Organizzazioni pubbliche e test di mercato

(Osservazioni a margine della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e dello schema del decreto di attuazione)[*]

– 1. L’approccio industriale ai problemi dell’organizzazione pubblica e del controllo. – 2. I fattori di debolezza delle organizzazioni pubbliche ed i possibili rimedi per orientare all’efficienza la produzione di beni e servizi pubblici. – 3. La riduzione dell’organizzazione pubblica a vantaggio dell’organizzazione privata: a) l’impresa pubblica. – 3.1. (segue) b) la concorrenza tra organizzazione pubblica e organizzazioni private. – 3.2. (segue) c) la esternalizzazione della produzione di beni e servizi pubblici a organizzazioni private. – 4. La introduzione di caratteri propri delle organizzazioni private nell’organizzazione pubblica, in funzione dell’obiettivo dell’efficienza. Le premesse poste dal d.lgs. 165/2001. – 4.1. Il completamento del disegno nella legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e nello schema di decreto di attuazione: la necessaria selettività degli incentivi economici legati alla valutazione dei risultati. – 5. I punti critici del sistema degli incentivi collegati alla valutazione delle prestazioni: il problema dell’imparzialità nella valutazione delle prestazioni. – 5.2 (segue): il problema della misurazione delle prestazioni pubbliche. – 6. Il controllo dei soggetti del mercato sull’efficienza delle organizzazioni pubbliche.

1. L’approccio industriale ai problemi della organizzazione pubblica e del controllo.

“Nei moderni paesi industrializzati la pubblica amministrazione rappresenta in genere l’industria più grande per numero di addetti e valore aggiunto”. Così in Italia, dove occupa più di 3 milioni e seicentomila addetti e tra ministeri, regioni, enti locali, asl ed enti pubblici vanta 9.976 strutture organizzative.
Questa la valutazione di partenza ed i dati forniti da uno studio recente, che significativamente si intitola “La riforma della pubblica amministrazione, secondo un approccio Industrial Organisation[1] e che si propone di interpretare in termini industriali l’intera struttura organizzativa pubblica.
L’amministrazione pubblica è poi comparabile ad una industria non solo per la mole della sua organizzazione, ma anche per l’oggetto della sua attività, la quale, in definitiva, consiste nella produzione di beni e servizi attraverso l’impiego di fattori produttivi (lavoro ed infrastrutture) secondo le tecnologie disponibili.
E’ opportuno anche precisare che la concezione dell’attività amministrativa come attività industriale di produzione di beni e servizi non è esclusiva dell’attività c.d. tecnica dell’amministrazione (istruzione, sanità). Si tratta invece di un modello interpretativo, che è applicabile anche all’attività propriamente giuridica: alla giustizia, in primo luogo, ma anche, ad esempio, alla gestione del territorio o alla programmazione edilizia.
Da questo approccio metodologico, oramai diffuso nell’esame dei problemi dell’amministrazione pubblica, deriva una conseguenza ben precisa, che investe in pieno il tema della funzione di controllo ed il dato fondamentale del parametro per il suo esercizio.
L’obiettivo da conseguire per un’amministrazione, concepita come organizzazione volta alla produzione di beni e servizi, è quello della sua efficienza (rapporto ottimale tra costi, rendimenti e risultati) piuttosto che quello della legittimità della sua azione.
E difatti, a partire dalle riforme del ‘99 -2000, la scelta del legislatore è stata quella di ridurre l’area dei controlli di legittimità (aboliti del tutto nei confronti degli enti dotati di autonomia) e di sostituire al tranquillante binomio legittimo-illegittimo (oggi ristretto alla verifica dei soli atti del governo, ex articolo 100, comma 2, cost.) la verifica dei costi, dei rendimenti e dei risultati, ovvero un controllo che adotta il parametro della efficienza.
Il controllo di efficienza è più complesso rispetto al controllo di mera legittimità.
A differenza della legittimità, che richiede la mera conformità al parametro dato delle disposizioni di legge, quello dell’efficienza non è un criterio statico, bensì dinamico. Un’attività è efficiente quando la relazione tra le risorse impiegate e i risultati conseguiti raggiunge l’equilibrio ottimale. L’efficienza è dunque difficile da realizzare e anche da misurare.
In questa circostanza risiede la ragione della preferenza accordata dalla burocrazia al parametro della legittimità e dunque le resistenze opposte dalla burocrazia alla utilizzazione di un diverso parametro di controllo. In un contesto di controlli finalizzati alla verifica della legittimità, la sola preoccupazione del dipendente pubblico deve essere quella di attenersi alle leggi e ai regolamenti, mentre egli può sostanzialmente disinteressarsi dei risultati prodotti dalla sua azione.

