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Un nuovo diritto per l’economia italiana

di - 5 Dicembre 2008
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La Repubblica è “fondata sul lavoro”. I cittadini hanno “diritto al lavoro”. La cura e le tutele speciali che la Costituzione  (artt. 3, 4, 35-40) e più in generale l’ordinamento rivolgono al lavoro hanno una giustificazione economico-sociale fondamentale, che persiste. Essa è da ravvisare nello strutturale eccesso d’offerta di lavoro in una penisola avara di risorse naturali e da sempre densamente popolata, verso la quale si è fatto di recente cospicuo il flusso di manodopera immigrata. La larghezza d’offerta espone il lavoro a sottoccupazione, dipendenza, povertà, per non dire dei rischi per la salute, per la stessa vita. I morti sul lavoro dopo l’Unità  superano i caduti nella prima grande guerra. Non è quindi ammissibile che il lavoro venga in Italia trattato alla stregua delle merci scambiate nei mercati.

L’efficienza non è, di per sé, nemica dell’equità. Una finanza pubblica riequilibrata e una pubblica amministrazione orientata all’efficienza, oltre a  contribuire allo sviluppo dell’economia, agevolano la progressività dell’intervento statale, apprestano le risorse di bilancio necessarie alla spesa “civile”. Per non intaccare pensioni, sanità, istruzione la correzione delle uscite va incentrata su tre macrovoci di spesa pubblica, prossime al 20 per cento del prodotto interno lordo: consumi intermedi, monte salari, trasferimenti a imprese ed enti vari. Oltre che doveroso, uno sforzo senza precedenti, ancorché graduale, volto a contenere queste spese è tecnicamente possibile. Dall’impegno che la correzione richiede discende l’obbligo di interrogarsi, con grande attenzione ai conti, sulla compatibilità fra l’urgenza di limitare la spesa pubblica e un decentramento regionale, o federalismo, non indispensabile e nell’immediato certamente costoso.

Sul piano dei principi, né l’articolo 81 della Costituzione né gli stessi criteri di Maastricht sono sufficienti. Essi consentono qualsivoglia livello di spesa, anche inefficace e onerosa, purché finanziato da ultimo con tasse. Il principio di copertura, reso cogente, andrebbe integrato con vincoli concernenti peso relativo, composizione e qualità della spesa, pressione tributaria, funzionalità della P.A. La spesa poco utile o inefficiente non va coperta. Non va fatta. Il controllo ex-post e l’eventuale sanzione devono vertere sulla sostanza dello spreco di risorse, piuttosto che sul rispetto formale dei passaggi nel procedimento amministrativo di spesa. Priorità va data agli investimenti per le infrastrutture materiali e immateriali, da cui in notevole misura dipende la produttività dell’intera economia. Pubblici devono essere quei servizi la cui offerta lo Stato, a differenza dei privati, è in grado di sostenere nel tempo garantendone la qualità e minimizzandone i costi. Infine, esistono limiti alla sostenibilità macroeconomica della tassazione, inspecie se resa sperequata dall’evasione.

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