La responsabilità politica e la responsabilità giuridica nel prisma del procedimento amministrativo

1. Una premessa necessaria sui fondamenti della legalità e del “bene comune”.

Una recente occasione congressuale[1] ha sollecitato un approfondimento sul tema dei rapporti tra la responsabilità (politica e giuridica) delle pubbliche Amministrazioni e procedimento amministrativo. La sollecitazione, ed è questa la ragione della pubblicazione di questa riflessione in una aperta contrada, è dovuta ad una pretesa esigenza di “cautela” avvertita da studiosi di altre discipline rispetto alle posizioni espresse in tema da quella che si è metaforicamente definita come la “parrocchia degli amministrativisti”[2].
A questo riguardo può rilevarsi, proseguendo con la metafora, che a ben vedere esistono più parrocchie di amministrativisti, talvolta anche molto diverse tra loro ed afferenti – potrebbe dirsi – a differenti Diocesi e soprattutto ispirate da diversi Carismi. Occorre, tuttavia, ribadire che le varie Parrocchie e le varie Diocesi degli amministrativisti costituiscono, pur con le loro diversità[3], una sola Chiesa, la quale le riunisce tutte sotto l’egida di un principio primo o se si vuole di un dogma fondamentale, che viene riconosciuto ed osservato con ortodosso scrupolo da tutti gli amministrativisti: il principio di legalità[4].
Fuor di metafora, la legge è la manifestazione della sovranità popolare. Secondo la cultura dell’amministrativista, dunque, l’interesse pubblico – o, per utilizzare la terminologia della relazione di taglio filosofico richiamata, il “bene comune”, il Gemeinwhol della Cameralistica tedesca[5] – è sempre e soltanto quello indicato dalla legge, pur a fronte del principio di sussidiarietà orizzontale e pur a fronte dell’innegabile ruolo svolto dalle formazioni e dai gruppi sociali per il soddisfacimento di interessi collettivi[6].
Nessuno ignora che la legge, talvolta (e soprattutto negli ultimi tempi), sembra perdere i requisiti della generalità e dell’astrattezza che dovrebbero esserle propri; e ciò può essere letto come un indice della “crisi della legge”[7]. Ma per l’amministrativista (e, più in generale, per ogni giurista positivo) la legge resta sempre la principale e più significativa espressione della volontà popolare e, quindi, pur con tutti i limiti che possono caratterizzarla, è sempre e soltanto rispetto ad essa che si svolge – o, meglio, che deve svolgersi – tutta l’attività delle Amministrazioni pubbliche[8].
Ora, la legge non soltanto individua l’interesse pubblico (ovvero, secondo la terminologia poc’anzi adoperata, il “bene comune”) ma incarica le pubbliche Amministrazioni di provvedere alla sua cura in concreto. Proprio in ragione di ciò – ed a tale precipuo fine – la legge stessa non può non conferire alle pubbliche Amministrazioni poteri autoritativi, ponendole in una posizione di specialità rispetto ai soggetti privati dell’ordinamento[9].

2. (Segue): dall’autorità alla responsabilità.

Questa premessa potrebbe apparire superflua[10], ma non può e non deve essere obliterata nell’affrontare il tema della responsabilità politica e della responsabilità giuridica nel prisma del procedimento amministrativo.
Quest’ultimo, invero, è il luogo in cui l’interesse pubblico (o il “bene comune”), previsto dalla legge in termini soltanto astratti, viene ad essere concretizzato in ordine alle singole realtà effettuali. Esso è, in altri termini, il luogo in cui si determina il passaggio dalla fattispecie astratta alla fattispecie concreta dell’interesse pubblico. Ed è per questo che Franco Scoca ha efficacemente definito il regolamento concreto sull’assetto degli interessi che deriva dal procedimento alla stregua di una “fattispecie precettiva”[11]. È proprio attraverso il procedimento amministrativo che si realizza l’emersione di tutti gli interessi – pubblici e privati – che vengono in considerazione ai fini della “giusta” decisione[12] e che saranno oggetto della ponderazione comparativa che in modo unilaterale sarà svolta dalle pubblica Amministrazione, titolare del diritto di dire l’ultima parola[13].
E’ per questa stessa ragione che la pubblica Amministrazione è – e non può che essere – autorità e che i soggetti privati si pongono, rispetto ad essa, in posizione di inevitabile soggezione. Soltanto la distanza dell’Amministrazione dai titolari degli interessi “particolari”, intesa come non confusione dell’Amministrazione con i titolari delle innumerevoli situazioni giuridiche soggettive coinvolte da una decisione amministrativa, consente l’imparziale assunzione della più corretta ed efficace sintesi dell’interesse pubblico (del “bene comune”) come ponderazione dei molteplici interessi in gioco. In questa essenziale solitudine del potere autoritativo, in questa sua ricercata distanza dagli interessi particolari risiede l’essenza stessa dell’Amministrazione pubblica come istituzione incaricata della esecuzione concreta della legge o, in ultima analisi, della volontà popolare sul bene comune.
Ed è proprio in ragione del compito di cui l’Amministrazione è investita, quello di assicurare la corretta esecuzione alla legge e, mediatamente, l’effettività alle scelte politiche alla legge sottese, che origina l’esigenza per la stessa Amministrazione di rendere il conto del suo operato. Resa del conto che rispetto all’attuazione della scelta politica trova suo fondamento nel principio di responsabilità politica dell’esecutivo, e mediatamente dell’Amministrazione, davanti all’istanza parlamentare (di cui all’art. 95 Cost.) e che, rispetto all’attuazione del precetto legale, trova suo cardine nel principio di responsabilità giuridica delle pubbliche Amministrazioni di cui è espressione (assai importante, ma non esclusiva) l’art. 28 Cost.[14].
Queste considerazioni, si badi, non devono affatto apparire come “neo-reazionarie”.
Da esse, infatti, muovevano anche grandi Maestri di democrazia e di libertà nel diritto amministrativo, come Feliciano Benvenuti e Giorgio Berti. Le loro idee ed i loro insegnamenti (in ordine, ad esempio, alla coamministrazione, o alla massima condivisione delle scelte tra soggetti pubblici e soggetti privati ed alla condivisione delle relative responsabilità, ovvero, ancora, alla sussidiarietà dei singoli e delle formazioni e dei ruppi sociali rispetto ai soggetti pubblici) hanno sempre avuto come presupposto il riconoscimento della superiorità della pubblica Amministrazione come espressione dell’autorità costituita, la quale ultima si legittima in quanto tale – nel pensiero degli stessi Maestri – proprio perché espressione prima del popolo sovrano[15].

