impatto della regolamentazione e l’analisi tecnico normativa del governo, Milano, Giuffrè 2003 e N. Lupo, La prima legge annuale di semplificazione. Commento alla legge n. 50 del 1999, Milano, Giuffrè 2000, spec. pp. 197-200. Che tale analisi, contemporanea all’istruttoria, incida sulla scrittura delle leggi e sulla loro chiarezza, lo evidenziano, tra gli altri, G. U. Rescigno, Tecnica legislativa, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXX, Roma 1993, M. Ainis, La chiarezza delle leggi, in L. Violante (a cura di), Storia d’Italia. Legge, Diritto, Giustizia, Annali 14, Torino, Einaudi 1998, 911 ss. e spec. 927 ss., G. Recchia, La qualità delle leggi, in E. Pataro, F. Zannotti (a cura di), Applicazione e tecnica legislativa, Milano, Giuffrè 1998, T. E. Frosini, Il drafting legislativo in Italia e altrove, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 127, 2000, e R, Perna, L’AIR come strumento delle politiche di semplificazione, in M. A. Sandulli, (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, Giuffrè 2005.

40.  Cfr. A. Celotto, La consultazione dei destinatari, in M. A. Sandulli (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, cit. Tale fallimento ha impedito alle Camere, secondo una logica a specchio, di effettuare una effettiva verifica sull’impatto della normativa proposta dal Governo: «poiché il Governo non ha ancora adempiuto agli obblighi di legge sulla presentazione di valutazioni di impatto a sostegno di ogni disegno di legge, la generalizzazione delle procedure di istruttoria tecnica previste dal regolamento della Camera ancora non funziona» (A. Palanza, Norme tecniche e procedimenti parlamentari, in S. Grassi, M. Cecchetti, Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, cit., p. 39). Ugualmente P. Torretta, Qualità della legge e informazione parlamentare, Napoli, Esi, 2007, per la quale «non mancano, anche sul fronte parlamentare, ostacoli di natura organizzativa legati all’aggiornamento delle competenze degli uffici delle Camere, al fine di permettere il passaggio da una fase di sperimentazione ad una pratica sistematica dell’AIR» (93-94).

41.  Ci si riferisce alla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2000 che dettava una Guida alla sperimentazione dell’AIR; alla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 settembre 2001 con una nuova Guida; all’art. 11 delle legge 6 luglio 2002 n. 137 e al decreto del Presidente del Consiglio ad essa collegato del 23 luglio 2002, volto a definire funzioni specifiche per il Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi (DAGL) della Presidenza del Consiglio; all’art. 12 della legge 29 luglio 2003 n. 229 che preveda l’AIR anche per le Autorities (nel tentativo di trasmettere all’estero worst practices interne); ai primi undici commi dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005 n. 246; all’articolo 1 della legge 9 marzo 2006 n. 80 che converte in legge il decreto legge 10 gennaio 2006 n. 4; al decreto del Presidente del Consiglio del 12 settembre 2006; all’accordo tra Governo, Regioni e autonomie locali in materia di qualità della legislazione del 29 marzo 2007; alla circolare del Presidente del Consiglio dell’11 aprile 2007; al Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2007. Sul punto, con osservazioni molto nette, S. Sileoni, L’analisi di impatto della regolazione. Una complicata semplificazione, Paper dell’Istituto Bruno Leoni, n. 119, dicembre 2008, per la quale «in realtà l’AIR nella prassi si presenta come un meccanismo faticoso per rendere (apparentemente) obbligatorio quello che buon senso potrebbe dettare più semplicemente: ovvero ponderare prima di decidere, bilanciare gli effetti negativi e positivi di un atto o di un’attività prima della loro adozione. Insomma, l’AIR sembra pensato in funzione vicariale al buon senso comune» (p. 5).

42.  E ciò anche perché, come osserva S. Grassi (Introduzione, in S. Grassi, M. Cecchetti, Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, cit., «è necessario che la democraticità della norma tecnica, attenuata dall’ignoranza del produttore formale della norma, sia recuperata attraverso la trasparenza e la visibilità di ogni fase di produzione della normativa e mediante la più ampia partecipazione, al momento dell’istruttoria, di tutti i soggetti potenzialmente in grado di fornire dati tecnici e scientifici rilevanti» (p. IX).

