Intorno alla corruzione

1. Premessa – Un tema drammatico, di crisi che accompagna la crisi, ha impegnato il recente vertice del G8. Per l’ennesima volta si è parlato di cor­ruzione e si sono as­sunti impegni per combatterla: giustamente, è il caso di dire, visto che essa appare ogni giorno, ovunque, in ogni contesto, con un peso economico enorme. Secondo le parole del Procuratore Generale della Corte dei conti nella relazione al bilancio dello Stato per il 2008, il suo “valore” am­monterebbe a 75 miliardi di euro. È una cifra immensa, spesa dalla “gente” sia per ottenere ciò che non dovrebbe, sia per conseguire ciò cui avrebbe di­ritto ma che il corrotto non rilascia. Abbiamo deliberatamente usato l’anodina parola “gente”, proprio per sottolineare come la corru­zione abbia mille facce e mille protagonisti: dall’operatore economico che paga per ot­tenere commesse pubbliche e dal furbo che si “compra” una pensione o un cer­tificato di in­validità (da esibire sulla Porsche: visto personalmente da chi scrive), fino a chi, si dice, è costretto a versare danaro per ottenere servizi cui avrebbe diritto.

Di corruzione si parla molto sul piano politico e, naturalmente, etico [1]. La condanna morale della corruzione è unanime in pubblico; si discute spesso della lotta che ad essa viene o dovrebbe essere condotta, degli strumenti con cui condurla e del ruolo che vi hanno i politici per un verso, la magi­stratura per un altro. Per paradossale che possa sembrare, però, il feno­meno corruzione, pur studiato dal punto di vista sociologico e, ovviamente, penale, lo è molto meno sotto il profilo sistematico. Oltre che un reato, come proclama il codice penale, che cosa è la corruzione da un punto di vista economico e giuridico? Che cosa comporta la sua presenza all’interno di un sistema, oltre alla creazione di ricchezze improprie ed al conseguente trasferimento del loro onere sulla collettività, in modo che nessuno se ne accorga? Che impatto ha tutto ciò su un sistema giuridico? Ed infine, rispettivamente a monte ed a valle di questi interrogativi: da che cosa nasce la corruzione? esiste, è anzi solo semplicemente pensa­bile, un rimedio ad essa che superi le pastoie ed i limiti delle indagini e del processo penale caso per caso?

2. Pare indubbio che, da un punto di vista economico e giuridico al tempo stesso, il modello tipico della corruzione sia un contratto di servizi. Il fornitore del servizio, il corrotto, è sempre una persona che, per dovere di ufficio, deve esercitare un potere, ovvero, in termini più moderni, una funzione pubblica [2]. L’acquirente, il corruttore, è un soggetto qualsiasi, il quale vuole che la funzione pubblica venga esercitata in senso a lui favorevole. Per ottenerlo, lo acquista. Oggetto del contratto è dunque questo servizio, molto particolare, per cui la funzione pubblica, affidata al corrotto, viene esercitata nell’interesse del corruttore e non della collettività. Questo ovviamente è solo il modello tipico: anziché un acquisto vero e proprio – danaro contro esercizio favorevole della funzione – possono benissimo darsi altre contropartite: e quindi, come scambio di funzioni, così di altri “favori”, di ogni genere e specie.
Che il contratto sia illecito pare indubbio: il modo, i termini in cui Tizio eserciterà la funzione pubblica affidatagli sono oggetto di un accordo e di un corrispettivo perché ciò vada a favore di Tizio. Ben prima che il diritto si affacci sulla scena, tutto è illecito, perché tutto è un inseguirsi di tradimenti, da Tizio che deve assolvere un compito nell’interesse della collettività e per danaro lo piega ad interessi privati, a Caio che questo chiede e ottiene, tradendo anzitutto il suo stesso appartenere alla comunità. Ciò non toglie che questi tradimenti assumano le vesti di un contratto, illecito quanto si vuole, ma contratto.
Su esso occorre portare l’attenzione.