3. La responsabilità politica e la responsabilità giuridica.

In questo contesto si innesta il discorso sulla responsabilità, che può assumere le due concorrenti declinazioni: in termini di responsabilità politica e di responsabilità giuridica.
Quanto alla responsabilità politica, come si è accennato ed è del resto ben noto, l’autorità si pone e si giustifica in quanto è tenuta a “rendere il conto” alla collettività che ha legittimato democraticamente l’autorità medesima: in ciò risiede tutta la teorica della responsabilità politica[16].
Quanto, invece, alla responsabilità giuridica, essa si configura come un sistema peculiare di garanzia delle stesse norme giuridiche che, insieme ad altri istituti di garanzia (come, ad esempio, gli istituti della invalidità degli atti amministrativi[17]), concorre ad assicurarne l’effettività in ordine alla “giusta” determinazione in concreto dell’interesse pubblico. Si tratta, in altri termini, di uno strumento di “secondo grado” rispetto alla responsabilità politica, posto a tutela del principio di legalità e che obbliga la pubblica Amministrazione ed i pubblici agenti non soltanto a “rendere il conto” nei confronti del popolo sovrano, ma anche ad essere responsabili nei confronti dei diretti destinatari dell’attività amministrativa, sotto il profilo della tutela delle loro situazioni giuridiche soggettive[18].
Le due declinazioni della responsabilità – quella politica e quella giuridica – costituiscono, da un lato, un fattore di legittimazione del potere pubblico dell’autorità e, dall’altro lato, un fattore di garanzia e di rafforzamento del vincolo di legalità della pubblica autorità nei confronti dei destinatari degli atti amministrativi.
Ove si condividano queste considerazioni – sì banali, ma altrettanto necessarie – si può comprendere il ruolo del procedimento amministrativo rispetto alle due distinte figure di responsabilità.
Posto che il procedimento amministrativo è il luogo in cui viene esercitata e meglio si esplica la funzione amministrativa (il riferimento è ancora al pensiero di Benvenuti[19]), occorre chiedersi quale sia il ruolo svolto dal principio di responsabilità nell’ambito di esso. Può rilevarsi, a questo riguardo, che la responsabilità viene in considerazione sia sotto il profilo organizzativo sia sotto il profilo dell’attività.
Il primo profilo è strettamente connesso con la responsabilità politica. I commi 1 e 2 dell’art. 95 della Costituzione -mai attuali come oggi – dispongono, rispettivamente, che «il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri» e che «i Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri». Si tratta, come è noto, di principi validi per tutti gli organi amministrativi che direttamente o indirettamente traggono la propria legittimazione da parte del popolo sovrano[20].
Come corollario dell’art. 95 della Costituzione, l’art. 4, co. 3, lett. e), della legge n. 59 del 1997 prevede tra i principi dell’organizzazione amministrativa quello della responsabilità ed unicità dell’organizzazione medesima, che è poi connesso alle regole sulla responsabilità dirigenziale e sui rapporti tra politica e amministrazione.
Altro corollario dell’art. 95 Cost. è poi rappresentato dall’intero capo II della l. n. 241 del 1990, che disciplina, come è noto, il responsabile del procedimento amministrativo. Le disposizioni in esso contenute – ed, in particolare, quelle relative alla individuazione delle unità organizzative ed ai compiti del soggetto in concreto responsabile del procedimento amministrativo – concorrono a definire il sistema di responsabilità politica (e non solo giuridica) della pubblica Amministrazione e dei suoi agenti. Esse, infatti, sono finalizzate non tanto alla individuazione del soggetto responsabile dell’attività amministrativa dal punto di vista strettamente giuridico, cioè in termini di legittimità o illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati o di liceità od illiceità delle condotte tenute, quanto, piuttosto, alla individuazione di quei soggetti che assumono una responsabilità (lato sensu) politica dell’attività amministrativa nel suo stesso farsi.
Ne è conferma la circostanza per cui, sin quando è in atto il procedimento amministrativo, e quindi non è stato ancora adottato il provvedimento finale, le uniche responsabilità ipotizzabili – salvo, beninteso, i casi di silenzio inadempimento o di inerzia colpevole – sono, per l’appunto, le responsabilità politiche. Ed in questa stessa ottica deve essere letta anche la funzione “comunicativa” che il responsabile del procedimento è tenuto a svolgere nei confronti dei soggetti coinvolti dall’azione amministrativa[21].
Vi sono, viceversa, altre norme che riguardano precipuamente la responsabilità giuridica. Quella fondamentale è contenuta nell’art. 28 Cost., a mente del quale, come è noto, «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici»[22].
I suoi principali corollari applicativi sono contenuti nell’art. 1, co. 1, e nell’art. 2 della l. n. 241 del 1990. L’art. 1, co. 1, laddove afferma che la pubblica Amministrazione persegue i fini determinati dalla legge, ribadisce il principio di legalità. L’art. 2, dal canto suo, laddove afferma che ogni procedimento amministrativo deve essere concluso mediante la adozione di un provvedimento amministrativo espresso ed entro un termine definito, ribadisce il principio di doverosità dell’azione amministrativa, che rappresenta il naturale e necessario completamento del principio di legalità[23].
Questi sono i pilastri della responsabilità giuridica della pubblica amministrazione e dei suoi agenti, la quale, in realtà, non trova altre norme che la disciplinano, salve, ovviamente, le norme di giustizia amministrativa contenute negli art. 7, co. 3, della l. n. 1034 del 1971 e nell’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, le quali, a seguito di una nota evoluzione del nostro ordinamento, ammettono ora anche la tutela risarcitoria degli interessi legittimi (ed, invero, il termine “diritti”, contenuto nel richiamato art. 28 della Costituzione, deve essere inteso, oggi, in senso lato, comprensivo, cioè, anche degli interessi legittimi)[24].
Vi è, dunque, un duplice circuito di responsabilità: politica e giuridica.

