Poteri di iniziativa probatoria ufficiosa e possibili modelli di istruttoria e di processo civile.

1.     Premessa.

L’individuazione del più corretto punto di equilibrio fra iniziativa delle parti ed iniziativa del giudice nell’ambito del processo incontra nella tematica dei poteri istruttori d’ufficio, anche con riferimento al processo civile, uno dei suoi più delicati e complessi profili, che da sempre, peraltro, divide gli studiosi del processo, anche sotto il profilo della natura (di ordine “politico” o meramente “tecnico”) delle scelte sottese ad una possibile attribuzione al giudice (civile) di poteri di iniziativa probatoria [1].
Le considerazioni che seguono mirano fondamentalmente a fornire un contributo a questo complesso ed articolato dibattito sotto lo specifico profilo dei differenti possibili modelli di istruttoria e di processo civile.

2. La costante attribuzione al giudice (civile) di poteri istruttori ufficiosi nel nostro (ed in altri) ordinamenti.

Il primo dato che emerge da un esame che non si limiti, in modo superficiale, a recepire acriticamente l’enunciato di cui all’art. 115 c.p.c., è che ci troviamo di fronte ad un numero estremamente significativo di ipotesi in cui si attribuiscono al giudice civile poteri ufficiosi in materia probatoria (latamente intesa), tanto da poter legittimamente dubitare, come pure una parte della dottrina ha fatto, che il processo civile possa dirsi effettivamente dominato, così come potrebbe sembrare dalla lettera della suddetta norma, dal principio della «disponibilità delle prove».
Si consideri, infatti, come il giudice civile dispone, anzitutto, di ampi poteri di iniziativa probatoria ufficiosa con riferimento al processo di cognizione ordinario.
E’ il caso, più in dettaglio:
1) dell’interrogatorio libero delle parti (art. 117 e 183 c.p.c.);
2) dell’ispezione di persone e cose (art. 118 c.p.c.);
3) dell’ordine di esibizione, rivolto ad un imprenditore che sia parte in causa, dei libri e delle scritture contabili (la cui tenuta è obbligatoria per le imprese soggette a registrazione), nonché di lettere, telegrammi e fatture (art. 2711 cod. civ.) [2];
4) della nomina di un consulente tecnico (artt. 61 e 191 ss c.p.c.) nei limiti in cui la consulenza tecnica sia mezzo di prova;
5) della richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione (art. 213 c.p.c.);
6) del giuramento suppletorio e quello d’estimazione (artt. 240 e 241 c.p.c.);
7) della prova testimoniale in talune specifiche ipotesi, quali il potere di:

– rivolgere al teste domande utili a chiarire i fatti intervenendo nell’assunzione della prova testimoniale al di là della capitolazione ammessa (art. 253, 1° comma c.p.c.);
– disporre l’audizione dei cd. testi di riferimento (art. 257 c.p.c.);
– disporre l’audizione di testi prima ritenuti superflui o a cui vi sia stata rituale rinuncia e la nuova audizione di testi già interrogati (art. 257, 2° comma);
– disporre d’ufficio la prova testimoniale quando le parti nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità (art. 281 ter c.p.c.);

8) dell’esperimento giudiziale (oltre che l’esecuzione di rilievi, calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti, documenti e luoghi, nonché, quando occorre, rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l’impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici) (art. 261 c.p.c.).

Ma il giudice civile dispone di ancor più significativi poteri di iniziativa istruttoria ufficiosa in taluni procedimenti (speciali) a cognizione piena, a cognizione sommaria (cautelare o non cautelare) o camerali, quali, in particolare: il processo del lavoro (artt. 421, 2° comma, e 437, 2° comma, c.p.c.); il processo agrario (stante l’applicabilità, anche in tal caso, delle norme da ultimo richiamate); il processo delle locazioni di immobili urbani (art. 447, 3° comma, bis c.p.c.); il procedimento di interdizione e inabilitazione (artt. 714 c.p.c. e 419 c.c.); il procedimento di cui al nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno (artt. 714 c.p.c. e 407, 3° comma, c.c.); il procedimento cautelare (artt. 669 sexies, 1° e 2° comma, e 669 terdecies c.p.c.); i procedimenti in camera di consiglio (art. 738 c.p.c.); il procedimento per la dichiarazione di assenza o di morte presunta (artt. 724 e 728, ultimo comma, c.p.c.); il processo di separazione personale e di divorzio (artt. 155, 6° comma, c.c.,155-sexies c.c. e 5, 9° comma, legge n. 898/70); il processo minorile (artt. 336 c.c. e 10 legge n. 184/1983); il processo fallimentare (artt. 15, 6° comma, e 18, 6° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267); il procedimento per la repressione della condotta antisindacale (art. 28 St. lav.); il procedimento in tema di pubblicità tavolare (art. 16 r.d. 28 marzo 1929, n. 499); il procedimento in tema di discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 44 d.lgs. n. 286/1998); il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative (art. 23 legge n. 689/81); il giudizio di opposizione ai provvedimenti del Garante sulla privacy (art. 152, 9° comma, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196); la procedura giudiziale di rettificazione degli atti dello stato civile (art. 96, 1° comma, d.p.r. n. 396/2000).
Dette ipotesi sono destinate ad aumentare ulteriormente in ragione della non infrequente tendenza a strutturare determinati procedimenti, come pure avviene nella ipotesi da ultimo richiamata (cfr. art. 96, 3° comma, d.p.r. 396/2000), ricorrendosi ad un rinvio alle norme sui procedimenti in camera di consiglio (e dunque anche all’art. 738 c.p.c. ).
E’ quanto accade in particolare, senza alcuna pretesa di completezza, con riferimento al procedimento disciplinare notarile [3] (cfr. art. 158-bis l. 89/1913) ed al procedimento di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo (cfr. art. 3, quarto comma, l. 89/2001).
Poteri istruttori ufficiosi sono altresì attribuiti, per quanto ciò non sia pacifico, agli arbitri nell’arbitrato rituale, in difetto di diversa determinazione delle parti (art. 816-ter c.p.c.).
E’ il caso di segnalare altresì come:

– sempre guardando al nostro ordinamento, si attribuiscono al giudice poteri istruttori ufficiosi, sia pur in diversa misura e secondo differenti modalità, nel processo penale, in quello tributario, in quello amministrativo ed in quello contabile [4];
– ove si guardi ad altri ordinamenti, diffusissima è l’attribuzione (anche) al giudice civile, sia pur in differente misura e secondo differenti modalità, di poteri di iniziativa probatoria ufficiosa: [5];
– di significativi poteri di iniziativa probatoria ufficiosa gode altresì il giudice comunitario [6].