3. Il primo aspetto che viene in evidenza è la struttura straordinariamente rudimentale di questo contratto. È quasi più un baratto che un contratto (“Ognun v’è barattier fuor che Bonturo”, diceva del resto Dante). Quale che sia la materia nel cui ambito e con riferimento alla quale viene “stipulato”, quali che ne siano l’oggetto e le prestazioni – danaro contro esercizio pilotato della funzione pubblica, scambio di favori, etc. –, esso non sembra capace di contenere clausole che disegnino un perimetro di adempimenti e di garanzie reciproci. La ragione è che questo contratto è per sua natura insuscettibile di contenere una disciplina dei rapporti, diversa ed ulteriore rispetto al baratto, vale a dire alla corre­sponsione di una somma di danaro quale corrispettivo per un esercizio “guidato” di funzioni pubbliche. Il nocciolo è infatti sempre lo stesso: per soddisfare il proprio privato interesse qualcuno paga – compra – l’esercizio di una funzione affidata per curare un interesse pubblico. Come sopra si diceva, l’illiceità è palese. Ma proprio qui sta il cuore del problema. Esiste un tipo di contratto, la cui illiceità è totale. Quasi non meriterebbe attenzione se nel nostro sistema non si ricorresse ad esso per transazioni che raggiungono i 75 miliardi di euro.

4. Il codice civile non ignora certo i con­tratti illeciti. Distingue anche tra quelli che lo sono per illiceità della c.d. causa, e quindi liberi nella loro strutturazione, e quelli contrari a norme impera­tive. In concreto si può pensare ad es. da un lato ad un contratto di presta­zione d’opera, finalizzato però all’eliminazione fisica di qualcuno, e dall’altro ad un matrimonio a termine, istituto tanto frequente in certi Paesi dell’Estremo Oriente. Come il codice civile non ignora questi contratti, così li sanziona tutti in un unico modo. Sono illeciti, quindi nulli. Come tutti sanno, la nul­lità del contratto si risolve nel rendere inesigibile la presta­zione.
Sennonché la nullità non colpisce solo il contratto illecito. Colpisce anche, e soprattutto, una serie di ipotesi, in cui il legislatore ha pensato di elidere gli effetti del contratto per carenza di un suo presupposto essenziale o per il suo ve­nir meno (come nel caso del matrimonio che segue alla dichiarazione di morte presunta, quando lo scomparso riappare) o addirittura per la violazione di requisiti di forma, ritenuti essenziali: è nulla la compravendita immobiliare fatta con accordo verbale, come è nulla la costituzione di una società per semplice atto scritto e non per atto pubblico [3].
Nel caso della corruzione le cose stanno molto diversamente. L’illiceità e la nullità del contratto non hanno rilievo. Un problema di inesigibilità della prestazione dell’una o dell’altra parte non esiste, perché in realtà non esistono né illiceità né nullità del contratto, l’una e l’altra confinate in un ambito di mero diritto civile. Le parti si collocano al di fuori di questo tipo di diritto. Il contratto deve essere eseguito, proprio perché illecito. Con la stessa logica deve essere eseguito il contratto con il picchiatore o con il killer.
Come ognun vede, questo ha un unico significato. Poiché l’inadempimento è sempre possibile, la sua disciplina si colloca ad un li­vello completamente diverso da quello del diritto civile, in un vero e proprio altro “ordinamento”, del tutto estraneo al primo: ed in verità non solo estraneo, ma in qualche improprio modo anche sovraordinato, nel senso che è in grado di im­porsi a quello civile, senza che quest’ultimo riesca neppure a sapere formalmente, ufficialmente, di avere un nemico occulto e di doversi quindi misurare con esso.
Di questo “ordinamento” non si sa praticamente nulla. Certo si sono lette notizie di tanti pro­cessi di corruzione, dai quali sono emersi nomi e intrecci – tutti ve­nuti alla luce quando erano ormai senza vita. Certo si sa che tutto si svolge nell’ombra, senza che mai si colga un segno se non tra gli affiliati. Della vita vera si conoscono solo rarissimi casi di persone uscite improvvisamente di scena, senza neppur essere state uc­cise, accompagnate da voci di “inadempimenti” (o di abusi di potere): espulse insomma dal sistema, e abbandonate impotenti all’ordinamento civile.