4. La responsabilità politica nel prisma del procedimento amministrativo.

Occorre a questo punto interrogarsi sul come si ponga il procedimento amministrativo rispetto a questo duplice circuito, su quali siano i suoi limiti attuali e le sue concrete potenzialità rispetto alle due declinazioni del principio di responsabilità.
Secondo molti, da un lato, il principio di responsabilità politica rispetto all’esercizio puntuale dell’azione amministrativa è scarsamente percepito (ed anzi è tendenzialmente assente); dall’altro lato, si tende ad enfatizzare – forse oltre la giusta misura – il peso e gli effetti patologici della responsabilità giuridica per l’esercizio dell’attività amministrativa.
Si dice che proprio la affermazione più piena del principio della responsabilità giuridica nell’esercizio della attività autoritativa costituisce una sorta di spauracchio per l’esercizio del pubblico potere da parte degli agenti amministrativi. Il peso anche patrimoniale della responsabilità giuridica dei pubblici agenti costituirebbe strumento di freno e di condizionamento occulto per un tempestivo ed efficace esercizio puntuale dell’azione amministrativa.
Per contro, nessuno si preoccupa della esigenza di “rendere il conto politico” dell’attività amministrativa svolta. Ciò perché, da un lato, la cesura tra dirigenti amministrativi e vertici politici permette – sia consentita l’espressione – di chiudere gli occhi a fronte delle responsabilità politiche, ipotizzando che l’esercizio della funzione amministrativa dia luogo ad attività sostanzialmente vincolata e che come tale sfugge ad una valutazione in termini “politici”. Laddove, beninteso, per “politica” si allude alla discrezionalità amministrativa; e dall’altro lato, per il fatto che in Italia – per sua tradizione, purtroppo – la responsabilità politica produce assai raramente “sanzioni politiche”[25].
Il procedimento amministrativo, invero, viene assai spesso considerato come una sorta di strumento alternativo – ovvero come una sorta di giustificazione alternativa – all’assenza di una possibilità concreta di far valere la responsabilità politica.

5. (Segue): l’esempio paradigmatico dei procedimenti delle Amministrazioni indipendenti.