[*] Relazione tenuta al Convegno “Organizzazione dell’attività ispettiva per la valutazione dei tempi e dei costi della giustizia”, organizzato dall’Università degli studi del Molise e dal Ministero di Giustizia, Isernia 23-25 giugno 2009.

2. I fattori di debolezza delle organizzazioni pubbliche ed i possibili rimedi per orientare all’efficienza la produzione di beni e servizi pubblici.

L’approccio di tipo industriale, o aziendale, al problema dell’organizzazione pubblica sollecita di per sé un raffronto con l’organizzazione privata.
Tale raffronto evidenzia immediatamente gli elementi di debolezza intrinseca della prima. Questi sono da ravvisarsi nell’assenza di quei fattori “che decretano la forza e l’efficienza dell’industria: vale a dire la concorrenza (rivalità e contendibilità) e gli incentivi”[2].
La ragione per la quale il problema dell’efficienza si presenta in termini particolarmente pressanti nell’organizzazione pubblica è allora che questa non si orienta verso l’obiettivo dell’efficienza per il mero libero impulso di fattori che agiscono al suo interno.
L’efficienza, non raggiunta spontaneamente, può essere conseguita aumentando i controlli di tipo burocratico. Questa soluzione implica costi notevoli, sia in termini di vera e propria spesa che in termini di allungamento dei tempi dell’azione amministrativa, e dunque produce ulteriore inefficienza[3].
Un diverso possibile approccio è invece quello che muove proprio dalla considerazione degli intrinseci fattori di debolezza dell’organizzazione pubblica, come sopra evidenziati (assenza del profitto e dei parametri offerti dalla concorrenza) e si propone di ovviare alla mancanza di questi. Se l’inefficienza dell’amministrazione pubblica ha origine nell’assenza dei correttivi offerti dal mercato, l’efficienza può essere conseguita in due modi, che riassumerei in due slogan: meno amministrazione e più mercato ovvero più mercato nell’amministrazione.
In termini più chiari, gli strumenti che possono essere utilizzati per accrescere il grado di efficienza nella erogazione di prestazioni pubbliche, sono riconducibili a cinque tipi fondamentali. I primi tre possono essere racchiusi nel primo degli slogan (meno amministrazione e più mercato) e sono quelli della istituzione di imprese pubbliche; dell’apertura alla concorrenza della produzione di beni e servizi pubblici, della esternalizzazione di funzioni e servizi pubblici a soggetti privati. Gli altri due possono invece essere inquadrati nel secondo (più mercato nell’amministrazione) e consistono nell’inserimento di meccanismi di incentivazione e di valutazione di tipo aziendale all’interno degli apparati burocratici e nella sottoposizione dell’amministrazione a forme di controllo incisive da parte dei cittadini–utenti.

3. La riduzione dell’organizzazione pubblica a vantaggio dell’organizzazione privata: a) l’impresa pubblica.

Dedicherò solo pochi cenni ai primi tre strumenti, che fuoriescono dal tema specifico dei controlli amministrativi, per concentrami sugli ultimi due, i quali costituiscono poi anche l’oggetto degli interventi normativi più recenti in materia di controlli sull’amministrazione pubblica.
Un primo modo per incrementare l’efficienza nel settore della produzione di beni e servizi pubblici può essere quello di strutturare l’amministrazione pubblica secondo i moduli organizzativi propri delle imprese private.
L’assioma che sta al fondo di tale opzione è se le imprese private orientano naturalmente la loro attività secondo un criterio di efficienza, sarà sufficiente organizzare l’amministrazione in forma imprenditoriale perché l’efficienza sia raggiunta.
I limiti al possibile impiego del modello “impresa” sono due.
Si tratta di uno strumento che può essere utilizzato solo per la erogazione di prestazioni che consistono in beni e servizi vendibili per un dato prezzo sul mercato. Si può istituire una impresa che abbia ad oggetto la produzione del servizio di trasporto da vendere sul mercato. Più difficile, anche se non impossibile, è ipotizzare una impresa che abbia ad oggetto la produzione del servizio giustizia. Anche a tacere della complessa trasformazione in “servizio” di un’attività tradizionalmente considerata come “funzione”, i vincoli costituzionali non consentirebbero che una siffatta impresa possa sostituire del tutto la organizzazione pubblica della giustizia.
Inoltre le amministrazioni pubbliche presentano comunque un elemento di rigidità. La loro esistenza, istituzione – soppressione, è disposta dalla legge. Perciò le amministrazioni pubbliche, organizzate in forma imprenditoriale, sono sottratte al fallimento (art. 2221 c.c.).
Manca nei confronti delle amministrazioni pubbliche imprese la sanzione ultima del mercato che è data dalla espulsione delle organizzazioni inefficienti [4]. Anche le organizzazioni inefficienti tendono a sopravvivere. L’efficienza non è condizione per la sopravvivenza stessa della organizzazione ed è perciò un obiettivo che può essere declinato, un parametro che può essere disatteso.