43.  Cfr. la sentenza n. 151 del 1986, già richiamata nella nota 19. Osserva A. Andronio (Le regole tecniche a tutela dell’ambiente, cit.) che «è opportuno concepire la tutela ambientale in senso oggettivo e dinamico: per la sua inestricabile complessità, si tratta di un valore trasversale rispetto ai vari settori dell’ordinamento, che deve essere attuato anche attraverso un’azione amministrativa informativa ed efficace» (97). Sul punto si vedano anche i commenti di F. Rescigno, La “trasversalità” del “valore ambiente” tra potestà legislativa statale e regionale, in Giur. It., 2004, 466 ss. (la quale, mi pare, non condivide l’impostazione della Corte e la volontà di considerare l’ambiente valore trasversale), M. Betzu, L’ambiente nella sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2005: le pressioni del caso e le torsioni del diritto, in Le istituzioni del federalismo, 5, 2005, 885 ss., e i volumi a cura di B. Pozzo, M. Renna, L’ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, Milano, Giuffrè, 2004 (e, ivi, specialmente il saggio di G. Manfredi, 225 ss.), e di G. Di Plinio, P. Fimiani, Principi di diritto ambientale, Giuffrè, Milano 2008, spec. 44 ss.

44.  Ivi, punto 23 del Considerando in diritto. Ugualmente, e forse più chiaramente, la sentenza n. 53 del 1991 della Corte costituzionale in cui la Corte afferma la necessità di bilanciare il diritto di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. con il diritto all’ambiente e la tutela dell’ambiente. Sul tema N. Greco, La Costituzione dell’ambiente. Sistema e ordinamenti, vol. 1, Il Mulino 1996, spec. pp. 401 ss

45.  Ciò non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative in materia: cfr. le “storiche” sentenze della Corte Costituzionale nn. 407 e 536 del 2002 e le successive n. 96 e 222 e 226 del 2003. Sul punto, oltre agli autori già citati, M. Bellocci, P. Passaglia, Ambiente e dintorni nella giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, in Riv. Amm., 2-3, 2005, 143 ss., P. Passaglia, La materia “ambiente” dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in P. Passaglia, F. Raia, La protezione dell’ambiente nella disciplina delle aree protette, Torino, Giappichelli 2006, 13 ss. e spec. 17, A. Buratti, La tutela dell’ambiente come valore costituzionalmente protetto in due recenti sentenze della Corte costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 21 luglio 2003.

46.  Principio, peraltro, ribadito dall’art. 5 della Convenzione europea sul paesaggio del 2000, ratificata dall’Italia con la legge n. 14 del 2006.

47.  Il riferimento è alla nozione che di norma tecnica ha dato V. Bachelet, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1967, spec. pp. 35 ss. Sul punto si vedano L. Violini, Le questioni scientifiche controverse nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1986, spec. pp. 147 ss.; B. Caravita, Costituzione, principi costituzionali e tecniche di normazione per la tutela dell’ambiente, in S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio (a cura di), Ambiente e diritto, vol. I, Firenze, Olschki, 1999; P. Biondini, Approcci definitori alla “norma tecnica”, in N. Greco, Crisi del diritto, produzione normativa e democrazia degli interessi. Esemplarità della normazione tecnica ambientale, Roma, Edistudio 1999, e A. Borzì, Le norme tecniche per la tutela dell’ambiente: il caso del d.lgs. n. 152 del 1999, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2001, Torino, Giappichelli, 2002. Con riferimenti generali (e significativi spunti sull’argomento) G. F. Ferrari, Biotecnologie e diritto costituzionale, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 3, 2002, pp. 1563 ss., S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, Il Mulino 1995, e C. Casonato, Introduzione al biodiritto. La bioetica nel diritto costituzionale comparato, Quaderni del Dipartimento di Scienze giuridiche, Trento, 2006, spec. pp. 100 e ss. il quale evidenzia come «rispetto a tale situazione di incertezza e di forte dinamicità, il “diritto positivo” è rimasto, per così dire, “perplesso”, non del tutto in grado di catturare entro i propri schemi le novità che gli altri saperi presentavano né di pensarne di nuovi e più efficaci» (pp. 269-270). Evidenzia la necessità di integrare nella nozione di Stato di Diritto le nuove modalità di governo della scienza M. Tallacchini, The Epistemic State. The Legal Regulation of Science, in C. M. Mazzoni (a cura di), Ethics of Biological Research, Kluwer, Dordrecht 2002, spec. pp. 137 ss.