Un esempio assai significativo può essere rappresentato dai procedimenti delle così dette Autorità amministrative indipendenti, le quali, come è noto, sono figure soggettive pubbliche che, come giustamente hanno rilevato in termini critici taluni costituzionalisti sin da anni ormai lontani[26], risultano sottratte al vincolo di responsabilità politica consacrato nell’art. 95, co. 1 e 2, della Costituzione.
Generalmente si ritiene che, tutto sommato, queste particolari figure non pongano seri problemi di legittimità costituzionale, proprio perché il deficit democratico che le caratterizza verrebbe “compensato” dal procedimento amministrativo. Si afferma, infatti, che i procedimenti di loro competenza, essendo caratterizzati da una accentuata articolazione, dalla garanzia del pieno contraddittorio, scritto ed orale, con i soggetti interessati e da una forte esaltazione del principio di difesa (spesso sulla base di moduli così detti paragiurisdizionali), sopperiscono alla assenza di legittimazione democratica delle Autorità medesime[27].
Ebbene, una tale giustificazione non appare affatto condivisibile, né dal punto di vista teorico né dal punto di vista degli effetti pratici che produce.
Evidentemente la legittimazione derivante dalla partecipazione procedimentale non è una legittimazione di tipo politico. Essa può essere definita come una forma di “cattura del consenso” ovvero come una forma di partecipazione collaborativa: in realtà, è una forma di collaborazione oppositiva, che sostanzialmente rappresenta una ipotesi di tutela anticipata dei diritti e degli interessi dei singoli coinvolti nel procedimento, ma non – si badi bene – degli interessi della collettività (recte: degli interessi pubblici) al cui presidio è posta la responsabilità politica. Il procedimento, quindi, non può costituire, in sé e per sé, strumento di legittimazione democratica, né valere come rimedio al deficit democratico che diffusamente affligge le Autorità amministrative indipendenti[28].
E questa conclusione, a ben vedere, vale non soltanto con specifico riferimento alle Autorità amministrative indipendenti, ma anche, seppure in misura diversa, alle pubbliche Amministrazioni tout-court, le quali ultime sono sempre assistite, direttamente o indirettamente, da varie forme di legittimazione politica: anche in loro confronto sono previste le garanzie procedimentali, ma tali garanzie non influiscono affatto sulla necessità che le “tradizionali” pubbliche Amministrazioni “rendano il conto politico” delle attività da esse svolte.

6. La responsabilità giuridica ed il procedimento amministrativo.

Ne deriva, dunque, che il procedimento può e deve essere preso in considerazione esclusivamente rispetto alla responsabilità giuridica, perché esso costituisce – con l’osservanza delle forme che la legge impone[29] – la garanzia della evidenza del corretto esercizio della funzione.
Il procedimento consente di “vedere” la funzione amministrativa nel suo farsi, di verificarne la linearità, la correttezza e la completezza[30]; consente, quindi, di rendere ostensibile ai più la legittimità del provvedimento amministrativo finalmente adottato. Esso si risolve, dunque, in garanzia di evidenza della legittimità o illegittimità della funzione amministrativa ed, al contempo, in luogo di riscontro della eventuale responsabilità giuridica in sede giurisdizionale, tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto il profilo soggettivo (sotto il profilo, cioè, della colpa dell’amministrazione, normalmente intesa, come è noto, in termini non psicologici, ma di “colpa di apparato”)[31].
Questo, invero, appare il luogo (o se si vuole il momento) di collegamento fondamentale tra il procedimento amministrativo e responsabilità giuridica della pubblica amministrazione e dei suoi agenti. E’ infatti nel procedimento che si coglie al meglio il nesso di imputazione della responsabilità giuridica (nei suoi elementi costitutivi) per gli effetti eventualmente dannosi (ed ingiusti) che del provvedimento che dal procedimento scaturisce[32].

7. (Segue): la responsabilità dell’Amministrazione nell’attività consensuale.

