Teorie della complessità, controversie plurisoggettive e contenzioso di serie

1. – Il contenuto minimo della nozione di complessità consiste nella interdipendenza delle parti di un tutto, ma l’interesse che il tema presenta nel dibattito scientifico moderno si concentra anzitutto sulla individuazione dei punti critici in presenza dei quali la reiterazione delle interazioni fra tali parti produce drastici cambiamenti nella struttura del sistema[1]. Sulla base di tali premesse, il problema della complessità soggettiva del processo civile, oltre a riguardare l’individuazione dei casi in cui più parti possono o magari debbono essere coinvolte in uno stesso procedimento, richiede di comprendere in quale misura la reiterazione delle interazioni fra le parti possa raggiungere qualcuno di questi punti critici.
Il primo tipo di compito è, allo stato attuale del dibattito scientifico in materia, soprattutto riepilogativo: l’ambito di applicazione della disciplina del litisconsorzio facoltativo e necessario è stato largamente esplorato sia nel dibattito dottrinale, sia nell’esperienza giurisprudenziale. Si può dunque rapidamente osservare che se si individua una alternativa strutturale fra il processo regolato dall’art. 102 c.p.c. e quello di cui all’art. 103 c.p.c., il criterio della sua emersione non si rinviene nella reiterazione delle interazioni fra le parti, ma dipende da scelte legislative largamente discrezionali, con cui si tenta di migliorare l’efficienza del sistema; il litisconsorzio risulta necessario laddove il legislatore ritenga che l’esposizione della pronuncia inter pauciores alle contestazioni dei pretermessi la renda eccessivamente fragile e quindi insufficientemente utile; rileva quindi, in realtà, un rischio di reiterazione delle interazioni – specificamente un rischio di dover ripetere la cognizione – valutato eminentemente ex ante (anche se il dato atteso è immaginato sulla base dell’esperienza pregressa)[2].
In termini analoghi si può poi discutere il fenomeno, apparso nella prassi giurisprudenziale e nell’analisi dottrinale, del c.d. litisconsorzio unitario, ossia dei casi in cui la partecipazione di più soggetti al giudizio è facoltativa, quanto all’instaurazione del procedimento, ma necessaria quanto al suo svolgimento: si allude con ciò al fenomeno della inscindibilità del litisconsorzio nelle fasi di gravame, cui si collega l’applicazione di una ulteriore parte della normativa sul litisconsorzio necessario con riferimento alla comunicazione fra le parti degli effetti degli atti compiuti da ciascuna di esse (ed alla correlata inidoneità degli atti dispositivi compiuti da alcune soltanto a produrre pienamente i loro effetti, nella misura in cui questi non possano comunicarsi alle altre senza il loro consenso, e non possano prodursi pienamente se non nei confronti di tutti). Anche in tali ipotesi, infatti, il valore dell’armonia delle decisioni giustifica regole speciali di coordinamento delle attività processuali a prescindere dal fenomeno della reiterazione delle interazioni fra gli elementi del sistema (salvo tutt’al più giustificarsi in base a una generica prognosi intorno ai rischi di instabilità della pronuncia)[3].

2. – Negli ultimi decenni sta però prepotentemente affermandosi un istituto il cui esame dal punto di vista della moderna teoria della complessità sembra poter risultare assai significativo, perché assume il carattere della trasformazione drastica, in direzione ordinante e semplificante, in occasione di punti critici raggiunti tramite una reiterazione di relazioni semplici, ma interdipendenti: si tratta dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei.
L’istituto si è sviluppato soprattutto negli Stati Uniti, specialmente a seguito della riforma del 1966 della disciplina federale delle class actions[4], e viene colà ascritto alla più ampia categoria della complex litigation (ove però la nozione di complessità è meramente complementare a quella di semplicità, senza particolare riferimento alle teorie scientifiche di cui si va discorrendo)[5]. Tuttavia esso si va ormai diffondendo in quasi tutti gli ordinamenti di common law, ed è in via di penetrazione anche nei più avanzati sistemi di derivazione romanistica[6].
La sua principale giustificazione muove dalla constatazione che nei conflitti giurisdizionali intorno agli illeciti nei confronti di ampie pluralità di soggetti, intensificatisi con l’avvento della produzione di massa, l’accertamento costituisce un bene inescludibile e inconsumabile per ciascuna delle vittime, sicché ai fini del suo conseguimento il mercato fallisce: il coordinamento spontaneo degli interessati, infatti, è razionale solo se il gruppo è coeso o piccolo, o se la credenza nella propensione altrui alla cooperazione viene alimentata artificialmente[7]. Il conseguimento del bene in via individuale rappresenta dunque in molte occasioni un gesto di inesigibile eroismo, anche perché per l’autore dell’illecito il valore del provvedimento è assai superiore e consente persino di investire nel mero incremento dei costi non ripetibili della lite oltre il limite del valore della causa per la vittima[8].
La sua principale caratteristica, invece, consiste nel permettere che tutti i diritti individuali lesi dall’illecito siano dedotti in uno stesso giudizio su iniziativa di un campione rappresentativo del gruppo, senza bisogno che i suoi componenti gli conferiscano esplicito mandato – ma subordinatamente a un provvedimento endoprocessuale abilitativo in cui si verifica soprattutto l’assenza di conflitti d’interesse e la disponibilità delle risorse tecniche e finanziarie indispensabili per vincere la causa -, e che in caso di accoglimento della domanda gli onorari di difesa si liquidino anche in ragione dell’ampiezza del gruppo stesso. Si configura quindi un incentivo a promuovere il coordinamento del gruppo in capo al soggetto meglio qualificato per valutare la probabilità di accoglimento della domanda: l’avvocato che assume il patrocinio del campione rappresentativo, della cui competenza professionale si consente un uso di tipo imprenditoriale – gravando di fatto su di lui il principale rischio economico dell’esito del giudizio – allo scopo di conseguire consistenti recuperi di efficienza del sistema dell’amministrazione della giustizia.