5. Su alcuni punti si può però richiamare l’attenzione. È certo anzitutto che il risultato perseguito con la corru­zione non può mai essere raggiunto in maniera palese. Deve essere l’effetto indiretto di comportamenti perfettamente legittimi o, se si vuole, pie­na­mente giustificabili sul piano della legittimità. Lo scopo vero e quindi l’illiceità non devono mai emergere. L’area in cui la cor­ruzione può più efficacemente operare tende dunque a collocarsi all’infuori di qualunque ambito in cui si deb­bano fare valutazioni discrezionali. La ragione è chiara. È vero che da un punto di vista rigorosamente processu­ale le scelte discrezionali della pub­blica am­ministrazione – e quindi delle persone che la concretizzano – sono insindacabili da parte del giudice am­ministrativo. Esse sono però non solo evidenti, attribuibili a singole persone fisiche; ma questa loro insindacabilità le sottrae al controllo del solo giudice amministrativo, non certo a quello del giudice penale e prima, ed a maggior ragione, della pubblica opinione.
In altri termini ed ovviamente in linea di massima, le fasi più strettamente documentali dei procedimenti amministrativi sono l’area di elezione per interventi mirati a favorire qualcuno, perché le valutazioni dei documenti sono sempre giustificabili sul piano della legalità. Quando l’esercizio della discrezionalità è inevitabile, essa deve essere mascherata attraverso l’uso di regole formali, capaci di rendere asettico qualunque giudizio – e di garantire il risultato.
L’esperienza delle gare per l’affidamento di appalti pubblici dà una forte prova indiziaria in tal senso. Il codice dei contratti pubblici e tutte le fonti subordinate che di­sciplinano la competizione per ottenere l’affidamento di un appalto – bandi, capitolati, disciplinari di gara – contengono molte norme che prescrivono il possesso di certifica­zioni e requisiti, a pena di esclusione. Così, per ogni gara deve essere presentata una mole sterminata di documenti, accompagnata dalla sanzione dell’esclusione se qualcuno di essi manchi: non sono infrequenti esclusioni fondate su puri formalismi o su interpretazioni della legge o dei bandi che destano profondo stupore. Spesso occorre poi giustificare l’anomalia dell’offerta vincente, in quanto si colloca al di sotto di una certa soglia: si vedono giustificazioni accolte o respinte, in termini incomprensibili. Ovviamente nessuno ha la prova di alcunché. Le perplessità però rimangono.
Certo è infatti che in questo quadro un’opera di pura applicazione di norme, esteriormente neutra ed insindacabile nella sua vera sostanza, nel vero fine cui mira, può consentire di escludere concorrenti “pericolosi” ovvero di favorire gli “amici”.