Sempre sotto il profilo della responsabilità giuridica occorre, poi, accennare al tema della consensualità nell’ambito del procedimento amministrativo, che si incentra, come è noto, sulle disposizioni contenute nell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, ove sono previsti gli accordi integrativi e gli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo[33].
Occorre ribadire, diversamente da quanto si è assunto da taluno[34], il luogo della consensualità nell’ambito del procedimento amministrativo non corrisponde affatto al luogo della contrattualità, intesa come principale esplicazione dell’autonomia privata.
Su questo punto, non si può non concordare con la celebre affermazione di Giorgio Oppo, secondo cui non bisogna chiedere al diritto privato, anche quando viene utilizzato come strumento di cura in concreto dell’interesse pubblico, qualcosa di più o qualcosa di diverso da quello che esso può offrire[35]: per quanto qui interessa, il diritto privato non potrà mai regolare integralmente un “procedimento amministrativo a mezzo di accordi”.
Gli accordi previsti dall’art. 11 della l. n. 241 del 1990, infatti, rappresentano strumenti innovativi diretti a regolare la “fattispecie precettiva”, la quale ultima, però – occorre evidenziare bene – rimane pur sempre tale: ciò appare evidente non soltanto nel caso degli accordi integrativi del contenuto discrezionale del provvedimento amministrativo, rispetto ai quali, per l’appunto, il provvedimento amministrativo rimane, ma anche in riferimento agli accordi sostitutivi, anche in relazione ai quali, come è noto, è previsto, a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, che la loro stipulazione sia preceduta da una apposita determinazione unilaterale dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.
È evidente che la posizione della pubblica Amministrazione che procede alla conclusione degli accordi è totalmente diversa dalla posizione di autonomia negoziale del privato. Essa, ai sensi dell’art. 11, co. 1, della l. n. 241 del 1990, può, sì, procedere alla conclusione di accordi, ma «in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse» (lo stesso vincolo di scopo previsto dall’art. 1 della l. n. 241 del 1990) e «senza pregiudizio dei diritti dei terzi». Inoltre, ai sensi del co. 2 del medesimo articolo, agli accordi si applicano, sì, i “principi” – si badi: soltanto i principi – del codice civile in materia di obbligazioni e di contratti, ma soltanto nei limiti della residualità e della compatibilità rispetto a quanto disposto dalla stessa l. n. 241 del 1990[36].
Anche la consensualità a mezzo di accordi, a ben vedere, costituisce strumento non già di legittimazione democratica dell’agire della pubblica Amministrazione, non già di coamministrazione (come pure è stato scritto) o di amministrazione congiunta o paritaria degli interessi della collettività, ma una forma – senz’altro auspicabile e da incoraggiare – di previa accettazione (e, quindi, di previa “cattura”) del consenso o, detto altrimenti, di previa accettazione degli effetti del provvedimento finale da parte dei soggetti privati interessati.
Ci si deve allora domandare come incida tutto ciò sulla responsabilità giuridica.
Incide in modo evidente: la accettazione da parte dei soggetti privati interessati degli effetti dell’azione amministrativa, anche degli effetti non favorevoli nei loro confronti, implica una sorta di rinunzia all’eventuale accertamento di patologie o di illegittimità che sarebbe invece possibile in caso di impugnazione del provvedimento unilaterale non “integrato” o “sostituto” dall’accordo, ed al quale potrebbe conseguire la responsabilità giuridica. Peraltro, vi è pur sempre la posizione dei terzi eventualmente pregiudicati dall’accordo, che potranno far valere la illegittimità o la illiceità dell’accordo medesimo e domandare anche la tutela risarcitoria.
Proprio in ragione di ciò, il “consenso” deve essere considerato come strumento non sempre da esaltare: si pensi, ad esempio, a quello strano procedimento di accettazione degli impegni che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in tempi recenti così frequentemente utilizza[37]. In questi casi il procedimento di accettazione dell’impegno tende ad utilizzare o a sollecitare un consenso. Ma non si crede si possa essere certi che in questi procedimenti la cura dell’interesse pubblico sia effettivamente garantita. Non si può essere certi, in altri termini, che la cura dell’interesse del mercato e del suo naturale equilibrio concorrenziale a mezzo di negoziazione di impegni sia effettivamente tutelato in modo pieno.
Né si crede che ciò costituisca uno strumento di esplicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Il principio di sussidiarietà orizzontale, infatti, postula – anche secondo la dottrina sociale della Chiesa cattolica[38] – la sostituzione integrale dei soggetti privati ai soggetti pubblici in ordine alla cura in concreto degli interessi pubblici, non già una azione dei soggetti privati congiunta od integrata con l’azione dei pubblici poteri, sotto i profili, per quanto qui interessa, dell’adozione di provvedimenti amministrativi “partecipati” o di accordi di diritto pubblico in luogo dei provvedimenti. Tale principio, in altri termini, postula l’intervento dei soli soggetti privati, ritenuto di per sé pienamente idoneo a soddisfare l’interesse pubblico, e, quindi, pone una alternativa netta tra pubblico e privato, al di fuori di qualsivoglia consensualità pattizia[39].
Tutto ciò ha ricadute importanti con riferimento al sistema della responsabilità giuridica, giacché rende chiaro che quest’ultima deve essere imputata, nel caso degli accordi procedimentali, pur sempre alla pubblica Amministrazione, in quanto è pur sempre ad essa -e non ai soggetti privati parti (o proponenti) degli accordi – che vengono riservate le determinazioni finali ed autoritative in ordine al modo di cura in concreto degli interessi pubblici.

8. Conclusioni.

Da quanto si è cercato di illustrare in queste pagine, la cura in concreto dell’interesse pubblico, di quello che si è detto in tempi passati Gemeiwhol, è compito esclusivo dell’Autorità amministrativa che ne assume la cura in ragione di una legittimazione che le deriva dalla legge e che nella legge rinviene il suo limite ultimo, ciò al di là di ogni possibile occasione consensuale, di partecipazione, di contatto o di rapporto dei privati con l’Amministrazione[40].
La essenziale solitudine del potere autoritativo, e la sua necessaria distanza dagli interessi particolari, tuttavia, rendono il procedimento amministrativo il naturale ed il principale luogo di confronto con gli interessi dei singoli (se non l’unico). E’ nel procedimento che gli interessi privati si confrontano fra loro e con quelli propri di altri enti e soggetti pubblici, consentendo così all’Amministrazione di assumere la propria (unilaterale) decisione finale quanto alla ponderazione e sintesi ultima del Gemeiwhol.
Nel prisma del procedimento amministrativo, pertanto, la responsabilità giuridica e la responsabilità politica costituiscono i più significativi e forse gli unici strumenti di resa del conto dell’esercizio “solitario” del potere, e come tali sono al contempo i fattori di maggiore garanzia di aderenza del treno delle decisioni amministrative unilaterali sui binari della legalità.