3.1   b) la concorrenza tra organizzazione pubblica e organizzazioni private.

Il secondo strumento per ridurre l’area occupata dall’organizzazione pubblica, a vantaggio del mercato, in funzione di promuovere l’efficienza, è quello di stimolare la concorrenza tra organizzazioni pubbliche e private nella produzione di un determinato servizio.
E’ quanto avviene ad esempio nel campo sanitario o della istruzione. La concorrenza tra le strutture pubbliche e private, consentendo ai cittadini di scegliere liberamente tra l’ospedale o la clinica, dovrebbe stimolare di per sé l’efficienza nell’uno e nell’altro settore.
Il limite è individuato nella capacità degli utenti di verificare la qualità delle cure fornite dalle strutture sanitarie e nella difficoltà per gli stessi di mutare rapidamente il fornitore come reazione alla cattiva qualità dei servizi ricevuti.
Queste considerazioni giustificano la preferenza di molti ordinamenti verso forme di intervento pubblico diretto e l’inserimento delle strutture sanitarie private all’interno di un regime convenzionale almeno in via di principio funzionale all’osservanza di standard di qualità minimi.

3.2   c) la esternalizzazione della produzione di beni e servizi pubblici a organizzazioni private.

L’ultimo strumento rivolto ad inserire l’amministrazione, intesa come produzione di beni e servizi, nel mercato è quello delle esternalizzazioni ovvero l’affidamento ad organizzazioni imprenditoriali private della produzione di beni e servizi pubblici.
Anche questo strumento non ha, a ben vedere, un campo di applicazione generale, ma soffre di limiti intrinseci di utilizzabilità.
Se la storia ci consegna l’esempio di società per azioni, quali la Compagnia olandese delle Indie orientali, cui era affidato anche il potere di stipulare trattati o di condurre la guerra, negli ordinamenti contemporanei si ritengono, in genere, riservate alla gestione diretta dell’amministrazione attività connotate da un alto grado di autoritatività o correlate a diritti fondamentali dei cittadini.
Secondo un approccio di tipo economico, si ritengono piuttosto riservati alla amministrazione pubblica quei servizi la cui qualità non può essere per sua natura puntualmente specificata nel contratto.
Il rischio della esternalizzazione è cioè quello che il gestore privato, naturalmente incentivato a ridurre i costi per aumentare i profitti, riduca i livelli delle prestazioni non specificate e non specificabili nel contratto..
In definitiva la scelta di indurre efficienza nella produzione di beni e servizi pubblici restringendo il ruolo delle organizzazioni pubbliche, a vantaggio di quelle private, presenta non pochi inconvenienti e non pochi limiti alla sua concreta utilizzabilità. Il ruolo, sia pure residuale, delle organizzazioni pubbliche è insopprimibile e il problema della loro efficienza non può essere eluso.

4. La introduzione di caratteri propri delle organizzazioni private nell’organizzazione pubblica, in funzione dell’obiettivo dell’efficienza. Le premesse poste dal d.lgs. 165/2001.

La seconda strada che può essere utilizzata per orientare l’attività delle organizzazioni pubbliche all’obiettivo dell’efficienza, e che è suggerita sempre dal raffronto con le organizzazioni private, è quella di inserire all’interno della amministrazione pubblica stessa alcuni elementi propri delle organizzazioni private che operano nel mercato.
L’efficienza è stimolata dall’applicazione agli uffici amministrativi di alcuni criteri manageriali di funzionamento e di controllo.
Si tratta di un orientamento che fa proprie le premesse poste dal c.d. New public Management, il filone di pensiero per il quale la razionalizzazione del settore pubblico, in funzione dell’obiettivo dell’efficienza, non può essere conseguita se non si interviene sugli aspetti organizzativi e gestionali, che a loro volta dovrebbero essere improntati quanto più possibile a canoni di tipo manageriale[5].