48.  In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale italiana con le sentenze n. 31 del 2001 e n. 282 del 2002. Marcello Cecchetti, nel suo saggio Prospettive per una razionalizzazione della “normazione tecnica” a tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano, in S. Grassi, M. Cecchetti, Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Giuffrè, Milano 2006, pp. 41 ss. immagina un (più che condivisibile) procedimento di formazione delle norme ambientali tali da coinvolgere, nella fase di elaborazione, gli organi tecnici del Ministero dell’Ambiente (l’ex Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici, l’APAT, ora trasformata in ISPRA, Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale), e nella fase di decisione la collettività, i soggetti portatori di interessi particolari, la comunità scientifica anche mediante la diffusione del progetto intermedio di normativa tecnica (p. 59). Il modello di riferimento sembra essere quello francese delle inchieste pubbliche e del debat public come descritto da D. Amirante, Codificazione e norme tecniche nel diritto ambientale. Riflessioni sull’esperienza francese, in S. Grassi, M. Ceccehtti, Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Giuffrè, Milano 2006, pp. 179 ss. e a Id., Diritto ambientale italiano e comparato. Principi, Jovene, Napoli, 2006, passim. Per alcuni spunti di riflessione si vedano anche F. De Leonardis, Beni ambientali e azione amministrativa, in AA.VV., Titolarità pubblica e regolazione dei beni. La dirigenza nel pubblico impiego, Giuffré 2003, pp. 105 ss. e M. Mancarella, Il diritto dell’umanità all’ambiente. Prospettive etiche, politiche e giuridiche, Milano, Giuffrè 2004, e spec. 261 ss.

49.  Emblematico, ad esempio, che la sezione del sito web (www.minambiente.it) dedicata all’ordinamento ambientale contenga, tra l’altro, una versione del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152) aggiornata al luglio 2006, ignorando che, dopo quella data, numerose sono state le modifiche intervenute. L’Italia, d’altronde, sconta un ritardo atavico nella cultura ambientale, come sottolineato da G. D’Ignazio, Il governo dell’ambiente fra Unione Europea, Stato, Regioni ed autonomie locali, Rimini, Maggioli Editore, 1996, spec. 49-50. Per certi versi contra B. Caravita, Costituzione, principi costituzionali e tecniche di normazione per la tutela dell’ambiente, in S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio (a cura di), Ambiente e diritto, cit., per il quale «si è parlato da parte di alcuni autori di miopia del legislatore costituente: ma non è questo il punto, chè anzi il costituente italiano, inserendo nella Carta del 1947 alcune clausole indeterminate di carattere generale, si è dimostrato previdente, permettendo che la Corte costituzionale svolgesse un’opera d’interpretazione evolutiva del testo» (198). Deve peraltro osservarsi che «il diritto ad ottenere informazioni sullo stato dell’ambiente, anche ad ammetterne la capacità di lettura per chi non sia dotato di cognizioni specialistiche, non rappresenta di per sé una garanzia definitiva, e semmai rimanda a un grumo di domande cui non è agevole fornire una risposta: come assicurare una qualche forma di partecipazione e di controllo collettivo nella raccolta dei dati? Come impedire che essi vengano distorti a beneficio dei grandi interessi organizzati? E in che modo la provenienza ufficiale del dato si concilia poi col necessario pluralismo dell’informazione? In conclusione e in sintesi, l’esigenza è allora quella di consentire che si sviluppi una rete di contropoteri, dentro un clima giuridico aperto e articolato» (M. Ainis, Questioni di “democrazia ambientale”: il ruolo delle associazioni ambientaliste, cit., 5, corsivo dell’autore).

50.  Infatti chiunque può accedere al sito web dedicato (www.dsa.minambiente.it) ed acquisire informazioni circa il contenuto e l’iter seguito per valutare l’impatto ambientale di un’opera, di un progetto, di un intervento, e, sempre tramite e-mail, trasmettere proprie osservazioni ai sensi dell’art.6, comma 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349.

51.  La logica premiale e premiante non è, tuttavia, nel contesto italiano, sempre legittima: con la sentenza n. 168 del 2008, infatti, la Corte Costituzionale italiana ha ritenuto, infatti, illegittimi i finanziamenti statali a destinazione vincolata in favore delle Regioni previsti dalla legge finanziaria per il 2007 (assegnati “automaticamente” senza il preventivo ricorso all’intesa con le Regioni) per materie di competenza concorrente (governo del territorio compreso) in quanto «tali misure possono divenire strumenti indiretti ma pervasivi di ingerenza dello Stato» in ambiti in cui la normativa di dettaglio spetta alle Regioni. Diversamente ha statuito, invece, con riferimento alla istituzione e finanziamento, con legge dello Stato, di nuovi parchi nazionali anche nel territorio delle Regioni ad autonomia speciale (nel caso di specie la Sicilia): cfr. sentenza n. 12 del 23 gennaio 2009 in cui la Corte ha ribadito la competenza esclusiva statale in materia.