Note

1.  Il riferimento è al Convegno su «Il procedimento e le responsabilità», organizzato nel maggio 2008 dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo» nel Teatro della Fortuna di Fano.

2.  Così L. Franzese nel suo Intervento al Convegno di cui si è detto supra n. 1, le cui posizioni sono ampiamente illustrate in Ordine economico ed ordinamento giuridico. La sussidiarietà delle istituzioni, Cedam, Padova, 2004.

3.  Molti ricorderanno la disputa che vide contrapposti S. Cassese (Alla ricerca del sacro Graal. A proposito della Rivista diritto pubblico, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1995, 796 ss.) ed (A. Orsi Battaglini, Il puro folle e il perfetto citrullo (discutendo con Sabino Cassese), in Dir. pubbl., 1995, pagg. 639-649, ora in Id., Scritti giuridici, vol. I, Giuffré, Milano, 2007, 1519 e ss).

4.  Sul quale, nella sterminata dottrina giuspubblicistica, più di recente si segnalano B. Sordi, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia. La prospettiva storica, in Dir. Amm., 2008, 1 ss.; F. Merusi, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, in Dir. Pubbl., 2007, 427 ss.; A. Romano, Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, 111 ss.; A. Travi, Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 91 ss.; G. U. Rescigno, Sul principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 247 ss.

5.  Sul punto, di recente, il volume a cura di H. Münkler e K. Fischer, Gemeinwohl und Gemeinsinn im Recht. Konkretisierung und Realisierung öffentlicher Interessen, Akademie Verlag, Berlin, 2002 (vol. III).

6.  Senza ignorare, ma senza neppure sopravvalutare, l’incidenza sulla legge della giurisprudenza ed in particolare della giurisprudenza costituzionale. Rischio che pare corrano alcuni pur brillanti approfondimenti della scienza costituzionalistica. Si veda da ultimo G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Il Mulino, Bologna, 2009.

7.  Tema, quest’ultimo, affrontato non soltanto dalla dottrina amministrativistica (cfr., al riguardo, gli stessi studi citati alla nota precedente), ma anche – ed, anzi, soprattutto – dalla dottrina costituzionalistica. Cfr., tra gli altri, i contributi di vari Autori raccolti in Trasformazione della funzione legislativa. Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. Modugno, Giuffré, Milano, 2001 e, più di recente, L. Geninatti Satè, I fatti critici del sistema delle fonti e la crisi del principio di legalità, in Dir. Pubbl., 2005, 885 ss.

8.  Comprese anche le attività di diritto privato delle pubbliche amministrazioni, seppur, rispetto ad esse, il principio di legalità assume modulazioni diverse rispetto a quelle che assume in relazione alle attività di diritto pubblico. Sul punto cfr., per tutti, C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Giuffré, Milano, 1982.

9.  Su questo fondamentale assunto del diritto amministrativo rimane, invero, ineguagliato, sia per i profili storici che per i profili teorici, il contributo di M. S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Il Mulino, Bologna, 1986.

10.  In realtà non lo è affatto alla luce di quanto si è sentito in apertura della occasione congressuale da cui lo scritto origina.

11.  Il riferimento, ovviamente, è a F. G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Università degli studi, Perugia, 1979.

12.  Ed a questo riguardo non possono che citarsi – congiuntamente – i fondamentali insegnamenti di M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Giuffré, Milano, 1939 e di A. M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Giuffré, Milano, 1964.

13.  Ed a questo riguardo sia consentito il rinvio a quanto diffusamente illustrato in A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative,, Esi, Napoli, 1997, 14 ss. Ma già sul punto, più autorevolmente, F. Ledda, Problema amministrativo e partecipazione, in Dir. amm., 1993, 153.

14.  Così F. Ledda, Problema amministrativo e partecipazione, cit., 153.

15.  Nell’ambito della vasta produzione scientifica dei due Maestri occorre ricordare, in relazione alle considerazioni svolte nel testo, almeno le seguenti opere: F. Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1 ss.; Id., Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1952, 118 ss.; Id., Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Marsilio, Venezia, 1994; Id., L’impatto del procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una conclusione autobiografica), in Le Ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, III, Giuffré, Milano, 1995, 1723 ss.; Id., Disegno dell’amministrazione italiana: linee positive e prospettive, Padova, 1996; G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Cedam, Padova, 1969; Id., La responsabilità pubblica. Costituzione e amministrazione, Cedam, Padova, 1994.

16.  Cfr., sul punto, V. Frosini, La responsabilità politica, in Riv. Int. Fil. Dir., 1981, 7 ss.; U. Scarpelli, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visioni dell’uomo, ibidem, 27 ss. Cfr., inoltre, P. Caretti, Responsabilità politica, in Enc. Giur., XXVII, Ist. Enc. It. Treccani, Roma, 1991, nonché G. Pitruzzella, Responsabilità politica, in Dig., Pubbl., XIII, Utet, Torino, 1997.

17.  Per riprendere il richiamo fatto nell’intervento di L. Franzese, al Convegno che ha occasionato questo scritto. Non è questa la sede per contestare, con puntualità, la lettura prospettata in quella relazione, sul punto sia consentito il rinvio ad A. Police, Annullabilità e annullamento in Enc. Dir., Annali, I, Giuffré, Milano, 2007, 49 ss.