3. L’attuale stato della dottrina con riferimento al processo civile

Quale l’atteggiamento della più recente dottrina (non solo italiana) a fronte della situazione più sopra sinteticamente delineata?
Questa tende per lo più:
a) a ricorrere alla tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio, al più limitandosi a sottolineare al contempo come attualmente, in ragione della costante attribuzione al giudice civile di poteri di iniziativa probatoria ufficiosa, ci troviamo di fronte a sistemi tutti “misti”;
b) a dedicare, ciò nonostante, poca attenzione al significato proprio dei termini (e cioè dispositivo ed inquisitorio) cui ricorre per qualificare i differenti possibili sistemi/metodi istruttori del processo civile;
c) ad utilizzare, conseguentemente, detti termini in modo estremamente equivoco: è quanto accade soprattutto per il termine inquisitorio [7], talvolta utilizzato per designare un sistema istruttorio caratterizzato dall’attribuzione al giudice di poteri di iniziativa ufficiosa che hanno ad oggetto (non solo la prova ma) anche i fatti (in spregio, dunque, al divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata), talaltra per designare un metodo istruttorio caratterizzato dall’attribuzione al giudice di poteri di iniziativa ufficiosa che hanno ad oggetto la sola prova – e non anche i fatti – (nel pieno rispetto, dunque, del divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata) ed altre volte ancora utilizzato in modo tale da non consentire – quanto meno con certezza – di stabilire se si intenda far riferimento all’una o all’altra delle ipotesi di cui sopra [8].

4.     La necessità e l’importanza di procedere al superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio.

Sussiste, ad avviso di chi scrive, la necessità di procedere al superamento della tradizionale contrapposizione, propria del processo civile, fra principio dispositivo e principio inquisitorio [9].
Ciò, fondamentalmente, in ragione:
a) della estrema genericità ed equivocità della suddetta contrapposizione, non tanto e non solo con riferimento al principio dispositivo, quanto soprattutto con riferimento al principio inquisitorio, cui non può essere assolutamente attribuito il generico significato di attribuzione di un “ruolo attivo” al giudice, senza operare, cioè, nessuna specificazione in ordine all’oggetto delle possibili iniziative ufficiose di questo giudice “attivo”; ciò, se non altro in ragione della esigenza di tenere distinti:
a1) i differenti possibili poteri del giudice, quali su tutti, volendo riprendere la fondamentale distinzione di fondo a suo tempo delineata da G. Fabbrini [10], i poteri del giudice che attengono al mero governo del processo da quelli « capaci di incidere, da soli o nella combinazione con l’esercizio dei poteri di parte, sul contenuto della decisione finale»;

a2) nonché soprattutto, con riferimento ai poteri giudiziali di quest’ultimo tipo, quelli in punto di fatto da quelli in punto di (fonte di prova e di) prova, finendosi altrimenti per misconoscere, sotto il profilo ora in esame, quei risultati che la dottrina processual-civilistica ha ormai definitivamente conseguito con riferimento al principio dispositivo (cui indubbiamente dedica maggiore attenzione) ma che impongono, anche sul piano della corretta delimitazione dei confini del cd. principio inquisitorio, di tenere ben distinto il profilo degli alligata da quello dei probata (iniziative istruttorie) [11] e, più precisamente, i poteri del giudice in ordine alla ricerca dei fatti e delle fonti di prova da quelli aventi invece esclusivamente ad oggetto la mera deduzione del mezzo di prova sul “materiale di causa”;
b) della difficoltà di immaginare, anche solo in astratto, un processo che riservi l’iniziativa istruttoria esclusivamente in capo al giudice, per effetto della quale uno dei due termini del raffronto, e cioè quello che fa capo al cd. principio inquisitorio, finisce per dover essere inteso in senso (non assoluto ma) “relativo”, nel senso cioè di attribuzione (solo) in via prevalente di poteri di iniziativa ufficiosa in capo al giudice, e l’altro, ossia quello che fa capo al cd. principio dispositivo, in senso (non relativo ma) “assoluto”, ossia quale attribuzione del potere di iniziativa probatoria in via esclusiva in capo alle parti; con la conseguenza che:
b1) viene anzitutto meno la perfetta simmetria fra gli opposti di cui alla tradizionale contrapposizione in esame;
b2) l’utilità di uno dei termini della stessa, ossia quella del cd. principio inquisitorio, ne esce grandemente ridimensionata, posto che, oltre che muoversi su un piano meramente quantitativo (e non qualitativo) [12], è altresì estremamente evanescente, nel senso che non mi pare neanche immaginabile una scala di valori che ci consenta di stabilire, con sufficiente precisione, il grado di “inquisitorietà” di un determinato sistema processuale;
c) della inutilità (o quanto meno ben poca utilità) a maggior ragione, per i motivi di cui sopra, della contrapposizione dispositivo/inquisitorio qualora dovesse essere intesa nel suo complesso (e non solo, dunque, con riferimento al cd. principio inquisitorio ma anche al cd. principio dispositivo) non in senso “assoluto” (ossia di attribuzione in via esclusiva di poteri di iniziativa – in punto di fatti e/o di prove – alle parti o al giudice) ma “relativo” (ossia di attribuzione solo in via prevalente di poteri di iniziativa – in punto di fatti e/o di prove – alle parti o al giudice).