E’ questa la strada seguita dalla legge delega n. 15, del 4 marzo 2009 e dal decreto di attuazione, approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 maggio scorso ed ora all’esame delle Commissioni parlamentari e della Conferenza stato-regioni.
Il solco, sul quale i più recenti interventi normativi in materia si incanalano, è quello già tracciato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
In particolare il decreto del 2001 ha posto una premessa che è ritenuta dalla letteratura economica necessaria per introdurre criteri manageriali nella erogazione delle prestazioni pubbliche. La premessa è quella della distinzione tra attività di gestione e definizione delle politiche pubbliche.
Si tratta di un obiettivo che può essere perseguito in vari modi[6].
La strada, seguita dal legislatore del 2001, è stata quella di introdurre meccanismi di distinzione tra politica e amministrazione all’interno dell’organizzazione burocratica tradizionale. Il compito di definire gli obiettivi politici è attribuito ai vertici politici ed i compiti di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa ai dirigenti.
Sui dirigenti grava la responsabilità della gestione dell’attività e del raggiungimento dei risultati prefissati, fino a prevedere la possibilità della revoca dell’incarico.
Fondamentale in tale sistema è il funzionamento dei controlli interni di gestione, sanciti dalla legge 286/1999, volti a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’attività svolta e a valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale.
Alla previsione della responsabilità per il mancato perseguimento degli obiettivi, si accompagna un sistema di incentivi. Una parte della remunerazione del personale è collegata all’esito positivo del controllo. L’idea di fondo, ampiamente utilizzata nei performance related pay del lavoro privato, è quella di allineare gli interessi del dipendente a quelli dell’organizzazione, legando una parte variabile della retribuzione al conseguimento di risultati positivi.

4.1 Il completamento del disegno nella legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e nello schema di decreto di attuazione: la necessaria selettività degli incentivi economici legati alla valutazione dei risultati.
La critica unanimemente mossa al sistema inaugurato dal decreto 165/2001 è stata quella di non prevedere espressamente criteri selettivi nella attribuzione degli incentivi economici ai dipendenti pubblici, dirigenti e non.
Gli incentivi solo formalmente sono collegati alla produttività, ma non essendo previsto espressamente un criterio selettivo, di fatto gli incentivi sono andati a costituire voci di salario generalizzate distribuite a tutto il personale senza una vera valutazione delle prestazioni.
A questi limiti ha inteso ovviare la legge delega del 2009.
Tra gli obiettivi assegnati al legislatore delegato vi è quello indicato dall’articolo 5 della legge delega. La delega è finalizzata ad introdurre nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità delle prestazioni lavorative anche mediante l’affermazione del principio di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi.
Come recita la relazione illustrativa dello schema del decreto legislativo di attuazione della delega contenuta nella legge 15/2009, “l’asse della riforma è la forte accentuazione della selettività nella attribuzione degli incentivi economici e di carriera in modo da premiare i capaci e i meritevoli, incoraggiare l’impegno sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto”.
In buona sostanza, l’idea è quella di collegare la parte variabile della retribuzione alla valutazione dei risultati conseguiti.
Il superamento del sistema introdotto dall’art. 45, comma del d.lgs. 165/2001 che consentiva l’applicazione uniforme di premi retributivi, pure collegati formalmente alla produttività, è netto.
Secondo quello che in dettaglio prevede lo schema del decreto di attuazione, il trattamento accessorio, legato ai risultati e alla produttività, dovrà essere distribuito seguendo una articolazione in tre fasce[7]. La prima fascia non potrà riguardare più del 25 per cento del personale, che riceverà il trattamento accessorio in forma piena. La seconda fascia abbraccerà il 50 per cento del personale, al quale il trattamento accessorio non potrà essere riconosciuto in misura più ampia della metà. La terza fascia assorbirà l’ultimo 25 per cento del personale, che avendo ottenuto valutazioni più basse, non riceverà affatto il trattamento accessorio.
Inoltre vengono previsti premi aggiuntivi per le performance di eccellenza e per i progetti innovativi. Il primo può essere destinato ad una quota non superiore al 5 per cento dei dipendenti. Il premio annuale per l’innovazione sarà attribuito al progetto più efficace per migliorare le performance[8].
Infine sono previsti criteri meritocratici per le progressioni economiche e l’accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione.
Si tratta di disposizioni alle quali è espressamente riconosciuto carattere imperativo e la non derogabilità da parte della contrattazione collettiva.