18.  Anche su questo punto le opere da citare sarebbero, come è noto, innumerevoli. Pertanto, oltre allo studio di G. Berti già richiamato sopra, ci si limita a rinviare alle voci enciclopediche di F. Satta, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. Dir., XXXIX, Giuffré, Milano, 1988 e di E. Casetta, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Dig. Pubbl., XIII, Utet, Torino, 1997, nonché, più di recente, ai contributi di vari Autori contenuti in La responsabilità civile della pubblica amministrazione, a cura di E. Follieri, Giuffré, Milano, 2004.

19.  Di cui si sono già ricordati F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit., 118 ss.; Id., L’impatto del procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una conclusione autobiografica), cit., 1723 ss.

20.  In argomento cfr., per tutti, G. U. Rescigno, La responsabilità politica, Giuffré, Milano, 1967, 197 ss. e, più di recente, G. Gardini, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza pubblica nell’amministrazione contemporanea, Milano, 2003, 103 ss.

21.  Cfr., sul punto, M. Renna, Il responsabile del procedimento a (quasi) dieci anni dalla entrata in vigore della l. n. 241, in Dir. amm., 2000, 505 ss., nonché, più di recente, M. Occhiena, Il «nuovo» responsabile del procedimento, la responsabilità dei dirigenti pubblici e il labile confine tra la politica e l’amministrazione, in Dir. e Soc., 2006, 557 ss.

22.  Oltre alla dottrina già citata, cfr., sull’art. 28 Cost., F. Merusi, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la Costituzione: l’art. 28 rivisitato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1986, 41 ss.; F. Garri, Responsabilità civile dei pubblici dipendenti, in Enc. Giur., XXVI, Ist. Enc. It. Treccani, Roma, 1991, nonché, più di recente, L. Mercati, Art. 28 Cost. e riforme amministrative, in Dir. pubbl., 2001, 681 ss.

23.  Sul punto, oltre allo studio di F. Goggiamani, La doverosità della pubblica amministrazione, Giappichelli, Torino, 2005, sia consentito rinviare ad A. Police, Doverosità dell’azione amministrativa, tempo e garanzie giurisdizionali, in Il procedimento amministrativo, a cura di V. Cerulli Irelli, Jovene, Napoli, 2007, 135 ss.

24.  Tema questo ormai ampiamente arato in dottrina. Per tutti si veda, F.G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, 13 ss. e, per le vicende più recenti, il manuale a cura di F.G. Scoca, Giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2006, e nella ridondante messe di contributi in tema, le acute considerazioni critiche di F. Satta, La giurisdizione amministrativa tra ieri, oggi e domani: la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, in Foro Amm. C.d.S., 2004, 1903 ss. e di A. Travi, La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 D.lg. 31marzo 1998, n. 80, dopo la sentenza Corte cost. 204/04, in Foro it.. I, 2598 ss.

25.  In argomento, oltre alle opere già citate, cfr., ancora, i contributi di vari Autori contenuti in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, a cura di M. P. Chiti e R. Ursi, Giappichelli, Torino, 2007, ed, in particolare, sotto il profilo dell’assetto dei rapporti tra politica ed amministrazione evidenziato nel testo, sia consentito rinviare allo studio, ivi contenuto, di A. Police e G. Grüner, Gli incarichi dirigenziali. Il rapporto di ufficio tra funzione pubblica e diritto privato, 96 ss.

26.  Cfr., ad esempio, il pregevole studio di M. Manetti, Poteri neutrali e costituzione, Giuffré, Milano, 1994 o, più di recente F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti, Il Mulino, Bologna, 2000, nonché i contributi di E. Cheli, L’innesto costituzionale delle autorità indipendenti, di F. Bassanini, Il sistema delle autorità indipendenti: problemi e prospettive e di C. Pinelli, La disciplina delle autorità indipendenti, tutti in www.astrid – online.it, 2006. In termini meno critici G. Amato, Autorità semi-indipendenti ed autorità di garanzia, nel volume collettaneo edito dall’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Autorità indipendenti e principi costituzionali,Atti del Convegno annuale (Sorrento, maggio 1997), Cedam, Padova, 1999, 13 ss.

27.  Sulla problematica cfr., per tutti, i contributi di vari Autori contenuti nel volume a cura di S. Cassese e C. Franchini, I garanti delle regole. Le autorità amministrative indipendenti, Il Mulino, Bologna, 1996. Questa è la posizione comune a molti Autori che hanno affrontato il tema: N. Longobardi, Le amministrazioni indipendenti: profili introduttivi, in Scritti per Mario Nigro, II, Giuffré, Milano, 1991, 173 ss., ora nel volume a cura del medesimo Autore, Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico – istituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, 11 ss.; Id., “Amministrazioni indipendenti” e posizione costituzionale dell’Amministrazione pubblica, in Studi in onore di Vittorio Ottaviano, I, Giuffré, Milano, 1993, 525 ss., ora nel citato volume Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico-istituzionale, 43 ss. ed ancora Id., Le autorità amministrative indipendenti laboratori di un nuovo diritto amministrativo (1998),ora in Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico-istituzionale, cit., 84 ss.; C. Malinconico, I procedimenti di aggiudicazione, nel volume della Collana Quaderni del Consiglio di Stato, Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, Giappichelli, Torino, 1999, 22 ss.; A. Pajno, L’esercizio di attività in forme contenziose, nel volume citato I garanti delle regole, 107 ss.; Id., Amministrazione giustiziale, in Enc. giur., IX, Ist. Enc. It. Treccani, Roma, [voce nuova] 2000; M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005.