Alla estrema genericità ed equivocità del termine “inquisitorio” è legata altresì, evidentemente, l’importanza del procedere al superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio.
Alla luce di quanto più sopra evidenziato, infatti, non ci troviamo evidentemente di fronte ad una mera esigenza qualificatoria di ordine squisitamente teorico, ma bensì a qualcosa di ben più significativo, in quanto, a causa della persistente sussistenza di una grossa confusione (o quanto meno evanescenza) in ordine al significato proprio di questi termini (e soprattutto del termine “inquisitorio”) si finiscono per qualificare giuridicamente con lo stesso termine fenomeni processuali ben distinti fra loro. E, si badi, si tratta evidentemente di un distinguo che non opera su un piano meramente quantitativo ma bensì qualitativo.
Una cosa è infatti, per intendersi, un processo caratterizzato dalla presenza di un giudice che, in spregio al divieto di ricorrere alla propria scienza privata, va alla ricerca dei fatti e delle fonti di prova, altra (e ben diversa cosa) è invece un processo caratterizzato dalla presenza di un giudice che si limiti, nel pieno rispetto del suddetto divieto, ad assumere iniziative probatorie in ordine al “materiale di causa”.

5. L’insufficienza della mera constatazione di trovarci di fronte a modelli tutti misti e del ricorso al principio della collaborazione fra le parti ed il giudice.

Non ci si può neanche arrestare alla mera constatazione, propria della più recente dottrina processualcivilistica, di trovarci sostanzialmente di fronte a modelli tutti misti, intesi quali modelli che ripartiscono in misura variabile fra le parti e il giudice i poteri di iniziativa istruttoria; modelli che si avvicinerebbero, poi, maggiormente all’uno o all’altro dei contrapposti modelli (a questo punto) astratti (ossia quello dispositivo e quello inquisitorio) a seconda che, nel caso di specie, si dia prevalenza all’iniziativa delle parti o a quella del giudice.
Così facendo, infatti, a ben vedere non si procede ad una compiuta classificazione dei possibili modelli di istruttoria cui può uniformarsi il processo civile ma si finisce, in realtà, per rinunciare ad effettuare una classificazione di questo tipo, accontentandosi di un criterio che:
1) ci consente, al più, di qualificare un determinato sistema (posto che sono tutti “misti) come prevalentemente dispositivo o inquisitorio; e che dunque finisce per poggiare su un dato meramente qualitativo e non qualitativo (ossia il maggiore o minore potere di iniziativa attribuito alle parti ed al giudice);
2) agevola, o quanto meno, non evita la suddetta genericità/equivocità nella utilizzazione dei termini dispositivo/inquisitorio, ed in particolare di quest’ultimo, continuandosi a non operare alcun distinguo (sul piano sostanziale e terminologico) fra poteri di ricerca dei fatti e delle fonti di prova, da un lato, e poteri di iniziativa probatoria ufficiosa sul solo “materiale di causa”, dall’altro; così qualificando con il medesimo termine, ossia “inquisitorio”, modelli processuali in realtà (non solo quantitativamente ma anche) qualitativamente differenti fra loro per i motivi in precedenza evidenziati;
3) si rivela altresì di ben poca utilità ove si abbia presente che ormai tutti, o quasi tutti, gli altri ordinamenti attribuiscono (anche) al giudice poteri di iniziativa probatoria, così ponendosi evidentemente una esigenza di qualificazione e di distinguo con riferimento a questa ipotesi “normale” rispetto a quelle – rispettivamente – astratte o del tutto inimmaginabili della esclusiva attribuzione del suddetto potere in capo alle parti o in capo al giudice.

A ciò si aggiunga, infine, che l’espressione “sistemi misti”, oltre che generica può anche essere equivoca, se non altro in ragione della utilizzazione della medesima espressione anche con riferimento al processo penale ma in relazione alla differente contrapposizione accusatorio/inquisitorio (rispetto a quella dispositivo/inquisitorio di cui al processo civile); così che, a ben vedere, si assiste alla utilizzazione, con riferimento ad entrambi i processi (civile e penale), non solo del medesimo termine “inquisitorio” ma anche della medesima espressione “sistemi misti”, sia pur, in entrambi i casi, con significati differenti.
Lo stesso ricorso al principio della collaborazione fra le parti ed il giudice, spesso invocato (non solo nel nostro ordinamento ma anche in quelli stranieri) quale possibile via per il superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio [13], si rivela, a ben vedere, insufficiente ai fini che qui rilevano.
Indubbiamente, infatti, deve riconoscersi a questa impostazione il merito di aver gettato le basi per un possibile superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio, se non altro per il fatto di aver guardato al “rapporto” parti/giudice in una prospettiva differente e nuova rispetto a quella, tradizionale, propria della suddetta contrapposizione; e cioè quella della collaborazione fra le parti ed il giudice rispetto a quella della attribuzione di poteri di iniziativa in via esclusiva alle parti o al giudice.

Ma comunque sia, ai fini che qui rilevano, anche questa prospettiva, al pari di quella tendente a sottolineare come ci troviamo sempre di fronte a modelli misti, non ci consente di approdare ad una significativa classificazione dei possibili modelli di istruttoria del processo civile, ma bensì alla individuazione di un unico modello di processo che, quali che siano i poteri di iniziativa attribuiti alle parti ed al giudice, si caratterizza per l’obbligo di collaborazione fra gli stessi (il che, invero, è anche contro la realtà).