5. I punti critici del sistema degli incentivi collegati alla valutazione delle prestazioni: il problema dell’imparzialità nella valutazione delle prestazioni.

I punti critici del sistema degli incentivi economici legati alla verifica del rendimento sono evidenti. Per il successo di tale sistema è necessario che la valutazione delle prestazioni pubbliche, rese a livello individuale e di amministrazione-ente nel suo complesso, funzioni bene.
Il buon funzionamento del sistema di controllo e di valutazioni delle prestazioni richiede che siano soddisfatte due condizioni.
La prima è quella dell’imparzialità nell’esercizio della funzione di controllo. In mancanza, l’erogazione degli incentivi economici rischia di diventare la strumento di favoritismi se non addirittura di pressioni politiche.
La preoccupazione dell’esercizio imparziale del controllo è stata ben avvertita dal legislatore ed emerge dalla scelta di articolare la funzione di controllo interno su diversi livelli.
Per l’articolo 6 la valutazione delle prestazioni dei dipendenti delle qualifiche inferiori, valutazione cui è collegata l’attribuzione degli incentivi, rientra nei poteri dei dirigenti ed è rimessa alla piena autonomia di questi. Il corretto adempimento di questo obbligo è sanzionato da una specifica responsabilità. Alla omessa vigilanza del dirigente sull’effettiva produttività delle risorse umane a lui assegnate e sull’efficienza della relativa struttura è difatti collegata la decurtazione fino all’80 per cento della retribuzione di risultato.
L’articolo 4 prevede poi il riordino degli organismi interni di valutazione, di cui ogni amministrazione è tenuta a dotarsi e che vanno a sostituire i servizi di controllo interno, comunque denominati, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1999.
A fianco degli organismi interni è istituita una amministrazione centrale indipendente denominata “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”. La Commissione ha il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio della funzione di controllo da parte degli organismi di valutazione interni indipendenti.
La Commissione è composta di 5 membri, scelti tra esperti di elevata professionalità e nominati con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sulla base di un complesso procedimento che vede la proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro per l’attuazione del programma di governo, il parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza di due terzi.
La Commissione opera “in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia”. Il compito della Commissione è quello di indirizzare coordinare e sovraintendere all’esercizio indipendente della funzione di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la compatibilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l’attuazione del programma di governo sull’attività svolta”.
Tra i compiti della Commissione, quello di promuovere la confrontabilità tra le prestazioni omogenee delle pubbliche amministrazioni anche al fine di consentire la comparazione delle attività e dell’andamento gestionale nelle diverse sedi ove si esercita la pubblica funzione
Ancora l’imparzialità del controllo dovrebbe essere garantita dalla trasparenza
L’articolo 11 impone alle amministrazioni pubbliche un obbligo di massima trasparenza in ogni fase del ciclo di valutazione delle performance.
La trasparenza, intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione della funzione di controllo e dei risultati dell’attività di valutazione e misurazione svolta dagli organismi competenti, è espressamente sancita allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità.
La prova dei fatti ci dirà se i correttivi individuati dal legislatore per garantire l’esercizio imparziale del controllo sulle performance pubbliche siano adeguati.
Quel che si può forse fin da ora osservare è che desta qualche perplessità l’indipendenza della Commissione centrale per il controllo, anche se a questa si riconosce “piena autonomia di giudizio e di valutazione”, secondo la formula comunemente usata dal legislatore quando si tratta di definire la posizione delle autorità indipendenti.

