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I servizi idrici in Italia e i guasti della non-scelta

di - 3 Aprile 2009
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Per combinare nel migliore dei modi il meccanismo di mercato (efficienza) e quello del settore pubblico (equità), occorrerebbe dunque privatizzare la gestione, regolamentare le tariffe (prezzi) e decidere quanta (e come) redistribuzione attuare. Da anni si sostiene infatti che anche il settore idrico debba avere i lineamenti di un settore industriale e rispondere a criteri di efficienza economica, tant’è che la legge Galli del 1994 fu prodotta in risposta a queste istanze che furono poi confermate e ribadite nei successivi interventi. Senza elencare pregi e difetti della Galli e dei successivi interventi, mi limito a scrutinarla sotto il punto di vista economico delle sue capacità di far assumere un profilo industriale al settore e ottenere l’efficienza di gestione e a constatarne la scarsa efficacia. La premessa per entrambi gli obiettivi è che il settore riesca ad attirare il capitale privato che, com’è noto, risponde al segnale della profittabilità che, a sua volta, dipende dalle tariffe (o prezzi). Dunque la tariffazione NON è un aspetto marginale: in essa si traduce la filosofia dell’intervento pubblico nel settore e ne costituisce il fulcro. Ovviamente molti elementi contribuiscono al successo o insuccesso della Galli, dalla governance alla tipologia della transizione, dalla perseguibilità degli obiettivi alla tempistica, dalla scelta dei soci al ricorso alle aste, ecc., ma se si vuole che il “meccanismo del mercato” produca i risultati positivi per la collettività di cui è capace (efficienza) non si può stravolgerne la logica di base. Insomma, non è possibile ottenere l’efficienza di mercato se certi meccanismi non vengono messi in condizione di funzionare e ciò non significa rinunciare a governarlo, che anzi, in assenza di vigilanza, può produrre danni notevoli al benessere sociale (la crisi finanziaria corrente ne è un esempio). Non a caso il ritorno al mercato, ovvero le privatizzazioni con regolamentazione delle public utilities inglesi, che hanno aperto la strada a tutte le altre, mettono in evidenza come gli elementi chiave per gli incrementi di benessere sociale, siano, molto semplicemente: tariffe secondo il price cap e coefficienti di efficientamento incorporanti la necessità di investimenti[4].
L’aspetto più contestabile della leggi Galli, e al quale si lega la maggioranza dei problemi[5], è la tariffazione secondo il metodo normalizzato. Chi conosce in dettaglio il metodo, sa che ha una sua logica ma sa anche che essa è molto più vicina a quella dei prezzi “amministrati” piuttosto che al price cap, nonostante gli “sforzi” per farla apparire tale e ciò fa tutta la differenza (dirigismo vs regolamentazione). Mentre con la logica del (vero) price cap il meccanismo di mercato funziona e dunque l’allocazione delle risorse che ne consegue è desiderabile, con quella dei prezzi amministrati non si esce dall’allocazione pubblica dominata dai riconosciuti difetti del settore pubblico nella fase allocativa e ai quali si associano, inoltre, scelte di falsa socialità, ovvero tariffe dissociate dalle condizioni di costo. Superfluo forse ribadire che i costi modellati del metodo sono, purtroppo, modellati su funzioni di costo inglesi degli anni ’90 con assai scarsa rilevanza per il nostro paese oggi e che le funzioni di costo italiane sono “sconosciute” nonostante alcuni eroici tentativi di stimarle, ma utilissimo ricordare che il regolatore non ha bisogno di conoscere nel dettaglio gli aspetti gestionali perchè basta che conosca le condizioni generali del settore e le necessità di investimento per migliorare il benessere sociale. Le imprese non gradiscono rendere note le loro faccende, ma anche il regolatore non ha interesse ad affrontare costi di informazione elevati per conoscerle, mentre ha interesse a che la fornitura idrica, fognaria e di depurazione siano efficienti e di livello europeo. Se questo fosse il vero obiettivo (e non quello semplicemente dichiarato), il ricorso al capitale privato apparirebbe inevitabile ed urgente, dati i ritardi infrastrutturali del nostro paese specialmente, ma non soltanto, nel comparto depurazione. E siccome questo, come si sa, affluisce se e solo se il regolatore è credibile, le regole sono definite e certe per un dato periodo e le attese di profittabilità, conseguenti a buone pratiche di gestione, positive, non si continuerebbe a tenere il settore polverizzato e sotto controllo pubblico di tipo dirigistico (né, d’altro lato, le funzioni redistributive del WS implicano dirigismo!).
Facendo tesoro dell’esperienza accumulata in 15 anni dalla Galli, si prenderebbe atto che tariffe amministrate, forzatamente basse e slegate dalle condizioni di domanda e offerta, non rappresentano gli incentivi economici ai quali il mercato possa rispondere, e si passerebbe pertanto ad una genuina privatizzazione con regolamentazione del tipo inglese. In alternativa, se questo non piacesse, si potrebbe restaurare la gestione in economia degli 8000 e più comuni, ma si dovrebbero comunque trovare le risorse sia per gli adeguamenti infrastrutturali che per innovare nella gestione delle risorse idriche (perchè mai non si dovrebbe irrigare con acqua di riutilizzo?), oltre che per le opere di manutenzione, costantemente rinviate, ma che potrebbero per esempio ridurre le perdite dei nostri acquedotti e portarle ai livelli di quelle dei paesi europei, possibilmente i più virtuosi. Bisogna uscire dall’impasse. O si crede all’efficienza del mercato e allora bisogna creare le condizioni per farlo funzionare al meglio oppure non vi si crede e allora bisogna restare alle gestioni in economia (non mancano esempi di buona gestione). Ciò che non giova alla collettività è il miscuglio dei criteri di efficienza e di equità, perchè da ciò non segue né l’una né l’altra, e la continua incertezza sull’assetto del settore perché costringe a decisioni miopi. Ironicamente, quanto più cresce la domanda e con essa i conflitti tra gli usi, quanto più gli impegni europei rendono urgenti grossi investimenti e quanto più le sopraggiunte necessità di adattamento ai cambiamenti climatici dovuti al surriscaldamento richiederebbero innovazione (la mutata tipologia delle piogge per esempio implica adeguamenti infrastrutturali), tanto meno si fa chiarezza nell’assetto del settore, eludendone le risposte e aggravandone i problemi.

Note

4.  Amstrong Mark, Cowan Simon,Vickers John, Regulatory Reform. Economic Analysis and British Experience, MIT press, 5a ristampa, 1999.

5.  Ovviamente anche la “commistione” tra autorità di approvazione del piano e di controllo della gestione, non è un difetto da poco!

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