6. La necessità di procedere ad una nuova classificazione dei possibili modelli di istruttoria (e di processo) civile.

Se è vero tutto quanto sinora evidenziato, la conclusione pare scontata.
Non può evidentemente sfuggirsi dalla necessità di procedere alla individuazione di una nuova classificazione dei possibili modelli istruttori che valga a qualificare gli stessi su un piano (non meramente quantitativo ma) qualitativo.
La premessa fondamentale da cui occorre partire, onde poter procedere ad una corretta e funzionale differenziazione dei vari possibili modelli di istruttoria e di processo civile, è data dal fatto che occorre imprescindibilmente tenere nettamente distinte, non solo sul piano sostanziale ma anche terminologico, le diverse (fra loro) possibili attività processuali riservate esclusivamente alla iniziativa della parte dalle diverse (fra loro) possibili attività processuali la cui iniziativa sia rimessa anche al giudice.
Ciò significa, più precisamente, che occorre:
1) sul piano “sostanziale”, tenere nettamente distinte fra loro le seguenti attività:
1a) instaurazione del processo;
2a) introduzione dei fatti e delle fonti di prova nel processo;
3a) mera attività di deduzione formale della prova (intesa quale mezzo istruttorio).
2) sul piano “terminologico”, individuare conseguentemente i termini più appropriati per designare le suddette differenti attività.
Ciò posto, avuto riguardo alla possibilità che una o più delle suddette differenti attività processuali siano riservate in modo esclusivo alle parti, e soprattutto al fine di evitare confusioni e rimarcare il distinguo (non solo fra tutela giurisdizionale e tecnica del processo ma anche) fra alligata e probata, mi sembrerebbe corretto qualificare il suddetto fenomeno:

– con l’espressione principio della domanda avuto riguardo all’attività di instaurazione del processo;
– con l’espressione principio dispositivo avuto riguardo all’attività di introduzione nel processo dei fatti (alligata) e delle fonti di prova;
– con l’espressione principio della disponibilità delle prove avuto riguardo alla mera attività di deduzione della prova (intesa quale mezzo di prova).

Per cui, per intendersi, monopolio della parte in ordine:
a) all’esercizio dell’azione → principio della domanda;
b) all’allegazione fatti ed individuazione fonti di prova → principio dispositivo;
c) alle iniziative probatorie (in senso stretto) → principio della disponibilità della prova.

Avuto riguardo, invece, alla possibilità che una o più delle suddette differenti attività processuali (non siano riservate in modo esclusivo alle parti ma) costituiscano oggetto di iniziativa ufficiosa da parte del giudice, al fine di poter procedere in modo analogo ad una appropriata qualificazione dei differenti possibili fenomeni giuridici che possono venire in rilievo, occorre anzitutto chiedersi se è opportuno o meno abbandonare l’utilizzazione del termine “inquisitorio” con riferimento al processo civile.
E qui, anche se è indubbiamente vero che non esistono attualmente “processi inquisitori” (non solo civili ma anche penali) nel significato proprio di questo termine e che ci troviamo di fronte ad un termine tradizionalmente carico di un significato negativo (oltre che utilizzato, come più volte evidenziato, in una accezione estremamente generica), non mi sentirei comunque di rinunciarvi e di percorrere, dunque, la suddetta strada di bandire l’utilizzazione del termine “inquisitorio” con riferimento al processo civile.
Per l’effetto, infatti, oltre a pretermettere la possibile evoluzione che un determinato termine può avere nel corso del tempo, si finirebbe a mio avviso per rinunciare, inopportunamente, alle indubbie potenzialità qualificatorie di un termine che ben può rendere, con riferimento al processo civile, ove evidentemente riqualificato in modo appropriato rispetto al suo non più attuale significato originario [14], l’idea di un processo suscettibile di essere instaurato in via ufficiosa dal giudice e/o con riferimento al quale il giudice sia dotato di poteri di iniziativa (non circoscritti esclusivamente alla mera deduzione formale del mezzo di prova ma) estesi alla (ben più significativa) ricerca dei fatti e delle fonti di prova.
Ciò posto, occorre poi evidentemente individuare il differente termine che valga invece a qualificare nel modo più appropriato la differente tipologia di processo la cui peculiarità riguardi solo l’istruttoria dello stesso (e non anche – sulla scia di quanto a suo tempo ritenuto da F. Benvenuti – il processo ed il sistema istruttorio) e si concreti nella sola attribuzione al giudice di un potere di iniziativa in ordine alla deduzione del mezzo di prova su fatti e/o fonti di prova comunque acquisiti al processo su iniziativa delle parti. Fenomeno, questo, che mi pare potrebbe essere efficacemente descritto, volendo riprendere la terminologia di F. Benvenuti [15], con l’espressione metodo istruttorio “acquisitivo” o, volendo riprendere una terminologia attualmente più diffusa, dei “poteri istruttori d’ufficio”.

7. Classificazione proposta

Se così è, si può procedere, in definitiva, alla seguente classificazione dei differenti possibili modelli di processo e di istruttoria civile.
Avuto riguardo al momento della instaurazione del processo e della introduzione dei fatti e delle fonti di prova nel processo, occorre distinguere fra:

processo dispositivo (o processo di parti): processo caratterizzato dal fatto che l’instaurazione dello stesso, l’allegazione dei fatti e l’introduzione delle fonti di prova nel processo sono riservati alle parti;
processo (civile) inquisitorio (o processo d’ufficio): processo caratterizzato dalla attribuzione al giudice di poteri di iniziativa ufficiosa in ordine alla instaurazione del processo e/o alla determinazione del “materiale di causa”, sub specie di potere di introduzione nel processo di fatti e/o di fonti di prova rispettivamente non allegati e non indicate dalle parti (in deroga, dunque, al principio della domanda e/o al principio dispositivo, oltre che al divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata) [16].
Avuto riguardo alla mera attività di deduzione formale della prova (intesa quale mezzo istruttorio), occorre distinguere fra:
metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”: metodo istruttorio caratterizzato dalla attribuzione (anche) al giudice di poteri ufficiosi seppur circoscritti esclusivamente alla assunzione di mezzi di prova aventi ad oggetto i soli fatti allegati dalle parti o comunque legittimamente acquisiti al processo (nel pieno rispetto, dunque, del divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata);
metodo istruttorio dispositivo o della disponibilità delle prove: metodo istruttorio caratterizzato dalla attribuzione alle parti del monopolio (anche) in ordine alle iniziative probatorie, con totale assenza, dunque, di poteri di iniziativa officiosa del giudice (anche esclusivamente) su questo piano.

