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Poteri di iniziativa probatoria ufficiosa e possibili modelli di istruttoria e di processo civile.

di - 16 Gennaio 2009
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5. L’insufficienza della mera constatazione di trovarci di fronte a modelli tutti misti e del ricorso al principio della collaborazione fra le parti ed il giudice.

Non ci si può neanche arrestare alla mera constatazione, propria della più recente dottrina processualcivilistica, di trovarci sostanzialmente di fronte a modelli tutti misti, intesi quali modelli che ripartiscono in misura variabile fra le parti e il giudice i poteri di iniziativa istruttoria; modelli che si avvicinerebbero, poi, maggiormente all’uno o all’altro dei contrapposti modelli (a questo punto) astratti (ossia quello dispositivo e quello inquisitorio) a seconda che, nel caso di specie, si dia prevalenza all’iniziativa delle parti o a quella del giudice.
Così facendo, infatti, a ben vedere non si procede ad una compiuta classificazione dei possibili modelli di istruttoria cui può uniformarsi il processo civile ma si finisce, in realtà, per rinunciare ad effettuare una classificazione di questo tipo, accontentandosi di un criterio che:
1) ci consente, al più, di qualificare un determinato sistema (posto che sono tutti “misti) come prevalentemente dispositivo o inquisitorio; e che dunque finisce per poggiare su un dato meramente qualitativo e non qualitativo (ossia il maggiore o minore potere di iniziativa attribuito alle parti ed al giudice);
2) agevola, o quanto meno, non evita la suddetta genericità/equivocità nella utilizzazione dei termini dispositivo/inquisitorio, ed in particolare di quest’ultimo, continuandosi a non operare alcun distinguo (sul piano sostanziale e terminologico) fra poteri di ricerca dei fatti e delle fonti di prova, da un lato, e poteri di iniziativa probatoria ufficiosa sul solo “materiale di causa”, dall’altro; così qualificando con il medesimo termine, ossia “inquisitorio”, modelli processuali in realtà (non solo quantitativamente ma anche) qualitativamente differenti fra loro per i motivi in precedenza evidenziati;
3) si rivela altresì di ben poca utilità ove si abbia presente che ormai tutti, o quasi tutti, gli altri ordinamenti attribuiscono (anche) al giudice poteri di iniziativa probatoria, così ponendosi evidentemente una esigenza di qualificazione e di distinguo con riferimento a questa ipotesi “normale” rispetto a quelle – rispettivamente – astratte o del tutto inimmaginabili della esclusiva attribuzione del suddetto potere in capo alle parti o in capo al giudice.

A ciò si aggiunga, infine, che l’espressione “sistemi misti”, oltre che generica può anche essere equivoca, se non altro in ragione della utilizzazione della medesima espressione anche con riferimento al processo penale ma in relazione alla differente contrapposizione accusatorio/inquisitorio (rispetto a quella dispositivo/inquisitorio di cui al processo civile); così che, a ben vedere, si assiste alla utilizzazione, con riferimento ad entrambi i processi (civile e penale), non solo del medesimo termine “inquisitorio” ma anche della medesima espressione “sistemi misti”, sia pur, in entrambi i casi, con significati differenti.
Lo stesso ricorso al principio della collaborazione fra le parti ed il giudice, spesso invocato (non solo nel nostro ordinamento ma anche in quelli stranieri) quale possibile via per il superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio [13], si rivela, a ben vedere, insufficiente ai fini che qui rilevano.
Indubbiamente, infatti, deve riconoscersi a questa impostazione il merito di aver gettato le basi per un possibile superamento della tradizionale contrapposizione dispositivo/inquisitorio, se non altro per il fatto di aver guardato al “rapporto” parti/giudice in una prospettiva differente e nuova rispetto a quella, tradizionale, propria della suddetta contrapposizione; e cioè quella della collaborazione fra le parti ed il giudice rispetto a quella della attribuzione di poteri di iniziativa in via esclusiva alle parti o al giudice.

Note

13.  Cfr. sul punto, anche per riferimenti dottrinali, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 221 e, con riferimento agli ordinamenti stranieri, 349 ss.

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