28.  Non ci si dilunga sul punto che pure meriterebbe un approfondimento rinviando ad A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Giappichelli, Torino, 2007, spec. 233 ss.

29.  Sul punto cfr., per tutti, anche a seguito del nuovo art. 21 octies, co. 2, della l. n. 241 del 1990, S. Civitarese Matteucci, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006, spec. cap. III.

30.  Di procedimento amministrativo come «forma sensibile della funzione» parlava, come è noto, F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit.

31.  Sul punto da ultimo la bella monografia di S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, Giappichelli, Torino, 2008.

32.  Non è questa la sede per dilungarsi sul punto, si vedano le considerazioni già altrove svolte, A. Police, Riflessi processuali della disciplina generale dell’azione amministrativa, La disciplina generale dell’azione amministrativa (a cura di V. Cerulli Irelli), Jovene, Napoli, 2006, 447 ss.

33.  La letteratura sugli accordi è sterminata. Fra le monografie si segnalano: R. Ferrara, Gli accordi fra privati e pubbliche amministrazioni, Giuffré, Milano, 1985; A. Masucci, Trasformazioni dell’amministrazione e moduli convenzionali, Jovene, Napoli, 1988; E. Bruti Liberati, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico fra amministrazione e privati, Giuffré, Milano, 1996; F. Fracchia, L’accordo sostitutivo. Studio sul consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, Cedam Padova, 1998; P.L. Portaluri, Potere amministrativo e procedimenti consensuali, Giuffré, Milano, 1998; G. Manfredi, Accordi e azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2001; F. Tigano, Gli accordi procedimentali, Giappichelli, Torino, 2002; G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Giappichelli, Giappichelli, Torino, 2003; F. Cangelli, Potere discrezionale e fattispecie consensuali, Giuffré, Milano, 2006.

34.  Il riferimento è all’intervento di L. Franzese, al Convegno che è stato occasione di questo scritto. Ma questa posizione è stata talvolta espresso anche da giuristi.

35.  G. Oppo, Diritto privato e interessi pubblici, in Riv. dir. civ., 1994, 25 ss.

36.  Senza considerare, peraltro, che, ai sensi dell’art. 11, co. 4, della l. n. 241 del 1990, l’amministrazione, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere unilateralmente dall’accordo, salvo indennizzare gli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del provato; inoltre, ai sensi dell’ultimo comma del medesimo articolo, tutte le controversie concernenti gli accordi sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In relazione alle considerazioni svolte nel testo cfr., nella dottrina più recente, F. Satta e F. Cardarelli, Il contratto amministrativo, in Dir. Amm., 2007, 205 ss.; G. Sciullo, Profili teorici degli accordi fra amministrazioni pubbliche e privati, ibidem, 805 ss.; F. G. Scoca, Autorità e consenso, ibidem, 2002, 431 ss.

37.  I co. 1 e 2 dell’art. 14 ter della l. n. 287 del 1990 dispongono quanto segue: «Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione. L’Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma 1 può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato». In argomento cfr., da ultimo, F. Cintioli, Le nuove misure riparatorie del danno alla concorrenza: impegni e misure cautelari, in Giur. Comm., 2008, I, 109 ss. Per un approfondimento si vedano già di M. Libertini, Gli impegni, Relazione alla Giornata di Studio su «Promozione e tutela della concorrenza: le novità del Pacchetto Bersani», Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, novembre 2006, ed anche Le decisioni «patteggiate» nei procedimenti per illeciti antitrust, in Giorn. dir. amm., 2006, p. 1283 ss.

38.  Cfr., sul punto, l’Enciclica Quadragesimo anno di Papa Pio XI del 15 maggio 1931.

39.  Sul principio di sussidiarietà orizzontale e sui suoi limiti cfr., per tutti, V. Cerulli Irelli, Sussidiarietà (diritto amministrativo), in Enc. giur., XII agg., Ist. Enc. It. Treccani, Roma, 2004, nonché G. U. Rescigno, Principio di sussidiarietà e diritti sociali, in Dir. pubbl., 2002, 5 ss. ed A. Moscarini, Sussidiarietà e libertà economiche, in Dir. soc., 1999, 433 ss.

40.  Si veda il recente studio di M. Protto, Il rapporto amministrativo, Giuffré, Milano, 2008 e, dello stesso Autore, L’amministrazione informale, in corso di pubblicazione negli Scritti in memoria di Roberto Marrama, che fa seguito al noto scritto di G. Berti, Lo Stato di diritto informale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, 3 ss.