8. Evidenti limiti del generico ed equivoco riferimento al “ruolo attivo” svolto dal giudice nell’ambito del processo e necessaria diversificazione, sul piano qualitativo (e non solo quantitativo), dei poteri di iniziativa ufficiosa del giudice.

La pluralità di diversificazioni che si impongono sul piano del processo e del metodo istruttorio di cui allo stesso la si coglie, a ben vedere, anche sotto il profilo dei poteri (ufficiosi) del giudice in materia probatoria (latamente intesa). E, per l’effetto, emerge con ancora maggior nettezza l’estrema genericità ed equivocità del riferimento spesso effettuato al “ruolo attivo” svolto dal giudice nell’ambito del processo.
Al di là, infatti, della necessità di tenere distinti i cd. poteri di direzione materiale del processo dai poteri (ufficiosi) del giudice in punto di diritto, fatto e prova, avuto riguardo a questi ultimi due profili (ossia fatto e prova), da tenere (seppur connessi) nettamente distinti fra loro, quanto meno ai fini che qui rilevano– come e per i motivi più volte evidenziati – , si impone, alla luce di quanto in precedenza evidenziato, un ulteriore fondamentale distinguo che mi pare possa essere efficacemente delineato ricorrendo alla contrapposizione fra:
a) poteri di investigazione, in forza dei quali il giudice può andare alla ricerca dei fatti e delle fonti di prova e che sono dunque propri di quello che si è in precedenza qualificato come processo civile inquisitorio;
b) poteri di iniziativa probatoria, in forza dei quali il giudice (lungi dal poter andare autonomamente alla ricerca dei fatti e delle fonti di prova) può, invece, solo assumere iniziative probatorie ufficiose in ordine ai fatti ed alle fonti di prova appartenenti al “materiale di causa” e che sono dunque propri di quello che si è in precedenza qualificato come processo con metodo istruttorio acquisitivo o dei “poteri istruttori d’ufficio”.

A ben vedere, peraltro, nell’ambito di un processo di questo tipo, fermo restando il fondamentale limite di cui sopra, che vale a circoscriverne i confini rispetto a differenti modelli processuali, ben più articolato può essere il novero dei poteri ufficiosi attribuiti al giudice in materia probatoria. Circostanza, quest’ultima, che consente evidentemente di procedere ad ulteriori diversificazioni all’interno di quello che si è qualificato come processo con metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”.

9. Ulteriori possibili distinguo in ordine al metodo istruttorio acquisitivo o dei poteri istruttori d’ufficio

Posta, in altri termini, la fondamentale distinzione di fondo fra “processo civile inquisitorio” e metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio” è evidente che poi, al fine di poter contrassegnare in modo ancor più preciso un determinato modello di processo civile (e più precisamente di istruttoria cui lo stesso ricorre), ulteriori possibili distinguo possono effettuarsi all’interno delle suddette contrapposte figure di processo e di istruttoria civile.
Questa esigenza, peraltro, si pone in modo quanto mai pressante con riferimento al metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio” in quanto modello cui tendenzialmente ricorrono i più moderni ordinamenti giuridici.