Si tratta comunque di una autorità un po’ particolare, e forse meno indipendente di altre, non solo perché l’esecutivo interviene prepotentemente nel procedimento di nomina, come abbiamo visto, ma anche perché – se è sancita l’indipendenza di giudizio – è prevista anche una stretta collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento della funzione pubblica, e con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Inoltre alla Commissione sono riservati compiti di regolazione, piuttosto che un ruolo attivo nell’esercizio concreto della funzione di valutazione delle prestazioni pubbliche, funzione riservata agli organismi interni di valutazione delle performance.
La trasparenza delle informazioni concernenti ogni aspetto della valutazione è sancita espressamente per consentire una sorta di controllo diffuso sull’esercizio della funzione.
Non è chiaro però quale possa essere l’esito concreto di tale controllo. Forse tale previsione si lega con la parte non ancora attuata del disegno governativo, sulla quale torneremo più avanti, quella relativa alla class action nei confronti dell’amministrazione pubblica per i casi di maladministration.
Al fine di garantire l’imparzialità nell’esercizio del controllo meriterebbe forse maggior spazio l’idea di inserire nel circuito della valutazione il cittadino. Non tanto nel ruolo di controllore del buon esercizio della funzione di valutazione, quanto come soggetto il quale, in quanto fruitore dei servizi resi dall’amministrazione, è in grado di fornire un giudizio attendibile, o forse il giudizio più attendibile, sulla qualità delle prestazioni.

5.1 I punti critici del sistema degli incentivi collegati alla valutazione delle prestazioni: il problema della misurazione delle prestazioni pubbliche.

La seconda condizione che dovrà realizzarsi perché il sistema degli incentivi collegati alla valutazione delle prestazioni possa funzionare bene è quella di individuare criteri affidabili ed adeguati di rilevazione e di misurazione delle prestazioni pubbliche. Compito, questo, che resta attribuito alla Commissione centrale per il controllo e alla attività regolatoria di questa.
Il compito affidato alla Commissione è delicato.
L’analisi economica ha evidenziato come la valutazione delle prestazioni pubbliche, per essere adeguata, non possa considerare come rilevanti solo dati di input (ore lavorate, spesa impegnata), ma è essenziale che consideri l’output (qualità del servizio)[9].
Criteri meramente quantitativi sono utilizzabili per la valutazione di attività materiali e tecniche di contenuto semplice. Per queste la produttività può essere collegata a, e dedotta da, dati meramente numerici: la quantità dei pesi trasportati, dei chilometri percorsi, l’estensione delle superfici protette, la quantità di beni prodotti.
Criteri meramente quantitativi non sono invece utilizzabili quando si tratta di valutare l’efficienza nello svolgimento di attività complesse. Così l’impegno di un magistrato non può essere misurato semplicemente sulla base del numero di sentenze stese o dal numero delle ore trascorse nei locali del tribunale.
Occorre, in questi casi, incrociare le stime quantitative con stime qualitative.
Ad esempio nel campo della amministrazione della giustizia, il numero dei processi e delle sentenze dovrà essere incrociato con il dato qualitativo della loro conferma o riforma in grado di appello.

6. Il controllo dei soggetti del mercato sull’efficienza delle organizzazioni pubbliche.

L’ultimo tassello del disegno delle legge delega è rappresentato dalla c.d. class action amministrativa.
Come è noto la materia è stato poi stralciata dal testo del decreto delegato approvato dal Consiglio dei Ministri. Il Governo ha chiesto un parere al Consiglio di Stato e all’Avvocatura dello Stato sui riflessi che l’azione potrà avere sul processo amministrativo e sulla difesa erariale e la materia dovrà essere trattata in un secondo decreto, da approvarsi entro il termine di scadenza della delega.
La tutela giurisdizionale disegnata dall’articolo 4 lett. l) completa il disegno di un controllo diffuso degli utenti sulla efficienza della erogazione di prestazioni pubbliche, già tratteggiato dalle norme prima richiamate che sanciscono il principio di trasparenza della funzione di controllo.
L’art. 4 attribuisce ad ogni interessato la legittimazione al ricorso e al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva e di merito. Nell’ambito di questa, e dunque nell’esercizio di poteri sostitutivi, il giudice potrà adottare tutte le misure idonee a porre rimedio alle violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nella carte dei servizi, all’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, anche tramite la nomina di un commissario ad acta.