Tale recupero di efficienza si presenta chiaramente come il risultato dell’applicazione di uno strumento di gestione della complessità: l’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei produce un effetto ordinante e semplificante, assicurando la standardizzazione della risoluzione del conflitto seriale e l’eliminazione delle ripetizioni. Gli effetti riallocativi, tuttavia, possono essere più o meno drastici a seconda di almeno due variabili della disciplina dell’istituto: a seconda, cioè, se siano o meno possibili rispettivamente il recesso individuale dall’azione collettiva e la conciliazione dell’azione collettiva come tale.

3. – Gli effetti della prima variabile sono stati sperimentati ampiamente negli Stati Uniti: il diritto positivo, infatti, contempla entrambe tali possibilità. Naturalmente l’inammissibilità del recesso individuale sacrifica la garanzia del contraddittorio dei singoli componenti del gruppo, e tale soluzione viene adottata esplicitamente in quelle ipotesi in cui la decisione deve essere unitaria in vista della portata inibitoria del provvedimento richiesto o del rischio di incapienza del convenuto.
Tuttavia l’esame della prassi rivela l’esistenza di un’ulteriore sfera di ipotesi: quelle in cui risulti antieconomica l’azione in via individuale. Laddove infatti le singole pretese siano di ammontare così ridotto da non superare i costi non ripetibili dell’azione in via individuale, la possibilità di recedere in via individuale dall’azione collettiva tende a non essere riconosciuta, o ad esserlo solo formalmente, per esempio prevedendo che gli interessati non siano informati individualmente della pendenza del procedimento; si è suggerito pertanto di denominare queste ipotesi come azioni collettive “olistiche”, da contrapporre alla complementare categoria delle azioni collettive “discrete”[9].
Gli effetti della seconda variabile sono invece ancora tutti da sperimentare: soltanto in dottrina, infatti, si è proposto di stabilire che l’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei non sia passibile di definizione in via conciliativa[10]; nel diritto positivo, infatti, la conciliazione è efficace nei confronti dei componenti passivi del gruppo, salvo essere subordinata a un’omologazione giudiziale in cui si verifichi la sua equità. È attraverso la conciliazione collettiva, però, che si producono i più drastici cambiamenti della struttura del sistema: si rende possibile la configurazione di azioni collettive “fluide” e persino “virtuali”.
Nella prima ipotesi il gruppo viene definito in modo cronologicamente aperto, sicché la sua composizione soggettiva può variare nel corso del giudizio, e la tutela può giovare a soggetti diversi da quelli danneggiati[11]. Nella seconda, sono ricompresi nel gruppo soggetti non ancora identificabili al momento della conclusione del giudizio, in particolare perché i danni da essi subiti si trovano in fase di latenza, sicché alcune delle vittime possono perdere l’opportunità di agire in via individuale anche in casi in cui tale opzione non sarebbe antieconomica (e si tende pertanto ad ammettere che il diritto di recesso dall’azione collettiva possa esercitarsi, in forma limitata, anche a seguito della effettiva maturazione del danno)[12].
Ai fini dell’introduzione nell’ordinamento italiano dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei, assai dibattuta in tempi recenti[13], occorre dunque tener conto di come gli effetti riallocativi dell’istituto dipendano soprattutto dalla possibilità di conciliare la lite, e di come rispetto a tale eventualità si ponga assai seriamente il problema della protezione delle garanzie individuali dei componenti passivi del gruppo delle vittime della condotta illecita del convenuto. Escludere tale possibilità, e concedere sempre al componente del gruppo il diritto di recedere dall’azione collettiva, sembra essere la maniera migliore per assicurare in modo efficiente pienezza agli effetti di deterrenza delle condotte illecite ascrivibili al sistema della responsabilità civile[14], senza con ciò sacrificare le garanzie processuali fondamentali.