E qui, anche alla luce del sistema proprio di ordinamenti differenti dal nostro [17], che pur accomunati dalla costante attribuzione (anche) al giudice di poteri di iniziativa probatoria (nonché talvolta anche di poteri di investigazione, che si estendono dunque, in quanto tali, anche alla ricerca dei fatti e/o delle fonti di prova) si diversificano fra loro non solo sotto un profilo quantitativo ma anche qualitativo, mi pare si possa ulteriormente distinguere, senza alcuna pretesa di completezza, fra:
1) poteri (ufficiosi) di mera segnalazione alle parti di insufficienze probatorie (quale, ad esempio, quello previsto, nel nostro ordinamento, dal vecchio art. 316 c.p.c. nella parte in cui consentiva pretore o al conciliatore di « indicare alle parti in ogni momento le lacune che ravvisa nell’istruzione »);
2) poteri (ufficiosi) di suggerimento alle parti di iniziative probatorie, che possono venire in rilievo autonomamente o in rapporto di stretta consequenzialità rispetto ai precedenti (nel senso che, come accade ad esempio per l’art. 429 della LEC n. 1/2000 spagnola, il suggerimento alle parti di iniziative probatorie può essere proprio volto a colmare le insufficienze probatorie preventivamente segnalate alle stesse);
3) poteri (ufficiosi) di vera e propria iniziativa probatoria, a seconda dei casi:
3a) limitati solo a taluni mezzi di prova oppure estesi a tutti; differenti ipotesi, queste, cui si accompagna normalmente anche una differente tecnica normativa nel senso che: nel primo caso si tende a specificare con riferimento al singolo mezzo di prova se lo stesso sia o meno disponibile d’ufficio (come accade, ad esempio, nel nostro rito ordinario o in quello tedesco), mentre nel secondo si tende a ricorrere ad una norma di carattere generale che consente al giudice di disporre l’assunzione d’ufficio di tutti i mezzi di prova (come accade, ad esempio, nel nostro processo del lavoro e nell’ordinamento francese);
3b) esercitabili con riferimento a tutti i fatti e/o le fonti di prova appartenenti al materiale di causa (come accade ad esempio nel nostro ordinamento per il rito lavoro) oppure solo con riferimento a taluni fatti e/o fonti di prova predeterminate dal legislatore (es. narrazione del teste di cui all’ art. 257 c.p.c.);
3c) autonomi (come accade ad esempio, per il nostro ordinamento, per la consulenza tecnica e per l’ispezione) oppure dipendenti, o in qualche modo connessi, a quelli richiesti dalle parti – e dunque con funzione sussidiaria rispetto a questi ultimi – (come accade ad esempio, per il nostro ordinamento, per la possibilità di disporre d’ufficio la prova testimoniale ai sensi dell’art. 281-ter c.p.c.; nonché analogamente, per il passato, con riferimento alla previsione di cui al previgente art. 317 c.p.c.); distinguo, questo, peraltro non sempre agevole, con evidenti e delicatissime difficoltà non tanto sotto il profilo classificatorio, quanto soprattutto di delimitazione dei presupposti per l’esercizio dei poteri di iniziativa probatoria ufficiosa da parte del giudice [18];
4) poteri (ufficiosi) pur sempre dipendenti o in qualche modo connessi a quelli richiesti dalle parti – e dunque con funzione sussidiaria rispetto a questi ultimi – ma che hanno ad oggetto (non la deduzione in via ufficiosa del mezzo di prova nel suo complesso – come accade, ad esempio, nella suddetta ipotesi di cui all’art. 281-ter c.p.c. – ma bensì) le sole “modalità di svolgimento” dell’assunzione del mezzo di prova richiesto dalle parti, se del caso procedendo ufficiosamente (anche) ad un ampliamento o ad un restringimento dello stesso (come accade ad esempio, per rimanere sempre al nostro ordinamento ed alla prova testimoniale, per i seguenti poteri ufficiosi: rivolgere al teste domande utili a chiarire i fatti intervenendo nell’assunzione della prova testimoniale al di là della capitolazione ammessa, ai sensi di quanto previsto dall’art. 253, 1° comma, c.p.c.; disporre l’audizione di testi prima ritenuti superflui o già interrogati di cui all’art. 257, 2° comma, c.p.c.; ridurre le liste dei testimoni sovrabbondanti di cui all’art. 245 c.p.c.; disporre il confronto dei testimoni di cui all’art. 254 c.p.c.);
5) poteri (ufficiosi) esercitabili dal giudice con riferimento all’istruttoria nel suo complesso (quale ad esempio, con riferimento al nostro ordinamento, il potere di dichiarare chiusa l’istruzione di cui all’art. 209 c.p.c.).

10. Il possibile oggetto dei poteri di iniziativa probatoria ufficiosa

Alla luce di quanto sinora evidenziato, i poteri di iniziativa probatoria ufficiosa del giudice incontrano un limite invalicabile nella impossibilità per lo stesso di esercitare tali poteri per andare alla ricerca – ed eventualmente introdurre nel processo – fatti e fonti di prova che non appartengano al “materiale di causa”, nel senso cioè, conformemente a quanto a suo tempo già evidenziato, di legittimamente acquisiti al processo; e si ritengono tali non solo quelli che trovano ingresso nel processo attraverso la via maestra dell’allegazione in senso stretto, ma anche quelli che emergono comunque dall’attività processuale legittimamente espletata e dagli “atti” legittimamente acquisiti al processo (si pensi, per tutti, agli scritti difensivi, alle dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio libero, all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, all’assunzione, in via più generale, di un mezzo di prova o, in via ancor più generale, ai fatti ed alle fonti di prova che emergano dall’istruttoria).
Ciò posto, si tratta però anche di stabilire se, fatto salvo questo imprescindibile limite, che assurge a tratto caratterizzante dello stesso modello istruttorio “acquisitivo” (o dei “poteri istruttori d’ufficio”), i poteri di iniziativa probatoria ufficiosa, che di questo modello costituiscono elemento imprescindibile, possano o meno avere ad oggetto tutti i fatti e le fonti di prova appartenenti al “materiale di causa” – inteso nei termini appena più sopra precisati -.
Vi sono ipotesi, già in precedenza segnalate, in cui è lo stesso legislatore, nell’attribuire al giudice un determinato potere di iniziativa probatoria ufficiosa, a stabilire espressamente quali possano essere le fonti di prova che possono costituirne oggetto (si pensi, per tutti, all’ipotesi di cui all’art. 257 c.p.c.).
Ma che dire per le altre ipotesi in cui il legislatore tace sul punto ed attribuisce al giudice, come accade ad esempio nel nostro rito lavoro, il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di ogni mezzo di prova?
Può ritenersi che il giudice possa fare oggetto di iniziativa probatoria ufficiosa tutti i fatti e le fonti di prova appartenenti al “materiale di causa”?
La risposta deve essere, a mio avviso, affermativa.
Ciò fondamentalmente per i seguenti motivi:
1) non sussiste, anzitutto, alcun contrasto con le caratteristiche proprie del metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”, che indubbiamente non consente al giudice, in spregio al divieto di ricorrere alla propria scienza privata, di andare alla ricerca – ed eventualmente introdurre nel processo – fatti e fonti di prova che non appartengano al “materiale di causa”, ma che non comporta, invece, di per sé alcun limite, stante l’assenza di ogni possibile violazione del suddetto divieto, sotto il profilo del possibile oggetto, all’interno del “materiale di causa”, dei poteri di iniziativa probatoria ufficiosa;
2) si tratta di una impostazione che sembrerebbe trovar conferma nel principio di acquisizione processuale, il quale, secondo parte della dottrina esplicherebbe la sua efficacia (non solo con riferimento alla prova dei fatti, e più precisamente alle risultanze probatorie, ma) anche con riferimento alla “acquisizione” dei fatti al processo, e così come potrebbe, dunque, consentire al giudice, sul piano del fatto, di rilevare d’ufficio gli effetti giuridici di fatti costitutivi di diritti autodeterminati che (seppur non allegati in senso proprio dalle parti) abbiano comunque trovato legittimamente ingresso nel processo, ben potrebbe consentire al giudice, in assenza di disposizione normativa espressa di segno contrario, anche di disporre d’ufficio l’assunzione di un mezzo di prova (anche) su fatti che, seppur non allegati in senso proprio dalle parti, risultino comunque legittimamente acquisiti al processo, e dunque appartenenti al “materiale di causa”;
3) non sussiste alcun contrasto (neanche) con il cd. principio o onere di allegazione, il quale ha ad oggetto i fatti, e peraltro neanche tutti (pur non sussistendo uniformità di vedute in dottrina sulla delimitazione degli stessi), e non anche, invece, le possibili iniziative probatorie del giudice.