Si tratta di una forma di tutela per così dire in forma specifica, accordata ai soggetti lesi dalle disfunzioni delle amministrazioni pubbliche, che si affianca alla tutela collettiva risarcitoria di cui all’art. 140 bis del codice del consumo, proponibile anche nei confronti della p.a. secondo le modifiche in corso di approvazione.
Il disegno complessivo sembra essere quello di attribuire al giudice il ruolo di anello di chiusura del controllo sul buon andamento dell’amministrazione e quindi, in definitiva, ai cittadini-utenti, legittimati a proporre l’azione per la tutela in forma specifica o per equivalente monetario, in ogni caso in cui abbiano subito una lesione per effetto di una disfunzione amministrativa..
Si tratta di un disegno coerente con l’idea di un controllo dei soggetti del mercato sull’attività di erogazione di beni e servizi dell’amministrazione pubblica.
Ma, al di là della evidente suggestione del modello, che prospetta una sorta di controllo diffuso sull’amministrazione, non mancano i dubbi circa la effettiva utilità, e la concreta praticabilità, della tutela collettiva in forma specifica e per equivalente monetario come strumento per promuovere l’efficienza delle organizzazioni pubbliche.
Sul versante della tutela in forma specifica, che costituisce una indubbia novità della recente disciplina, vi è l’incognita circa effettiva volontà, e forse anche la competenza tecnica, del giudice amministrativo, chiamato ad esercitare un sindacato pregnante, di merito e sostitutivo, in materia di organizzazione pubblica.
Luci ed ombre si concentrano anche sul versante della tutela risarcitoria collettiva e sull’utilizzabilità di questa come strumento per promuovere l’efficienza dell’amministrazione pubblica.
L’idea può incontrare senz’altro il favore di coloro che vedono nella sottoposizione dei soggetti pubblici alla sanzione della responsabilità per i danni arrecati ai cittadini non solo, e non tanto, uno strumento di giustizia distributiva, quanto, piuttosto, una condizione imprescindibile di buona amministrazione[10].
E’ una linea di pensiero che trova un riscontro anche nella letteratura economica. Dal punto di vista economico, una delle ragioni che giustificano l’istituto della responsabilità civile é rinvenuta proprio nell’effetto di indurre il soggetto autore della condotta, e che sarebbe chiamato a subire i costi del risarcimento, a ricercare misure di prevenzione e dunque a promuovere livelli di efficienza tali da porlo ragionevolmente a riparo dal rischio[11].
L’efficacia deterrente del rimedio giurisdizionale è invece contestata da quanti osservano che il costo del risarcimento imposto alla p.a. verrebbe a ricadere in ultima analisi, sui cittadini, sotto forma di maggiori tasse o di minori erogazioni. Sicché la finalità compensativa per i danneggiati resterebbe in parte frustrata posto che sarebbero proprio costoro a sopportare pro rata il costo pubblico del risarcimento. Si osserva inoltre che, a fronte di un risarcimento spesso irrisorio riconosciuto ai singoli, il costo, dal punto di vista del soggetto obbligato al risarcimento nei confronti di un numero cospicuo di consumatori-utenti, è in genere elevato.
Il secondo argomento che è utilizzato per contestare l’efficacia deterrente del rimedio risarcitorio collettivo ed il contributo che questo può dare al miglioramento dell’efficienza del settore pubblico è quasi di tipo psicologico e prende a riferimento la posizione del funzionario. Si osserva che una forte accentuazione della responsabilità civile dell’amministrazione, con conseguente possibile rivalsa nei confronti del dipendente pubblico, se da un lato può costituire uno stimolo verso un più efficiente svolgimento delle funzioni pubbliche, dall’altro può addirittura scoraggiare condotte virtuose. Il timore di incorrere in una responsabilità può indurre il funzionario ad un atteggiamento eccessivamente prudente, a limitarsi all’osservanza scrupolosa e pedissequa delle norme (il tranquillante approdo della legittimità, di cui parlavo all’inizio)[12].
Indicazioni definitive, o quanto meno univoche, circa l’effettiva efficacia deterrente del rimedio risarcitorio e l’attitudine di questo ad orientare l’attività dell’amministrazione all’obiettivo dell’efficienza non sono neppure desumibili da esperienze concrete e già compiute, come ad esempio quella della legge Pinto (24 marzo 2001, n. 89).
I dati quantitativi sembrerebbero avvalorare la tesi negativa. Alla crescita esponenziale dei procedimenti instaurati per ottenere la riparazione prevista dalla legge per i casi di violazione del termine ragionevole di durata del processo, arrivati al numero di 20.390, alla fine del 2006 con un incremento del 70% rispetto all’anno precedente, e rispetto ad un costo degli indennizzi, che si aggira intorno ai 41,5 milioni di euro (una delle più significative voci di spesa ed una delle principali cause di indebitamento del Ministero della giustizia) fa riscontro il dato che ci mostra come, dopo l’entrata in vigore della legge Pinto la durata dei giudizi non ha subito riduzioni.
Percorrendo l’argomento di tipo economico sopra ricordato, si potrebbe però osservare che proprio l’elevato numero dei procedimenti in corso, ed i relativi costi, contribuiscono a porre il problema della durata del processo al centro dell’attenzione del legislatore per indurlo a promuovere livelli di efficienza tali da porre l’amministrazione al riparo dall’obbligo di risarcimento.