6. Il secondo punto riguarda quello che potrebbe essere definito il mercato del commercio di funzioni pubbliche per la soddisfazione di interessi privati.
Esso è la naturale evoluzione del sistema lato sensu classico, in cui il singolo paga un funzionario per avere qualche cosa che non gli spetterebbe. Questo è un insulto alla convivenza civile, alla legalità e a tutto ciò su cui si fonda la convivenza. Non c’è altro da dire.
Il problema è la reiterazione di questi comportamenti. Se il punto di avvio è lo stesso – si paga per avere qualche cosa – l’abitudine muta il quadro. Non si vuole e si paga qualche cosa una tantum, come potrebbe essere l’apertura di una finestra o, un tempo, di un negozio. Il bene cercato – un’autorizzazione, un permesso, e simili – si inserisce in un sistema seriale. Occorre averne senza soluzione di continuità, in una costante dialettica con l’amministrazione. Questo stimola il consolidarsi di rapporti ad hoc. Tutti ricordano lo scandalo dei farmaci. Nella vita di un farmaco ogni cosa, ogni passo deve essere autorizzato, dalla sperimentazione clinica alla confezione, per non parlare del prezzo. Nella casa di un distinto signore che, appunto, si occupava di farmaci all’interno di un’amministrazione dello Stato vennero trovati divani, cuscini, forse materassi, pieni di biglietti di banca anziché di lana. Nell’edilizia vicende di questo genere non si contano, né si ricordano perché non fanno storia. Si capisce: chi fa l’imprenditore in questo settore deve continuamente trovare aree edificabili, continuamente ottenere permessi di costruire e vendere.
In altre parole, il mercato può essere molto difficile ed estremamente competitivo. Il punto cruciale è che qui l’amministrazione svolge un ruolo determinante nel gioco. Per restare negli esempi fatti qui sopra, non tutti possono costruire simultaneamente, non dovunque ci sono aree edificabili, non sempre gli acquirenti sono in coda. I farmaci a loro volta vanno incontro a mille sfide concorrenziali, la cui soluzione dipende in larga misura dalle amministrazioni – basti pensare ai loro acquisti.
Da che cosa il processo abbia preso avvio non è dato sapere. Certo è che con il tempo il prestatore di favori una tantum è divenuto un socio occulto, perché il ruolo di regolatore, di vigilante e quindi di garante delle amministrazioni è stato sfruttato a fini concorrenziali – ed in realtà anticoncorrenziali. L’amico all’interno dell’amministrazione consentiva di avere informazioni in anticipo, di orientare tempestivamente le attività, e quindi semplicemente di essere più forti sul mercato per forza altrui e non propria. È facile comprendere come tutti abbiano cercato di avere l’amico.
Nel campo delle gare tutto ciò è ancora più chiaro. Qui il “pericolo” della concorrenza è in re ipsa, rigorosamente scandito dai bandi e dalla necessità di presentare domande di partecipazione. Tra tre, cinque, venti, cento concorrenti se ne deve scegliere uno ed uno solo. Avere paura ed essere preoccupati è fisiologico. Il problema è però che, anziché sviluppare al massimo le proprie capacità, in modo da affrontare la sfida delle gare nelle condizioni migliori, si è battuta la via dell’ “amico”. Ciò che ha avviato la valanga.
È superfluo dire che autarchie di questo genere esistono ovunque, ed ovunque svolgono la stessa funzione: limitare, se non addirittura escludere la concorrenza, per favorire chi appartiene al sistema. Come tutte le autarchie, anche queste di cui si è parlato nelle pagine che precedono tendono a consolidarsi e riprodursi. Si è così costruito il complesso, fluido, nascosto sistema di anti-stato, che si è cercato di indagare. L’effetto è sotto gli occhi di tutti. Da un lato, si assiste ad una lenta perdita di livello e di competitività, perché si persegue il successo per vie nascoste anziché del continuo miglioramento; dall’altro, vi è un raffinato collasso dell’ordinamento civile, che, per dirla in termini estremi, viene lasciato in vita al solo fine di sfruttarlo. Come nessuno, fedele all’ordinamento civile, può più credere interamente nelle sue istituzioni, così nessuno dall’interno del sistema di corruzione ha l’interesse a dissolverlo. Se ne dovrebbe fare un altro – o addirittura venire alla luce. Ma questo è compito delle rivoluzioni, non di certa gente d’affari.

7. Per tentare di comprendere il senso di questa complessa vicenda, si deve immaginare la vita in un regime di autocrazia assoluta, nel quale, per fare qualunque cosa, occorre il beneplacito del sovrano. Come è evidente, lo si conquista con doni di ogni genere, tanto più preziosi, quanto più rilevante è l’iniziativa. Il rischio è, prima facie, assoluto, perché nulla vincola il sovrano. Solo messaggi non scritti, indecifrabili da occhio inesperto, dicono se il dono è gradito, con quel che segue o seguirà. Il sacrificio agli dei non è nulla di diverso. Ne insegue la grazia.