11. L’importanza del distinguo fra “processo civile inquisitorio” e processo che ricorre al metodo istruttorio dei “poteri istruttori d’ufficio”.

Ciò posto, è il caso, a questo punto, di soffermarsi sulla fondamentale importanza della netta distinzione operata fra “processo civile inquisitorio” e processo civile che adotti un metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”, la quale si coglie, a mio avviso, sotto un duplice profilo.
Il primo rappresentato dal fatto che, per l’effetto, si riesce effettivamente a disporre di un criterio discretivo che consenta di qualificare in modo appropriato e significativo differenti possibili modelli di processo e di istruttoria civile. Così superando, in modo quanto mai netto, tanto la tendenza a fare genericamente riferimento ad un “ruolo attivo del giudice” nell’ambito del processo, quanto soprattutto quella a ricorrere alla tradizionale contrapposizione fra principio dispositivo e principio inquisitorio senza operare alcun distinguo, soprattutto avuto riguardo a quest’ultimo, fra ipotesi di attribuzione al giudice di un potere di ricerca dei fatti e delle fonti di prova ed ipotesi di mera attribuzione di un potere di iniziativa probatoria strettamente inteso.
Il secondo rappresentato dalla fondamentale necessità ed importanza di un criterio discretivo di questo tipo a fronte della già segnalata tendenza di tutti (o quanto meno la gran parte degli) ordinamenti processuali moderni ad attribuire al giudice un ruolo attivo nell’ambito del processo e, in tale ottica, (anche) più o meno ampi poteri officiosi in punto di prova dei fatti.
Solo la presenza dello stesso consente, infatti, non solo con riferimento al nostro ordinamento ma anche con riferimento agli altri, di procedere ad una qualificazione tale da poter effettuare delle distinzioni con riferimento all’ormai costante fenomeno della compresenza di poteri delle parti e del giudice in punto di fatto e di prova (e non a fenomeni meramente astratti o addirittura inimmaginabili come, rispettivamente, l’esclusiva attribuzione di poteri di iniziativa probatoria in capo alle sole parti o al solo giudice) di ordine non meramente quantitativo (che facciano, cioè leva, esclusivamente sulla maggiore o minore ampiezza dei poteri attribuiti alle parti o al giudice) ma qualitativo (che facciano cioè leva sul “tipo” di poteri ufficiosi attribuiti al giudice, stante il differente possibile oggetto degli stessi) [19].
Si pensi per tutti, con riferimento al nostro ordinamento, alla possibilità di procedere, su tali basi, ad una reale ed effettiva classificazione dei possibili modelli di istruttoria di cui al processo di cognizione ordinario, ai processi speciali (sommari e non), a quelli in camera di consiglio, ecc. … [20].

12. Il divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata quale fondamentale criterio di distinguo fra i suddetti modelli, oltre che fondamentale principio (di rango costituzionale) del processo civile.

E’ il caso, prima di concludere, di richiamare l’attenzione sul fondamentale ruolo svolto ai fini del distinguo fra “processo civile inquisitorio” e processo che adotti il metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”, alla luce di quanto sinora evidenziato, dal divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata.
Questo divieto costituisce indubbiamente uno dei principi fondamentali del nostro processo civile. Singolarmente, però, lo stesso non è espressamente sancito da alcuna norma del codice di procedura civile. Ciò nonostante, non si dubita in dottrina dell’esistenza e vigenza di questo principio, pur essendone controversi: 1) il fondamento normativo; 2) la sottesa ratio; 3) l’ambito di applicazione e la delimitazione dei confini e dei “rapporti” per lo più rispetto al cd. notorio ed alle regole d’esperienza e, dunque, (anche) rispetto alla differente nozione di scienza ufficiale del giudice; 4) i “rapporti” con il cd. onere di allegazione [21].
Per quanto rileva ai nostri fini, basti qui evidenziare come si tratta di principio fondamentalissimo del processo civile, la cui ratio risiede nella esigenza di terzietà ed imparzialità del giudice e che, quale che sia (a seconda delle differenti possibili vie astrattamente percorribili – e quanto meno in parte effettivamente percorse dalla dottrina -) il fondamento sul piano della legislazione ordinaria, trova ormai un suo più sicuro fondamento e riconoscimento, sul piano costituzionale, nel riformato art. 111 Cost.; norma, questa, che nell’enunciare per la prima volta espressamente (peraltro a livello costituzionale) il principio della terzietà ed imparzialità del giudice, sancisce al contempo, sia pur indirettamente, anche il fondamentalissimo divieto per il giudice di ricorrere alla propria scienza privata, che di quel principio costituisce la più immediata espressione.
Prospettiva, quest’ultima, che apre evidentemente significative prospettive:

– per un verso, di interpretazione adeguatrice, qualora ve ne fosse evidentemente bisogno, con riferimento all’istruttoria di taluni “processi civili” – quale, ad esempio, quella dei procedimenti in camera di consiglio (tradizionalmente considerata dalla dottrina di tipo “inquisitorio”) – [22];
– per altro verso, di incostituzionalità per procedimenti civili “inquisitori” per i quali non sia praticabile la suddetta via [23].

Note

1.  Rinvio per un esame e per ampi riferimento su tale dibattito, nonché per un tentativo di “superamento” dello stesso al mio recente contributo in materia e cioè a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile. I. Contributo al chiarimento del dibattito, Napoli, Esi, 2008, 228 ss e 693 ss.