Note

1.  Per un’esposizione divulgativa di tale dibattito v. già, per es., M.M. Waldrop, Complexity. The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos, New York, 1992, anche in tr. it. Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, Torino, 1995; più di recente cfr., per es., M.C. Taylor, The Moment of Complexity. Emerging Network Culture, Chicago, 2001, anche in tr. it. Il momento della complessità. L’emergere di una cultura a rete, Torino, 2005; da ult. cfr., per un’amplissima bibliografia, A. Falzea, Complessità giuridica, in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2007.

2.  Per un’ampia analisi dell’istituto in questa prospettiva si può rinviare già alla monografica di G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979.

3.  Sul dibattito in argomento, e per l’elaborazione dell’ulteriore concetto del litisconsorzio reciproco, v. già l’ampia trattazione di S. Menchini, Il processo litisconsortile. Struttura e poteri delle parti, I, Milano, 1993.

4.  In proposito si permetta di rinviare all’esame già svolto in A. Giussani, Studi sulle “class actions”, Padova, 1996.

5.  Basti in proposito rinviare alla trattazione elaborata dal Federal Judicial Center, Manual for Complex Litigation 4th, Washington, 2004.

6.  Per la più recente trattazione comparatistica sul punto cfr. rispettivamente L.S. Mullenix, New Trends in Standing and Res Judicata in Collective Suits. General Report – Common Law, e A. Pellegrini Grinover, New Trends in Standing and Res Judicata in Collective Suits. General Report – Civil Law, entrambi in A. Pellegrini Grinover e P. Calmon, Direito processual comparado. XIII World Congress of Comparative Law, Brasilia, 2007; si vis, v. anche A. Giussani, Azioni civili collettive risarcitorie, Bologna, 2008.

7.  In materia è classico il riferimento al lavoro di M. Olson, The Logic of Collective Action2, Cambridge, 1971, anche in tr, it., Logica dell’azione collettiva, Milano, 1981, ed alle ulteriori elaborazioni di R. Axelrod, The Evolution of Cooperation, New York, 1984, anche in tr. it., Giochi di reciprocità, Milano, 1985; più di recente v., per una rassegna di altri sviluppi teorici, D.M. Kahan, The Logic of Reciprocity. Trust, Collective Action, and Law, in 43 Michigan Law Review, 2003, p. 71 ss.

8.  Questo rilievo si ritrova già nel celebre contributo di M. Galanter, Why the “Haves” Come Out Ahead: Speculations on the Limits of Legal Change, in Law & Society, 1974, p. 95 ss., anche in tr. it., Perché gli abbienti si avvantaggiano. Riflessioni sui limiti del riformismo giuridico, in Pol. dir., 1976, p. 307 ss.; i dubbi sul punto formulati da R.A. Posner, Economic Analysis of Law, Boston, 1972, p. 345 s. (ma non più nelle edizioni successive) non sembrano poter sopravvivere all’osservazione di tale dinamica nella realtà applicativa, compiuta, per es., da R.L. Rabin, A Sociolegal History of the Tobacco Tort Litigation, in 44 Stanford Law Review, 1992, p. 853 s.

9.  V., per questa scelta lessicale, e per i relativi riferimenti, Giussani, Studi, cit., p. 260 ss.

10.  V. già Giussani, Studi, cit., p. 410 ss., e di recente anche una parte della dottrina americana (cfr., per es., J. Bronsteen e O. Fiss, The Class Action Rule, in 78 Notre Dame Law Review, 2003, p. 1443 ss.; J. Bronsteen, Class Action Settlements: An Opt-In Proposal, in University of Illinois Law Review, 2005, p. 903 ss.).

11.  V. i riferimenti indicati e l’analisi svolta già in Giussani, Studi, cit., p. 269 ss.

12.  V. già le considerazioni compiute in Giussani, Studi, cit., p. 276 ss.; sui più recenti sviluppi della giurisprudenza in materia v. anche R.A. Nagareda, Autonomy, Peace, and Put Options in the Mass Tort Class Action, in 115 Harvard Law Review, 2002, p. 747 ss., e da ult. la ricerca svolta dall’American Law Institute, Principles of the Law of Aggregate Litigation. Discussion Draft No. 2, Philadelphia, 2007, p. 253 ss.

13.  Sulle proposte in tal senso cfr. già, per es., M. Taruffo, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, pp. 529 ss.; L.P. Comoglio, Aspetti processuali della tutela del consumatore, in Riv. dir. proc., 2007, p. 307 ss.; S. Chiarloni, Per la chiarezza delle idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, pp. 567 ss.; sui loro più recenti sviluppi v. A. Giussani, L’azione collettiva risarcitoria nel nuovo art. 140 bis c.cons., in Riv. dir. proc., 2008, pp. 1227 ss.

14.  In proposito sia concesso rinviare ad A. Giussani, Azioni collettive, danni punitivi e deterrenza dell’illecito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, pp. 239 ss.