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La cornice istituzionale della Public Company negli Stati Uniti e nel Regno Unito

di - 21 Febbraio 2009
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3.3 Gli idiosincratic benefits

Per quanto riguarda gli idiosincratic benefits osserviamo in primo luogo che sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti gli azionisti riconoscono agli amministratori dei compensi in caso di perdita dell’incarico, i cosiddetti golden parachutes (Holderness, 2003; Gilson, 2004). Nel Regno Unito tali benefits potrebbero spiegare perché gli amministratori investono somme ingenti nell’acquisto di blocchi azionari, superiori a quelle investite dal management negli Stati Uniti (Pacces, 2008). Una possibilità alternativa è che l’investimento importante in azioni sia motivato prevalentemente dall’interesse al dividendo, vale a dire che vi sia un quasi totale allineamento tra gli interessi degli azionisti e dei manager.

4. Conclusioni: modello statunitense e britannico di public company

Il confronto tra l’ordinamento britannico e quello statunitense (specificamente quello del Delaware) mostra che in entrambi i sistemi sembrano essere presenti efficaci strumenti di prevenzione di comportamenti espropriativi da parte del management ai danni degli azionisti di minoranza (diversionary benefits), anche seforse l’ordinamento britannico potrebbe risultare superiore. Il diverso livello di poteri del management nei due Paesi e il più alto livello di conflittualità di alcune categorie di azionisti negli Stati Uniti rispetto al Regno unito sembrano segnalare in maniera più chiara l’esistenza negli Stati Uniti di un livello più alto di distortionary benefits, queicomportamenti opportunistici degli amministratori in danno all’efficienza aziendale.

Tutto questo ha un riflesso sull’equilibrio di forze tra amministratori e azionisti. Rispetto al dibattito su quale grado di controllo gli azionisti debbano riconoscere agli imprenditori per indurli a cedere la proprietà dell’impresa, il confronto tra i due modelli ci dice che il diritto societario è importante sia sotto forma di regole indisponibili che di norme derogabili, ed ha un effetto sulla scelta della organizzazione societaria e quindi sulla distribuzione dei poteri tra azionisti e management. A fronte di un quadro regolamentare più favorevole agli amministratori negli Stati uniti rispetto al Regno unito, nel primo Paese gli amministratori godono di un maggior grado di controllo rispetto al secondo. L’arroccamento degli amministratori non sembra essere quindi un prerequisito per la public company.

All’osservatore italiano si presentano così due modelli possibili di public company: negli Stati Uniti gli azionisti hanno a disposizione minori strumenti endosocietari per indirizzare la gestione degli amministratori e fanno affidamento, oltre che sull’intervento delle autorità di vigilanza sui mercati di borsa, sul ricorso ai tribunali grazie all’efficienza delle giurisdizioni commerciali e sulla possibilità concessa dalla legge agli studi legali di rappresentare in giudizio un gran numero di azionisti facendosi carico interamente delle spese in caso di sconfitta; nel Regno Unito gli azionisti sembrano avvalersi principalmente dei maggiori poteri di indirizzo e controllo sugli amministratori riconosciuti loro dal quadro regolamentare. Rispetto al primo modello, a fronte della recente introduzione del patto di quota lite (contingent fee) il nostro paese presenta problemi riguardo all’efficienza del processo civile; rispetto al secondo modello, la carenza maggiore appare la mancanza di strumenti efficaci per gli azionisti per prevenire che decisioni degli amministratori si traducano in comportamenti espropriativi. Ci sembra che il cammino verso la public company all’italiana passi più da Londra che da New York. Il modello britannico appare più vicino alla caratteristiche dell’ordinamento italiano per quanto riguarda la distribuzione dei poteri operata dal nostro quadro regolamentare a favore degli azionisti. E anche guardando ai passi ancora da compiere per raggiungere uno dei due modelli è probabilmente più semplice introdurre una norma che consenta ai nostri azionisti di minoranza di porre il veto ad operazioni espropriative ai loro danni piuttosto che attendere la soluzione dei problemi del nostro processo civile, soluzione che, al momento, non appare imminente.

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