Note

1.  Cfr. A. PETRETTO, La riforma della pubblica amministrazione in Italia secondo un approccio Industrial Organisation, in Mercato, concorrenza, regole, 1/2008, 88, il quale, muovendo dall’interpretazione in termini industriali dell’organizzazione pubblica ed applicando a questa criteri di misurazione di efficienza comunemente impiegati nei settori industriali, individua le diverse tipologie di inefficienza nei processi produttivi dei servizi pubblici e le possibili soluzioni di razionalizzazione e di riorganizzazione della p.a..

2.  Così ancora A. PETRETTO, op. loc. cit.

3.  G. NAPOLITANO – M. ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 91 individuano nell’assenza del segnale del profitto e dei parametri offerti dalla concorrenza, ovvero nell’assenza di quelli che possiamo definire i correttivi del mercato, la causa della complessità e della onerosità dei controlli sulla amministrazione pubblica.

4.  D’altro canto, se la sanzione fosse data e l’impresa pubblica agisse solo per conseguire un profitto, i servizi non economici non sarebbero svolti. La necessità di garantire che la produzione dei servizi pubblici avvenga in modo uniforme sul territorio e a condizioni uniformi per tutti gli utenti rappresenta perciò il limite al possibile utilizzo dello strumento dell’impresa e la ragione della insopprimibilità delle organizzazioni pubbliche, secondo A. PETRETTO, op. cit., 89.

5.  Cfr. A. GRAY – B. JENKINS, From public administration to public management: reassessing a revolution?, in Public administration, 1995, 7599.

6.  Cfr. G. NAPOLITANO – M. ABRESCIA, op. cit., 101, avvertono come la separazione tra definizione delle politiche pubbliche ed erogazione delle prestazioni possa essere perseguita anche in altri modi. Ad esempio può essere perseguita istituendo strutture distinte per lo svolgimento delle due distinte funzioni. La definizione degli obiettivi politici può essere affidata all’amministrazione centrale governativa, l’attività di erogazione delle prestazioni ad agenzie amministrative separate. E’ la strada che è stata seguita nel Regno Unito, con il programma del Next Steps Agencies, e anche, in parte in Italia, con la creazione di agenzie, separate dall’organizzazione ministeriale.

7.  Per una analisi degli effetti delle disposizioni introdotte dal decreto di attuazione sulla busta paga dei dipendenti pubblici, Super premi ai migliori, in Il Sole 34 ore, 18 maggio 2009.

8.  Incide poi negativamente sulla retribuzione dei dirigenti , ed in particolare sulla retribuzione di risultato, il dato relativo al rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti, secondo la previsione contenuta nell’art. 7, della l. 18 giugno 2009, n. 69. La norma attribuisce anche al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, il compito di adottare le linee di indirizzo per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di provvedere entro i termini fissati per ciascun procedimento.

9.  Sulla difficoltà di misurazione delle prestazioni pubbliche, cfr. M. LIPSKY, Street Level Bureaucracy: Dilemmas of the Individual in Public Services, New York- Russel Sage, 1980.

10.  Dovuto il richiamo a Silvio Spaventa e a quel passo del Discorso di Bergamo che individua i possibili rimedi “contro la corruzione dei nostri ordini politici ….. in buone e concrete leggi amministrative, in una bene ordinata giurisdizione del nostro diritto pubblico “, ma anche “nella stretta responsabilità degli amministratori”. Cfr. S. SPAVENTA, La politica della destra, in Raccolta di scritti, a cura di P. ALATRI, Torino, 1949, 103.

11.  Cfr. P. CIOCCA- I. MUSU, Economia per il diritto, Torino, 2006, 159.

12.  Queste le critiche alla utilizzazione dell’azione collettiva in funzione dell’efficienza dell’azione amministrativa sviluppate da C. GIORGIANTONIO, L’azione risarcitoria (individuale e collettiva) nei confronti della p.a.: uno strumento anche per l’efficienza dell’azione amministrativa?, in ApertaContrada,it, 22.12.2008 Dubbi circa l’efficacia deterrente del rimedio risarcitorio sono espressi pure da G. CARRIERO, L’azione collettiva risarcitoria: spunti di riflessione, sulla medesima Rivista, 19.12.2008.