2.  Nonché, quanto meno secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, di ulteriori specifiche ipotesi di esibizione su cui cfr. da ultimo, anche per ulteriori riferimenti, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 596 ss.

3.  E, più precisamente, del giudizio che si svolge dinanzi alla Corte d’appello a fronte del reclamo proposto avverso il provvedimento disciplinare emesso dalla Commissione Regionale di Disciplina.

4.  Per ampi riferimenti sul punto cfr. E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 575 ss.

5.  E’ il caso, fra gli altri, della Germania, della Francia, della Spagna, del Portogallo, dei Paesi dell’America Latina: cfr. per un esame dei poteri di iniziativa probatoria attribuiti al giudice in questi ordinamenti E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 350 ss; nonché per un esame dell’ordinamento Russo e per riferimenti su Austria, Svizzera, Svezia, Belgio, Olanda, Giappone e Cina: ID, I poteri istruttori del giudice civile, cit., rispettivamente 468 ss e 501 ss.

6.  Posto che, nel processo dell’Unione Europea, «il giudice può ammettere d’ufficio qualunque mezzo istruttorio, che ritenga opportuno (art. 45, par. 1°, reg. proc. Corte; art. 66 reg. proc. Trib.), oltre che disporre della specifica ed efficace strumentazione delle misure preparatorie e di organizzazione del procedimento (art. 54 bis reg. proc. Corte; art. 64 reg. proc. Trib.)».

7.  La cui equivocità è peraltro in parte legata alla utilizzazione dello stesso anche con riferimento al processo penale, sia pur nell’ambito della differente contrapposizione accusatorio/inquisitorio (e non dispositivo/inquisitorio, come per il processo civile).

8.  Rinvio per un più ampio esame dello stato della dottrina e per ampi riferimenti sul punto a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 255 ss e 270 ss.

9.  Cfr.. per un esame, da ultimo, della differente contrapposizione di cui al processo penale fra sistema accusatorio e sistema inquisitorio a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 59 ss

10.  Il riferimento è alla mirabile voce Potere del giudice (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, 723.

11.  Nell’ambito della più generale consapevolezza emersa in ordine alla necessità di tenere distinto il profilo attinente alla instaurazione del processo (quale espressione del principio dispositivo in senso proprio e, dunque, del potere monopolistico della parte di disporre del diritto sostanziale e della sua tutela giurisdizionale) – anche sotto lo specifico profilo della natura (disponibile o indisponibile) del diritto fatto valere in giudizio -, da quello attinente, invece, allo svolgimento del processo (quale espressione del cd. principio della trattazione e, dunque, dell’eventuale sussistenza di un potere monopolistico della parte di determinare (anche), passo passo, il corso interno e formale del processo; ai ns. fini, più in particolare, con riferimento all’istruzione probatoria). Rinvio per un esame dell’evoluzione dottrinale in ordine al cd. principio dispositivo, tendente a delimitarne significato e contenuti, nonché sulla attuale persistenza, ciò nonostante, nella più recente dottrina di talune incertezze di ordine terminologico e/o contenutitstico a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 107 ss e 233 ss.

12.  Nel senso che può solo dirci se un determinato processo attribuisce poteri di iniziativa in punto di fatto e/o di prova in via prevalente al giudice o alle parti.

13.  Cfr. sul punto, anche per riferimenti dottrinali, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 221 e, con riferimento agli ordinamenti stranieri, 349 ss.

14.  Su cui cfr., anche per ulteriori riferimenti, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 11 ss.

15.  L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, spec. 184 ss.

16.  A rigore si dovrebbe distinguere, in modo ancor più preciso ed articolato, fra:
a) processo di parti e processo d’ufficio (o di inquisizione – per riprendere anche qui la terminologia utilizzata da F. Benvenuti -) in relazione al solo momento della introduzione del processo (solo ad istanza di parte o anche d’ufficio);
b) processo dispositivo e processo inquisitorio in relazione al solo momento della determinazione dell’oggetto del processo – fatti e fonti di prova – (solo ad istanza di parte o anche d’ufficio).

17.  Per un esame dei quali, oltre che per riferimenti dottrinali, rinvio a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 349 ss.

18. Si pensi per tutti, a tal proposito, alla controversa natura del potere ufficioso del giudice penale di cui all’art. 507 c.p.p., con riferimento al quale si discute se ci si trovi di fronte ad un mero “potere di integrazione” dei poteri delle parti, nel senso che non sarebbe esercitatile in caso di assoluta inerzia delle stesse ma solo per “integrare”, per l’appunto, le deduzioni istruttorie di queste ultime, oppure ad un “potere suppletorio” rispetto a quello delle parti, esercitatile, in quanto tale, anche in caso di totale inerzia delle stesse.

19. Per l’effetto residua, a ben vedere, uno spazio per possibili differenziazioni di ordine meramente quantitativo esclusivamente all’interno dei due differenti modelli di processo e di istruttoria civile più sopra indicati, a seconda che, evidentemente, siano attribuiti al giudice più o meno ampi poteri officiosi (in punto, per quanto attiene al “processo civile inquisitorio”, di instaurazione d’ufficio del processo e/o di ricerca dei fatti e delle fonti di prova e, per quanto attiene al metodo istruttorio “acquisitivo” o dei “poteri istruttori d’ufficio”, di mera deduzione formale dei mezzi di prova).

20.  Cfr. per un tentativo in tal senso E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 579 ss.

21.  Rinvio per un esame di tali problematiche, nonché per ampi riferimenti dottrinali in ordine alle stesse, a E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 551 ss.

22.  Cfr. per un tentativo in tal senso E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 668 ss.

23.  Cfr. per l’individuazione di tali procedimenti civili e sulla incostituzionalità degli stessi: E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 683 ss.