Un regime in cui il potere soggiace a regole riduce la possibilità di accordare il consenso ad libitum, fino a farla venir meno. La volontà individuale è sostituita dalla volontà collettiva, come si diceva un tempo, non cancellata. È solo razionalizzata, staccata dalla persona fisica di un principe, cui si impone di operare e decidere nell’interesse non proprio, ma di tutti – peggio ancora, della generalità, astrattamente concepita e rappresentata. Ma chi e che cosa guidi questa volontà quasi disumanizzata resta un mistero. È un elegante gioco di parole e di pensieri parlare del pubblico dipendente “al servizio della nazione” ed attribuire ai politici l’irresistibile bisogno di dedicarsi solo all’interesse generale. In chi vuole qualche cosa nasce di qui l’irresistibile tentazione di intervenire comunque sul potere con doni di vario genere, per far sì che il potere stesso favorisca una soluzione piuttosto che un’altra. In questo senso e sotto questo profilo la corruzione è potenzialmente ubiquitaria. Dovunque vi sia qualcuno che deve provvedere, le regole possono non essere o semplicemente non apparire sufficienti per autorizzare, consentire, contrarre. Occorre ingraziarsi il detentore del potere.
Il meccanismo di fondo è dunque una ben pagata fuga dal diritto ovvero una sua ben pagata applicazione. In ogni caso, c’è una condivisa consapevolezza sulla sua insufficienza e quindi sulla necessità di risalire il percorso, tornando al potere.

8. Si possono trarre due ordini di conclusioni. Il primo è di ordine generale. Non è vero che le società ed i loro ordinamenti siano in qualche modo autoportanti, cioè che si reggano quasi per il solo fatto di esistere. Ogni ordinamento vive solo perché un misterioso – o fin troppo chiaro – collante lega le persone che lo compongono. Questo collante è la forza che spinge a distinguere il bene dal male, il dovere dalla sua violazione, il bene proprio da quello comune, la fierezza e addirittura l’orgoglio dall’indifferenza. È chiaro che si tratta di una forza, o forse piuttosto di un complesso di forze morali, nel senso più vario e ricco del termine. Tanto per fare un esempio, l’appartenenza ad una comunità – quale tante volte si vede nei villaggi – è certamente una componente fortissima; altrettanto dicasi per la squadra. Una volta lo era l’appartenenza all’Università. Senza questo collante morale tutte le organizzazioni e tutti gli ordinamenti implodono.
Il secondo ordine di considerazioni riguarda i possibili rimedi alla corruzione. Il primo, che suona generico, ma è fondamentale, è fare in modo di ridare alla “gente” l’orgoglio di appartenere ad una società e ad un sistema. Il funzionamento delle istituzioni, a partire dalla scuola e dagli ospedali, è fondamentale.
Generico suona anche l’altro, cui si può pensare. Si deve rinforzare, se non addirittura creare, il piacere della competizione. Tutta la vita è una lotta, anche quando non lo si sa o non ci si crede; si spinga la “gente” a convincersi che è bello combattere, non tradire, non aspettare che qualche cosa succeda.
Ed infine: semplificare le leggi, eliminare al massimo i formalismi e gli automatismi, dare, ridare spazio alla discrezionalità, informare di tutto e di tutti.
Difficile, straordinariamente difficile. Sono in ballo 75 miliardi di euro, destinati a crescere.

Note

1.  Merita ricordare che “corruzione”, come è per altro evidente ed intuitivo, è il sostantivo di cor­rompere. Meno intuitivo è il significato, originario ed attuale ad un tempo, di questo verbo. La sua radice è chiaramente rompere, cioè ridurre in pezzi. Ma il cum che precede “rompere” ne ha dilatato il significato: che è dive­nuto non solo quello, oggi abbandonato, di un più forte mandare in pezzi e distruggere, ma anche e soprattutto quello di contaminare e putrefare. Noi ne viviamo oggi prevalentemente il significato traslato, che si potrebbe dire di putrefazione delle coscienze, incapaci di essere guidate da regole certe, mandate appunto in pezzi.

2.  Esiste anche la corruzione privata, come tutti sanno, che è però una cosa relativamente diversa, se non altro perché le parti sono tutte private: essa sembra produrre effetti distorsivi solo indiretti sul sistema. L’attenzione è qui concentrata sulla corruzione riferita alla funzione pubblica, dove l’effetto distorsivo è immediato.

3.  La giurisprudenza estende il principio anche al preliminare di costituzione di una società.